Nelle parole di Olmi rivive Martini

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Vedete, sono uno di voiIl 10 febbraio scorso veniva proiettata a Milano l’anteprima di Vedete, sono uno di voi, il film di Ermanno Olmi su Carlo Maria Martini, con la sceneggiatura del regista stesso insieme al giornalista del Corriere della sera Marco Garzonio, una realizzazione (nelle sale dal 13 marzo) che ha suscitato soprattutto emozioni e non solo tra i cattolici. Perché il film narra la storia personale di un protagonista dei nostri tempi e racconta come, tra le tante vicende di quegli anni a Milano – atti di terrorismo, vicende legate a Tangentopoli, crisi sociale ed emergenza di nuove forme di povertà – il Cardinale, com’era chiamato senz’altra aggiunta, si sia mantenuto fedele alla sua vocazione e ai suoi propositi di vita riuscendo altresì ad entrare nella vita e nel cuore delle persone dando un senso alle tante inquietudini incontrate. «Grazie all’autenticità della sua testimonianza, che il film documenta, è stato punto di riferimento per credenti e non credenti, profeta di speranza, anticipatore di papa Francesco», recitava la locandina.

Ora, in occasione del 5° anniversario della morte (31 agosto 2012), Garzonio – che è anche presidente della Fondazione Ambrosianeum ed è stato molto vicino al Cardinale – ha voluto proporre quello che definisce «una sorta di giornale di bordo» ricavato dagli appunti presi durante gli incontri con il regista tra Milano e Asiago, che si sono rivelati per lui «un’esperienza straordinaria», che gli ha permesso di riscoprire una figura come quella del cardinale che pure aveva conosciuto per oltre 30 anni, ma che «evidentemente, aveva bisogno di riconfigurarsi sotto un profilo ancor più spirituale».

Nel libro (Vedete, sono uno di voi, Ancora, Milano 2017, pp. 96 anche in e-book) si configura così, quasi in presa diretta, l’evoluzione dell’opera cinematografica dove si erano incontrate non solo due persone e due mestieri differenti – in Olmi l’istinto estetico, in Garzonio il bisogno di trovare risposte alla trasformazione di Martini da intellettuale a pastore – ma soprattutto due anime.

L’intervista

«L’intervista – confessa il giornalista che pone domande lunghe quanto un romanzo – rappresenta il genere letterario che meglio può dare conto delle tappe principali di un percorso e documentare i rivoli attraverso cui è rintracciabile il filo rosso di senso che lega la ricerca interiore con gli eventi e assicura la coerenza del cammino».

Così, sulla scia del successo dell’intervista a Martin Scorsese di Antonio Spadaro sul film Silence, era stato p. Gilberto Zini, direttore di Ancora, ad avere l’idea di sentire Olmi che nel film aveva fatto da speaker a se stesso e contemporaneamente anche a Martini e che, nell’intervista, mostra tutta la sua affinità elettiva col Cardinale.

Una persona che ha segnato la fine di un’epoca e ne ha inaugurata un’altra a partire da quel suo percorso a piedi, in mezzo ai milanesi, il giorno del suo ingresso come nuovo arcivescovo della metropoli lombarda che probabilmente se lo aspettava arrivare in limousine. E di Martini Olmi racconta come ne ha rintracciato i sogni – fin dal giovane che aveva cercato nelle librerie di Torino un’edizione della Bibbia – le tensioni morali, la consapevolezza che non sono i dogmi a fondare la Chiesa, la Parola che si fa parole, l’anelito alla giustizia, la libertà sempre e nonostante tutto, i suoi dubbi, quell’«ascoltare il non credente che è in me» …

Il film

Perché un film proprio su Martini? È la domanda al regista. «Perché ogni capitolo della sua vita ha potuto rappresentare l’occasione per rivivere emotivamente un capitolo della nostra stessa esistenza, di ciascuno di noi. Potremmo addirittura immaginarci un diagramma, una sorta di tabella, in cui mettere in colonna da una parte gli avvenimenti del mondo, dell’Italia, di Milano; dall’altra disporre quelli della Chiesa di Milano, della Chiesa di Roma, della Chiesa universale; in mezzo porre Martini come punto di raccordo, di incontro, di dialogo fra le tante situazioni. E a parte, in un’ulteriore colonna, potremmo indicare le aperture al futuro rese possibili da quell’intreccio di scambi».

Nessun timore ad avventurarsi in quest’impresa? «Sì, un timore l’ho avuto. Avevo fatto un film su papa Giovanni, E venne un uomo, poco dopo la morte di Angelo Roncalli. Il film venne anche accolto con buona disposizione e simpatia nei miei riguardi, ma non con quell’entusiasmo che magari ci si aspetta alla fine di un film che ti è costato fatica e ha messo in moto tutte le risorse che un’opera del genere comporta. Ricordo allora i commenti molto positivi di Pier Paolo Pasolini riguardo al fatto che papa Giovanni aveva sconvolto tutte le strategie politiche e religiose, aveva contribuito a ridisegnare i rapporti di forza tra i protagonisti della politica, della religione e dello stesso mondo cattolico, ma sarebbe meglio dire degli uomini di Chiesa…».

«Martini – spiega Olmi – grazie alla capacità interiore di stabilire un contatto diretto con la città e con la sua gente, ha capito che essere uomo che porta i passi sulle strade dell’umanità era più importante, molto più importante di ogni altro libro».

Il luogo

Suggestivo il ricordo del luogo, l’Aloisianum di Gallarate, dove il Cardinale trascorse l’ultimo periodo della sua vita: «La cameretta è il luogo dove si incrociano tutte le storie su Martini e oltre. È il luogo dove si muore e dove si nasce, dove la fede è salda e al contempo incerta. Il tempo fisico con la cameretta è il tempo degli ultimi minuti prima della morte. Come se il film fosse in due giorni: giorno, notte, giorno, notte di nuovo. Due giorni, che sono poi il tempo storico del girato lì nella cameretta dell’Aloisianum. Ma poi, appoggiata presso l’uscio della cameretta, c’è una valigia. Chi muore fa l’ultimo viaggio. Di lì, però, da Gallarate è ripartito con il suo bagaglio monsignor Barbareschi. Ha portato con sé il filmato che contiene l’ultima benedizione del cardinal Martini».

Cosa ha apprezzato di più del Cardinale? «Soprattutto la coerenza. Ne sono rimasto molto colpito. È rimasto sempre coerente a se stesso. Lo vedo come uno che ha iniziato un cammino, ha imboccato un sentiero dove campeggia un cartello: tu farai quel percorso in un modo che nessuno ha mai fatto prima. Ciascuno di noi guarda al cielo, il paesaggio, lavora: ma c’è un margine che fa di te un’opera unica. Ecco, per Martini è accaduto qualcosa per cui si è configurata una personalità che, nell’essere ogni volta, in ogni occasione presente ha lasciato qua e là delle pietre miliari. Ciascuna è valida di per sé, ma con legami profondi che rinviano dall’una all’altra».

La voce

È una sintonia profonda quella che lega il regista al cardinale e che traspare fin dalle intenzioni del film. Solo un esempio: non è usuale che un regista faccia da speaker alla propria opera e Olmi ne fornisce spiegazione. «Il merito va a Paolo Cottignola, il montatore che lavora con me da molti anni. Lui mi ha convinto. In un primo tempo pensavamo ad un attore, una voce molto professionale che guidasse lo scorrere delle immagini, degli eventi, delle emozioni. Poi nel corso del montaggio Paolo mi ha detto “Stavolta tocca proprio a te”. A quel punto mi ha convinto e ho acconsentito».

«Un artista e un principe della Chiesa accomunati, scrive Garzonio, dal bisogno di interiorità che ci abita anche se non lo conosciamo, dal desiderio di momenti di raccoglimento e silenzio, di ascolto di se stessi per prestare attenzione agli altri e per guardare all’insù, in alto, per immaginare e sognare pur tenendo i piedi saldamenti in terra».

La poesia

All’intervista si affianca una cronologia della vita di Carlo Maria Martini raccontata con la professionalità del cronista e con la passione dell’amico che l’ha accompagnato fino agli ultimi istanti, momento in cui prende avvio il film di Olmi. È in questo frangente che nascono i versi poetici del giornalista pubblicati nel volume Siamo il sogno e l’incubo di Dio. Versi, cronache, passioni da Martini a Bergoglio, Ancora, Milano 2015.

«Aspettiamo l’attimo che deve venire, che verrà,
è questione di tempo
nella penombra della stanzetta al terzo piano.
Respiri a fatica, rantoli. Un prete
camiciola azzurra, maniche corte,
ti sta di fronte, ai piedi del letto,
cantilena pagine di Vangelo.
Fisso le pareti spoglie, utero bianco
che ti sta per generare al cielo
nelle contrazioni degli ultimi spasmi.
La dottoressa ti prende la mano,
guarda la flebo, cerca il polso abbandonato.
In punta di piedi
c’è chi lascia la stanza. Si apparta.
Regge a fatica.
Odo bisbigli
che spronano al coraggio,
all’audacia da te sempre evocata.
Vorrei assecondare i ricordi che premono,
ma la mente rifugge: «Stai qui», ripete severa
«Stai qui: è l’ora. Stai qui: è il momento!».
Prego. Il mio sguardo vaga
ma su di te ritorna.
Seguo il filo del naso sottile,
degli occhi chiusi, delle guance tirate,
mi scuote il sussulto del petto che geme, vedo la vita
divincolarsi da membra forti e stremate.
Giunge all’apice il tremendo duello…
La dottoressa fa un cenno d’intesa.
Il segretario invita a uscire.
Nel salotto dove ricevevi col tuo dire muto ormai
allo sguardo l’uno dell’altro ci aggrappiamo.
Aspettiamo.
«I parenti possono rientrare».
Vien dato l’annuncio: «Carlo Maria Martini
è spirato alle quindici e quarantatré. Chiedo
di attendere a dare la notizia. «Sarà prima
comunicata al cardinale Scola,
che annuncerà al Papa il decesso».
Ma un prelato (neanche la morte ha ragione
[dei narcisi) è già corso tra le braccia dei cronisti
che aspettano sotto chiaccherini
all’ombra degli alberi possenti.
Grazie alle loro fronde
l’Aloisianum vegliò sul tuo passeggiare orante
di gioia e di fatica
quando ogni giorno discorrevi con loro,
ascoltavi il frusciar delle foglie,
rispondevi al silenzio fremente della natura amica.
«Chi vuole può dare l’ultimo saluto»
annuncia il segretario. Ci guardiamo, lo abbraccio.
Anche per te, Damiano, è finita:
comincia un’altra vita, per tutti.
Torno nella stanza,
esito nell’accostarmi al letto,
sfioro la mano tua
che tante volte ha benedetto me e figli e nipoti
e sposa. Orfano piango lacrime asciutte,
levo lode al Signore che ci ha donato
un inviato di speranza e di luce per i nostri giorni
tormentati e per i tempi a venire,
un pastore che camminava davanti a noi,
che rese inquiete e curiose e che scaldò
le nostre tiepide coscienze,
fece spirare un vento forte e sottile di silenzio
che ridestò braci timide e spaurite
sotto soffocanti coltri di cenere grigia,
le trasformò in fiamme ardenti,
contagiose come sa essere l’amore:
ci hanno animati loro,
loro ci hanno scaldati, consolati,
portati sino a qui.
In questa Gallarate
per un giorno al centro dello sguardo attonito
d’un mondo che non conosce resa
ed esigente cerca testimoni che siano credibili,
raccolgo la consegna da te Carlo Maria Martini,
uomo con gli uomini,
cantore della Parola detta in parole,
cardinale di una Chiesa bisognosa di misericordia
più che di cattedrali e paramenti,
profeta d’un Dio che muore e risorge,
che scende agli Inferi, riscatta gli afflitti,
prende per mano chi patisce
nelle membra e nell’anima,
sorride, rallegra e protegge
chi ha fame e sete di giustizia
beato di sempre
e per sempre.
Davanti alla luminosa serenità del tuo corpo
finalmente placato, disteso
che mani premurose e reverenti
presto rivestiranno dei sacri, solenni panni,
ti saluto
Carlo Maria mio santo vescovo,
che hai abbattuto mura spesse e pesanti
arroccate per secoli,
che sei morto con eleganza, come auspicavi,
che angeli sono venuti a prendere
per rendere leggera la tua salita al Dio
del Cantico dei Cantici così tanto amato
ricambiando la tua inesausta passione
per il Crocifisso,
vescovo Carlo Maria
che vivi ora
nella gloria dei cieli
e nei cuori e nelle menti
di uomini e di donne
consapevoli che nulla sarà più come prima!
Riconoscente
ti chiedo di intercedere
perché si avveri un sogno: che anch’io
diventi sentinella d’un’alba
in cui si può credere
di cambiare le cose.
Così sia».

 

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