Un cammino attraverso la complessità

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copertina

A volte la raccolta in un unico volume di scritti brevi pur occasionali e apparsi su giornali vari, i cui temi a volte sono stati oggetto di conferenze e dibattiti diretti ad un pubblico più largo, si rivela uno strumento non secondario per individuare meglio le coordinate teoretiche che reggono i percorsi di ricerca intrapresi da alcuni protagonisti del pensiero filosofico-scientifico.

Fisici-filosofi del calibro di Ernst Mach e di Ludwig Boltzmann nei primi anni del Novecento raccolsero le loro «lezioni popolari» in volumi come L’evoluzione della scienza (trad. it. Milano, Ed. Melquíades, 2010) e Populäre Schriften, testi che si sono rivelati strategici non solo ai fini di una loro migliore comprensione critica, ma anche forieri di idee poi diventate centrali nei dibatttiti epistemologici successivi sino a portare allo sviluppo stesso della filosofia della scienza come disciplina autonoma.

In campo filosofico e più vicino a noi si è distinto Nicola Abbagnano, filosofo salernitano noto per il suo manuale di Storia della filosofia ancora largamente in uso, che prima nel 1968, nel volume Per o contro l’uomo e poi nel 1973 nell’opera Fra il tutto e il nulla, fa confluire, con una illuminante prefazione sul senso più autentico e più profondo del suo esitenzialismo positivo e neoilluministico, gli articoli apparsi nell’arco di vent’anni sul quotidiano «La Stampa».

Tra la rugosità del reale

Tutto ciò aiuta a capire meglio la raccolta di quasi due anni di scritti simili di Mario Castellana, esponente di quella che già negli anni Ottanta Ludovico Geymonat ha chiamato «scuola meridionale di epistemologia» (Bruno Widmar e la ‘Scuola meridionale di epistemologia’, 1 aprile 2021) per i contributi dati a una maggiore conoscenza critica di figure di filosofi della scienza francofoni e di Federigo Enriques in particolar modo.

Figure in questi ultimi anni al centro di un rinnovato interesse da più parti; come viene detto nell’avvertenza, alcuni di questi scritti chiaramente rielaborati e su invito di Mauro Ceruti, autore della relativa prefazione, sono stati riuniti nel volume Briciole di complessità. Tra la rugosità del reale (Studium, Roma 2022) dopo che sono apparsi nella rubrica della rivista Odysseo «Tra la rugosità del reale», significativa espressione di Simone Weil.

Proprio la Weil, particolare figura del variegato mondo culturale francese del primo Novecento, è stata oggetto da parte dello stesso Castellana di un precedente volume (Mistica e rivoluzione in Simone Weil del 1979) e di altri studi successivi incentrati sull’immagine della scienza e dell’universo matematico in particolar modo, nel suo incontro-scontro con le idee del fratello André, uno dei protagonisti di quel gruppo di matematici riunitisi sotto il nome di Nicolas Bourbaki negli anni Trenta-Cinquanta del secolo scorso. Idee poi fatte proprie anche da Giulio Giorello (Giulio Giorello in cammino con Simone Weil, pp. 67-69) e da Paolo Zellini in La ribellione del numero del 1985 e La dittatura del calcolo del 2018.

Fili rossi

Come sottolinea Mauro Ceruti nella densa prefazione, l’aver coniugato da parte di Castellana i costanti interessi per le poco note vicende dell’epistemologia francofona di orientamento storico con il percorso di vita e di pensiero di Simone Weil è lo strumento ermeneutico più adatto da tenere presente per capire l’unità teoretica di fondo che sorregge Briciole di complessità, nutritasi dei «fili rossi dell’epistemologia francese del Novecento: la dimensione storica della scienza e la pluralità dei livelli del reale», aspetto teorico già presente nel suo maestro Bruno Widmar e anche declinato come pratica di vita.

«Fili rossi» che nello stesso tempo, per Ceruti, «illuminano retrospettivamente la navigazione» sin qui condotta e «lasciano intravedere in modo suggestivo nuovi percorsi», col fare risultare ben chiaro l’obiettivo di fondo della «intera sua opera come una profonda riflessione sulla vicenda storica attraverso cui la sfida della complessità emerge nella scienza del Novecento, e da qui deborda nell’inedita e globale condizione umana».

In tal modo si comprendono meglio gli intrecci che emergono al di sotto delle occasioni dovute ai diversi dibattiti in corso presi in considerazione e all’analisi di alcune opere apparse in questi ultimi tempi; e anche se i molteplici capitoli, alcuni dei quali dedicati a figure del passato come Leonardo Da Vinci, Keats e Leopardi e altre del Novecento, sono brevi, si rivelano molto funzionali per mettere sul tappeto nei loro risvolti teoretico-esistenziali alcuni concetti basilari relativi al paradigma della complessità per liberarli anche da interpretazioni a volte riduttive.

Non a caso, Mauro Ceruti sottolinea il fatto che «con tanti suggestivi esempi qui trattati in brevi racconti», si entra nel variegato universo della complessità col farcelo sentire un terreno fertile da arare sempre di più, visti gli angoli ciechi a cui certa modernità è approdata.

Abitare la complessità

Il volume consente così, con le parole dell’autore, di fare «un salto nella coscienza generale, per sentire empatia con la complessità, al di là del campo scientifico», grazie alla presa in carico di suggestioni provenienti da diverse fonti come Paul Valéry, Federigo Enriques, Albert Lautman, Gaston Bachelard, Jean Piaget, Michel Serres e da figure femminili come Hélène Metzger e Simone Weil, tutte figure oggetto di precedenti studi.

L’analisi dei loro contributi filtrata e, come dice Ceruti, soprattutto «sviluppata nella continua tensione fra le molteplici dimensioni del suo interrogare se stesso ed il suo tempo: filosofica, scientifica, esistenziale, etica, spirituale», si rivela oltremodo proficua per rendere sul terreno, insieme teorico ed operativo, il paradigma della complessità un baluardo se non proprio un salutare «disinfettante» contro ogni tentazione semplicistica sempre in agguato (pp. 97-100).

Anzi, in un altro breve capitolo dal significativo titolo, «Il sapore del pensiero» (pp. 202-205), si insiste sulle modalità con cui meglio metabolizzarla, digerirla, «abitarla» nel senso di Simone Weil per farla entrare con tutto il suo corredo concettuale ed esistenziale nelle nostre tortuose vite.

Si rivela in tal senso emblematica e significativa la foto messa in copertina di un ulivo secolare pugliese, che trova le sue salde radici nel terreno, a sua volta frutto di combinazioni di fattori diversi, per poi svilupparsi in modo non lineare e contorto, nodoso in base ad una serie di eventi esterni sempre emergenti, che lo modellano magari condizionandolo, per poi continuare a produrre e a vivere in piena autonomia cooperando con altri alle leggi generali della vita.

Arricchiscono questa non comune «via» verso la complessità le analisi dell’apporto del pensiero e dell’esperienza di vita di altri protagonisti presi in esame, come Pavel Florenskij, Romano Guardini, Pierre Teilhard de Chardin, Raymond Ruyer, Gilles Châtelet, Raimon Panikkar, Alain Badiou, Edgar Morin, Dario Antiseri e lo stesso Ceruti.

Una via polifonica

Per dare più voce a quelle che sulla scia di Edgar Morin vengono chiamate «le verità polifoniche della complessità» (pp. 63-66), non vengono tralasciati altri saperi, pratiche di vita e discipline dove esse prendono vita, come la biologia, l’ecologia, la filologia, la filosofia digitale, l’economia civile, la mistica, la liturgia, l’educazione, il vivere democratico, dove vengono intraviste quelle che Castellana chiama «altre manifestazioni del reale».

In Briciole di complessità non viene trascurato il peso di figure come Giovanni Paolo II e papa Francesco, figure oggetto anche di precedenti lavori, che in diversi scritti – alcuni dei quali imperniati sulla scienza e sulla tecnica – hanno a loro volta indicato la necessità di fare i conti con le problematiche della contemporaneità non riducibili a schemi unilaterali e di praticare i rugosi sentieri della complessità con l’invito lanciato alle comunità pensanti a lavorare all’interno del pensiero stesso, a riformarlo dalle fondamenta anche perché, nel parafrasare da parte di Castellana un’espressione di Paolo VI, «si può morire per mancanza di pensiero».

E questo è anche uno degli obiettivi non secondari di Briciole di complessità, obiettivo presente con diverse modalità in diverse figure prese in esame come Bachelard, Enriques, Lautman, Teilhard de Chardin, Hélène Metzger, Serres e Châtelet, le cui idee coniugate e irrobustite dall’apporto del pensiero di Simone Weil, insieme a quello di Morin e Ceruti, hanno creato un percorso in sintonia con iniziative simili oggi all’ordine del giorno nel più avvertito pensiero filosofico-scientifico.

Siamo infatti alle prese con sfide che richiedono un pensiero in grado soprattutto di «non mentire sul reale» e sulle sue «infinite ragioni», come ribadisce spesso Castellana che perviene a una non comune via verso la complessità. Così, degli scritti occasionali si sono tramutati in delle precise piste di pensiero che fanno emergere in modo più chiaro le ragioni dei percorsi precedenti e nello stesso tempo mettono in primo piano, come afferma Ceruti, le ragioni per le quali l’autore «è stato motivato ad intraprendere la sua ricerca», ovvero la «necessità di entrare nelle pieghe della complessità della vita con una navigazione di singolare ampiezza».

Mario Castellana, Briciole di complessità. Tra la rugosità del reale, Prefazione di Mauro Ceruti, Studium, Roma 2022, 256 pp., 25,00 euro. Recensione su Odysseo, 2 giugno 2022.

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