Servizio e diaconato permanente

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ripensare diaconato

È il momento di rivedere l’esercizio del diaconato permanente sull’esempio delle tante persone che non esitano a mettersi al servizio degli altri.

Quando ci preparavamo per iniziare la Quaresima, ci arrivavano notizie dai media della diffusione di un virus in Cina, gradualmente la notizia cominciò a diventare allarmante. In breve tempo abbiamo scoperto che si chiamava Coronavirus (mai sentito prima d’ora). Pensavamo che la cosa non ci riguardasse, invece l’espansione del Covid-19 (altro nome coniato) ha investito l’Italia, e successivamente gli altri paesi d’Europa, in maniera prepotente e devastante.

La Quaresima è diventata una “quarantena” 

Progressivamente i diaconi, come il resto dei nostri concittadini, sono stati “rinchiusi” nelle loro famiglie. Disertati eucaristia pubblica, celebrazione dei sacramenti, incontri; abbiamo lasciato coloro che accompagnavamo nelle diverse aree affidate al nostro ministero riducendo le nostre attività pastorali che svolgevamo all’esterno.

I diaconi sono persone d’azione, forse tendiamo a misurare la nostra dedizione e il nostro servizio in base a ciò che “facciamo”, così man mano che passano i giorni della “quarantena” ci siamo chiesti: Come contribuire in qualità di diaconi a questo momento unico del nostro mondo e della nostra Chiesa?

La “quarantena” sta diventando un momento di rallentamento. Abituati a vivere in fretta, ad avere un’agenda piena di attività, per misurare l’impegno e il servizio per ore, giorni, settimane… percepiamo che la vita si è fermata. Purtroppo, solo quando facciamo i ritiri o gli esercizi spirituali abbiamo un tempo simile, prolungato, per esaminare la vita alla presenza di Dio. Un tempo per rinnovare la centralità di Dio nella vita.

La “quarantena” vissuta in famiglia

Quante volte abbiamo ascoltato dai diaconi che il primo posto per l’esercizio del nostro ministero è la famiglia stessa! Questo momento ci dà la possibilità di vivere l’esperienza di un tempo lungo e denso, in quantità e qualità, con le nostre famiglie, al fine di rendere possibile a ciascuna di essere piccole chiese domestiche, con le loro luci e ombre, per sostenersi a vicenda, per aiutare le speranze e i sogni di ogni membro affinché possano essere realizzati, secondo il progetto che Dio ha per tutti.

Essere in grado di accompagnare con tempo e delicatezza se c’è dolore, malattia, frustrazione. Anche per condividere con loro l’assurdità di questa situazione, le cause e i suoi effetti, le speranze e i cambiamenti necessari e presentarli al Padre.

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La “quarantena” vissuta come solitudine 

Questa è una “quarantena” per guardare attraverso le nostre finestre: strade vuote, strade senza automobili, animali che occupano spazi pubblici e che ci ricordano che questi luoghi appartenevano a loro prima che li invadessimo.

Finestre che ci consentono di vedere cieli e acque più trasparenti e puliti e di chiederci cosa stiamo facendo con questa creazione!

Finestre che ci ricordano altre finestre del mondo, un mondo interconnesso nel bene e nel male, che ci dice che siamo parte di un singolo pianeta, al di là di paesi, nazioni, confini, lingue e religioni…

Finestre che ci mostrano, in prima persona e in modo eccezionale, ciò che milioni di esseri umani vivono quotidianamente in così tanti posti nel mondo.

Finestre che ci parlano di altre epidemie ancora presenti, ma dimenticate oggi. L’Organizzazione mondiale della sanità ci ricorda la situazione nell’Africa occidentale con l’Ebola, presente dal 2014, con oltre 30.000 persone infette e 11.000 morti. O nell’Africa sub-sahariana, la malaria, che nel solo 2018 ha causato 228 milioni di infetti e 405.000 morti. O nel mondo, con la dengue, che causa 390 milioni di infezioni all’anno, o il morbillo, praticamente sradicato nel primo mondo, ma che nel solo 2017 ha causato 110.000 morti.

Tutto ciò accade in finestre molto lontane da quelle del nostro primo mondo, praticamente non lo vediamo e non ha alcuna incidenza sui nostri giornali o televisioni.

Mi chiedo con preoccupazione e sofferenza: dove saranno confinati così tanti milioni di esseri umani senza tetto? Come faranno così tante persone che non hanno l’acqua a lavarsi le mani? Quali effetti avrà il coronavirus in Africa?

Ciò che normalmente passava inosservato, ciò che non veniva valutato, ciò che non contava, ora acquisisce rilevanza, servizio evangelico, diaconia: il lavoro dei dipendenti nei supermercati, i poliziotti, i trasportatori, i tassisti… senza dimenticare il lavoro di tutto il personale sanitario negli ospedali, nelle case di cura, grazie al quale possiamo recuperare e mantenere la vita. L’esempio silenzioso di tanti fratelli e sorelle che stanno rendendo reale la sequela di Gesù in favore dell’ultimo: laici uomini e donne, uomini e donne religiose, persone consacrate, diaconi, sacerdoti e vescovi. Hanno perso la vita più di cento preti e più di un diacono.

Questo può essere un buon momento per rivedere il nostro diaconato sull’esempio di così tante brave persone, a volte eroi, che non esitano a dare la vita per gli altri.

Come diaconi e cristiani, questa “quarantena” può attivare e rafforzare la nostra umiltà e la nostra identità. Umiltà, perché vediamo quanto siamo piccoli e vulnerabili, guardando l’esempio di servizio di così tante donne e uomini nei confronti dei loro simili. E la nostra identità, perché ri-sperimentiamo che prima di “fare” c’è l’“essere”, lo sanno innanzitutto i diaconi, i cristiani, i cittadini, gli esseri umani.

Speriamo che questa “quarantena” rafforzi criticamente ed evangelicamente ciò che siamo, come seguaci e seguaci di Gesù, servitori.

In questi giorni ho letto il numero quattro delle Norme sulla formazione dei diaconi permanenti della Santa Sede. Lì ci viene ricordato che il diacono – come i presbiteri e i vescovi – partecipa in modo specifico a Cristo e al suo ministero, per essere strumento a favore del mondo e della Chiesa. Essere i suoi strumenti, soprattutto nel servizio, nella diaconia.

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Approfittiamo di questa “quarantena”, per combattere il coronavirus, sostenendo le vittime e cercando di trasformarlo in un tempo di grazia, per essere diaconi veri. Vale a dire, per registrare nella parte più intima del nostro cuore e della nostra anima, tutto ciò che oggigiorno stiamo vivendo e sperimentando, dove Dio è presente e ci parla.

E “facciamo” ora, con tutti gli impedimenti che percepiamo, ciò che il Signore ci chiede mettendo in campo così tante possibilità, in modo che, alla fine di questo momento difficile, il nostro servizio e il nostro ministero diaconale possa essere un mezzo più efficace per divenire strumenti di Gesù servitore oggi e qui, perché nulla sarà come prima.

Dobbiamo renderci conto e responsabilmente coscienti che il diaconato è una realtà in rapida evoluzione, il cui numero cresce con forza sia a livello globale che nei diversi continenti, aumentando del 10% nel quinquennio 2013-2017, passando da 44.195 a 47.504 diaconi.

Due diaconi esemplari

Vorrei chiudere con due notizie tristi che ci toccano da vicino: la morte per coronavirus del primo diacono permanente il francescano americano John-Sebastian Laird-Hammond e la morte del primo diacono permanente italiano a cui il Covid-19 non ha lasciato scampo, Maurizio Bertaccini, medico, che ha lottato con il virus ma la malattia purtroppo non lo ha risparmiato ed è morto all’età di 68 anni.

Mi piace ricordare questo nostro confratello che lascia quattro “famiglie”: quella naturale, la comunità di Montetauro, la diocesi e l’ordine dei medici.

La moglie nel salutare il marito ha detto: «Maurizio è volato al Padre tra le braccia amorose della mamma del Cielo». Maurizio si era trasferito con la famiglia a Montetauro, per seguire più da vicino la comunità di stile dossettiano, Piccola Famiglia dell’Assunta di Montetauro, nella quale si è formato e nella quale ha fatto la professione insieme alla moglie, poco prima dell’ordinazione diaconale. Dal loro matrimonio sono nati sei figli naturali, più uno adottivo e tre in affido.

La figlia maggiore della coppia si è consacrata nella Piccola Famiglia, realtà che accoglie e accudisce anche bambini e adulti con gravi e gravissime disabilità e patologie, oltre ad occuparsi del recupero e qualificazione umana, culturale e professionale nonché inserimento sociale di persone che si trovano in stato di bisogno, handicap o emarginazione.

Preghiamo di lasciarci dietro la Quaresima e la quarantena e che durante i cinquanta giorni pasquali il coronavirus possa crollare in tutto il mondo, come un altro frutto della vittoria di Cristo sulla morte.

Nel frattempo, preghiamo e agiamo perché a nessuno manchi ciò che è necessario per affrontare questa pandemia e per avere presto un vaccino per l’immunizzazione globale.

Oggi tutti noi dovremo fare la nostra parte, i diaconi dovranno continuare a “fare” la loro, rafforzando ora il nostro “essere” servi. Il Signore è risorto, alziamoci tutti con Lui, Alleluia!

  • Enzo Petrolino è presidente Comunità del diaconato in Italia
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Un commento

  1. corazza franco 5 maggio 2020

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