Ottobre missionario e “Fratelli tutti”

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mese missionario

La terza enciclica del papa – Fratelli tutti – non poteva essere pubblicata in un momento più opportuno. Essa è venuta all’inizio del mese di ottobre, il mese missionario, quasi come un sigillo di autenticità evangelica sulla missione.

Il tema Fratelli tutti è quasi una sintesi del magistero di questi sette anni di pontificato di Francesco che già dai primi mesi ha prospettato la conversione della Chiesa come «Chiesa in uscita», una «casa con le porte aperte… una Chiesa che serve, che esce di casa, che esce dai suoi templi, dalle sue sacrestie, per accompagnare la vita, sostenere la speranza, essere segno di unità […] per gettare ponti, abbattere muri, seminare riconciliazione»» (Fratelli tutti 276).

In questa enciclica la fraternità e l’amicizia sociale fanno il paio con la misericordia, tema fondamentale del magistero di Francesco.

Fraternità richiama immediatamente la triade, Liberté, Égalité, Fraternité, spesso presentata come la sintesi ideale dello spirito della modernità.

Il terzo elemento di questa triade, la fraternità, è tuttavia il primo, fondamento e garanzia della dignità umana e dei suoi diritti.

In Fratelli tutti il papa riprende il valore fraternità in chiave cristiana e francescana (l’enciclica è stata significativamente firmata davanti alla tomba del Poverello ad Assisi) per farne la sintesi dell’amore fraterno e della comunione e, insieme, mezzo di costruzione dell’amicizia sociale. Un sogno? Sì, è ancora un sogno del quale però il papa vede oggi dei «segni», il più recente dei quali è il Documento sulla fratellanza umana che egli ha firmato il 4 febbraio dello scorso anno ad Abu Dhabi insieme con il Grande Iman, autorità suprema dell’islam (5).

In un tempo di turbolenza come il nostro, questo è un segno di straordinario valore umano e missionario, perché l’argomento che il papa approfondisce in Fratelli tutti è un tema fondamentale anche per la missione ad gentes, un’ulteriore conferma del procedere di quella riforma della missione che è in atto dal tempo del Concilio.

Ricordiamo che il tema del mese missionario in Italia è missionari “tessitori di fraternità”, un tema urgente, perché oggi il vero virus da combattere è la divisione e la frammentazione, i muri alzati fra i popoli, il razzismo e la xenofobia, il sovranismo e il nazionalismo, tutte realtà incompatibili con il Vangelo che tuttavia si stanno rapidamente diffondendo nel mondo.

La fraternità, salvaguardia della libertà e dell’uguaglianza 

È troppo recente la pubblicazione di Fratelli tutti per darne qui una sintesi compiuta che renda conto della ricchezza di questo documento e del tema.

L’enciclica si apre con un capitolo in cui il papa fa la lista degli ostacoli alla fraternità («Le ombre di un mondo chiuso» nn. 9-55) da cui prende il via il suo discorso. Egli invita i fedeli e gli uomini di buona volontà a ritrovare e a promuovere il valore della fraternità che, con la comunione, è il bene supremo della Chiesa in vista della sua missione (cf. Gv 17,21).

Due capitoli hanno attirato la mia attenzione: il capitolo III dove, tra l’altro, il papa parla della fraternità nel quadro dei tre classici valori della modernità, e il capitolo VIII che tratta del contributo delle religioni alla fraternità.

Dei tre valori classici della modernitàsi deve riconoscere che il terzo, la fraternità, è quello decisivo. Il papa lo afferma con una domanda: «Che cosa accade senza la fraternità consapevolmente coltivata, senza una volontà politica di fraternità, tradotta in un’educazione alla fraternità, al dialogo, alla scoperta della reciprocità e del mutuo arricchimento come valori? Succede che la libertà si restringe, risultando così piuttosto una condizione di solitudine, di pura autonomia» (103).

Così pure l’uguaglianza senza la fraternità rimane un valore astratto. Infatti un’affermazione del tipo «tutti gli esseri umani sono uguali» – dice il papa – produce «una uguaglianza astratta che isola le persone [e ne fa] dei mondi chiusi che finiscono per non appartenere più alla cerchia degli altri» (104), privati di quelle relazioni che sono essenziali per vivere in modo “umano”. «L’individualismo – continua il papa – non ci rende più liberi, più uguali, più fratelli» (105), perché «la mera somma degli interessi individuali non è sufficiente per creare un mondo migliore per tutta l’umanità e non può preservarci da tanti mali che diventano sempre più globali. L’individualismo radicale è il virus più difficile da sconfiggere», perché ci inganna facendoci credere «che tutto consiste nel dare briglia sciolta alle proprie ambizioni, come se, accumulando ambizioni e sicurezze individuali potessimo costruire il bene comune» (Ib.).

Si noti che il papa ha introdotto questo discorso sulla fraternità con la parabola del buon samaritano (Lc 10,29ss) che fa parte del discorso missionario ai «settantadue» dove la compassione e il «prendersi cura dell’altro» sono l’anima della missione. Noi missionari dobbiamo riconoscere che l’invito alla fraternità e alla compassione, pur essendo un comandamento antico quanto il Vangelo, non è sempre stato praticato nel corso della missione ad gentes.

Pur impegnati fino all’eroismo in molti progetti di liberazione e di formazione alla giustizia, noi missionari siamo stati vittime, spesso inconsapevoli, dell’impostazione colonialista della missione ad gentes, e non riusciamo sempre a liberarci dai complessi di superiorità e di conquista del passato per assumere la logica dell’ascolto, del dialogo e della fraternità. Per questo dobbiamo essere riconoscenti al papa.

Il dialogo interreligioso cammino di fraternità

Dopo aver parlato del progetto di un mondo aperto e di un cuore aperto, della necessità di una migliore politica, di una nuova cultura fondata sul dialogo e dopo aver delineato i percorsi per una fraternità intesa come incontro, nel capitolo VIII di Fratelli tutti Francesco tratta del contributo che le religioni possono dare alla crescita della fraternità nel mondo. Per questo richiama i missionari al dialogo interreligioso che in questi ultimi tempi sta entrando alla grande nella missione (nn. 271-287).

Riafferma il valore delle diverse religioni, già affermato dal decreto conciliare Nostra aetate e, affermando che il loro valore si fonda sulla realtà della figliolanza divina che caratterizza tutti gli esseri umani, dichiara che tutte le religioni possono offrire «un prezioso apporto per la costruzione della fraternità e per la difesa della giustizia nella società» (271-272).

Il dialogo interreligioso costringe la Chiesa a ritrovare la sua identità in una continua conversione verso una Chiesa aperta, missionaria, «una casa con le porte aperte perché è madre» (276) in grado di entrare in un fiducioso e sincero dialogo con le altre religioni. In questa prospettiva aperta, la Chiesa deve apprezzare l’azione di Dio nel cuore dei fedeli delle altre religioni delle quali non rigetta nulla di quanto esse hanno di vero e di santo. Senza rinnegare la propria identità e senza forzare le coscienze, la missione cristiana deve dialogare con le altre religioni nella convinzione che questo concorre alla fraternità universale e al mantenimento della pace.

Il papa, che molte volte ha affermato che «la Chiesa cresce non per proselitismo, ma per attrazione», individua nella fraternità e nella comunione ecclesiale quella bellezza che rende attraente il messaggio evangelico che il missionario propone agli altri.

Nell’enciclica c’è anche una chiara condanna di ogni forma di violenza in nome di Dio e la proclamazione della libertà religiosa da chiedere e da concedere alle minoranze (281) come pure la denuncia del fatto che spesso forme di oltranzismo e di fondamentalismo fino alla violenza vengono purtroppo dall’imprudenza dei leader religiosi (284). Il ritorno sapiente alle proprie fonti potrà aiutare a vincere il fondamentalismo e a trovare la strada del dialogo e della fraternità.

Il dialogo interreligioso è oggi una strada obbligata della missione ad gentes, anche se non è ancora del tutto accettata da tutti. Il papa ci dà l’esempio percorrendola coraggiosamente pur fra le critiche di certi vescovi e cardinali, perché è convinto che questa sia la strada del futuro della missione della Chiesa.

Questo conferma anche noi missionari, che da tempo dichiariamo – controcorrente – la necessità del dialogo interreligioso. Anche per questo ringraziamo papa Francesco.

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