Padrini e madrine: solo sì o no?

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Aumenta il numero delle diocesi che sospendono “ad experimentum” il ruolo del padrino o della madrina di battesimo/cresima, ma c’è pure chi tenta una riflessione.[1]

Gli operatori pastorali e i parroci si trovano di fronte ad una molteplice casistica. Spesso, infatti, i fedeli ignorano i requisiti che la normativa richiede perché si possa svolgere il ministero di padrino.

Si trovano spesso con fedeli che si presentano per chiedere il cosiddetto “certificato di idoneità”, essendo stati richiesti come padrino o madrina in occasione della celebrazione dei sacramenti del battesimo o della confermazione.

C’è chi concede con grande facilità il certificato; i più zelanti negano il documento, affermando di non aver mai visto il richiedente prima di quel momento; altri attestano semplicemente che l’autodichiarazione è stata sottoscritta alla propria presenza.

Ciò va a generare un blocco burocratico per i parroci su una questione che comporta un dispendio di tempo e di energie molto rilevante.

Ripensare è utile

La Chiesa non può privarsi del potere che gli è dato di innovare e di rinnovarsi nella fedeltà alla sua missione di umanizzazione e di evangelizzazione. I cambiamenti hanno ricadute non solo sugli ambiti ristretti di un territorio in cui si attuano, ma sul modo di essere Chiesa.

Si incontrano difficoltà nelle parrocchie delle diocesi vicine ove si riversano i richiedenti i sacramenti con i relativi padrini non forniti dell’attestato di idoneità da parte dei parroci di origine. C’è il rischio di superare gli ostacoli senza affrontarli, generando un distacco costante dalla realtà ecclesiale. Togliere attori porta gradualmente a perdere la ministerialità laicale, a sfarinare il tessuto ecclesiale e a smarrire il contatto con la complessità della realtà.

Forzando l’immagine, è un po’ come abbandonare il sacramento della riconciliazione perché le persone non lo frequentano più, o la celebrazione eucaristica, vista la disaffezione.

La sospensione ha una sua ragion d’essere per aiutare il rinnovamento della consapevolezza di tale ministerialità, o in vista di una riflessione per recuperare l’identità e la missione ecclesiale del padrino e della madrina.

Per affrontare le sfide di oggi e restituire tutte le sue possibilità al Vangelo, bisogna un po’ sognare e perseguire ostinatamente i sogni con intelligenza, audacia e realismo. C’è bisogno di comunità che si prendono in carico e assicurino azioni diverse in maniera partecipativa, strutturandosi meno in funzione del territorio e più in una rete di relazioni che permettono servizi per garantire una cura di prossimità e di accessibilità. Cogliere la problematicità che si è manifestata e si sta manifestando nel tessuto ecclesiale di tante diocesi, chiede di domandarsi che cosa succede in noi, tra noi, malgrado noi.

Di fronte al reale

Ci si è resi conto che un certo tipo di azione pastorale nelle nostre parrocchie, strutturata in un tempo storico ormai a noi estraneo, non regge più. Tuttavia, pur costatando che sono assetti pastorali vuoti, si continua a praticarli, non solo perché non si hanno alternative, ma anche, e forse, perché vi riscontriamo una certa comodità organizzativa.

È indubbio che il ruolo di padrini e madrine è segnato da indifferenza degli attori, e in alcuni casi da minimizzazione dei fatti reali. Ci sono molti fattori limitanti il modo di comprendere questa crisi nella sua complessità e la maniera di reagire.

Il versante ecclesiale per motivi interni legati all’invecchiamento, ai collassi pastorali degli ultimi anni, riscontra e denuncia reali fatiche:

  • Ci si trova normalmente di fronte a situazioni complesse. Ma ci sono pochi luoghi dove tutto ciò è messo in linea.
  • Il sentimento di impotenza individuale di fronte alla grandezza della sfida facilita il disimpegno degli operatori pastorali.
  • Non ci sono accessi sufficienti a una visione d’insieme delle problematiche che vengono sollevate.
  • Ciò che accade è che padrini e madrine sono funzionali alla presenza durante la celebrazione del sacramento e in tutto ciò che vi è come cornice al fatto in sé, che però non diventa un evento.
  • Data la grande maggioranza di una prassi diventata stile, serve un ripensamento circa la maturazione di una mentalità di partecipazione comunitaria da parte di padrini e madrine.
  • Si esige la capacità di trovare la voce di Cristo che continua a chiamare anche nelle situazioni poco entusiasmanti e indica il cammino da perseguire.[2]

Le comunità e il mondo laicale non sono esenti da confusione e incertezze su questo aspetto come su altri del vivere nella Chiesa. I fattori che limitano le azioni delle persone che arrivano alla Chiesa sono percepiti come numerosi, e iscritti dentro le abitudini di vita. Ne mettiamo in fila alcuni:

  • La pressione del quotidiano per tanti nostri contemporanei genera insofferenza verso molte costrizioni.
  • È difficile accettare la limitazione delle esigenze e della libertà nella vita quotidiana, ed anche ecclesiale.
  • Si vive la moderazione come una privazione di libertà.
  • La percezione del ruolo di padrini e madrine tende a sfilacciarsi in una visione disarmonica, facilmente distorta da un compromesso con alcune situazioni sociali.
  • I criteri di scelta di padrini e madrine, per consolidare i legami parentali-criminali, sono il segno di una religiosità deviata che continua a segnare e a ferire la fede di un popolo.[3]
  • L’incongruenza principale è che, nella quasi totalità dei casi, padrini e madrine conducono vite lontane dalla Chiesa o anche più semplicemente dalla fede.

I punti di criticità, non devono segnare un momento di fallimento o di frustrazione ma consegnano campi di lavoro sui quali investire sulla qualità della formazione ecclesiale. Questa situazione culturale reclama dalla catechesi che si appoggi deliberatamente sulla forza di autodeterminazione degli individui, sulle loro aspirazioni personali, per raggiungerli nel loro cammino, ogni volta singolare. La situazione di pluralismo e di complessità obbliga a incontrare le persone là dove sono e a privilegiare azioni personalizzate e flessibili. Bisogna quasi inventare una proposta particolare per ogni individuo, tenendo presente la singolarità del suo percorso.

Tutto questo ha il pregio di suscitare l’immaginazione creativa ricordando possibilità ignorate o dimenticate. I tempi di crisi sono spesso tempi di invenzione, di creazione, di pratiche nuove.

Non c’è bisogno di ulteriori norme

Attualmente il compito di interfacciarsi con padrini e madrine ricade sui parroci, ma è pur vero che vi è un’intera comunità che desidera e può partecipare attivamente alla questione. Il segno di un laicato attivo nelle Chiese indica un potenziale di comunione partecipativa anche in ordine alla relazione con padrini e madrine, per cui l’evangelizzazione attuale passa attraverso l’azione di laici e laiche che ogni giorno sono il volto accogliente delle comunità cristiane. Di conseguenza, è necessario dare alla luce gli adulti che servono.

Per tutte le motivazioni richiamate, non è necessario dare orientamenti su cosa si richiede per essere padrino o madrina. I tratti sono adeguatamente descritti dal n. 872 del diritto canonico, e anche nel documento Incontriamo Gesù.[4]

È giusto lasciar cadere la preoccupazione o la sollecitazione a dare indicazioni precise di comportamento per regolare l’idoneità di padrini e madrine. Le situazioni sono così diverse e articolate da richiedere attenzione per ogni singola situazione e realtà. Tutto più complicato, certamente, ma tutto più vero e vivo. Pensando agli operatori pastorali suggeriamo alcune attenzioni che diventano stile.

Il valore della competenza

Un primo elemento che va evidenziato è la competenza. Attitudine di un individuo a mobilitare, in modo integrato e inventivo, un insieme di risorse per rispondere adeguatamente alle situazioni presentate, sempre singolari, a migliorare costantemente questa attitudine per e con il suo esercizio anche in situazioni varie. La competenza è un’intelligenza pratica della situazione, si appoggia su conoscenze acquisite.

In tal senso, essere competente è eccellere nell’arte di vivere, di prendere le proprie responsabilità, di partecipare alla vita sociale, di costruire la realtà, di servire gli altri. La competenza è l’attitudine a portare vita nel cristianesimo. Essa designa l’arte di vivere nella fede, in modo libero, responsabile e inventivo. Un compito o un impegno non s’impone in virtù di un obbligo, ma in virtù di una grazia offerta che si desidera vedere spiegata, per il proprio bene e per quello degli altri.

Una pastorale generativa

La parentela e l’amicizia sono due dimensioni che, in un contesto comunitario, possono essere valorizzate nell’ottica di una condivisione della fede. Ma alcuni fattori vanno in netto e chiaro contrasto con la vita cristiana, come può essere, ad esempio, la figura del “compare” di origine mafiosa. Il tema chiede di attivare una pastorale generativa. Si distingue, da questo punto di vista, da una pastorale di incorniciatura, o di manutenzione.

Non è una realtà nuova quella che si vive. Il cristianesimo è nato e si è sviluppato in un contesto di crisi. La sua condizione normale è di essere e di mettere in crisi. In qualche modo, porta in sé l’arte di provocare e di attraversare le crisi successive a contatto con le diverse culture e i cambiamenti culturali. Dall’inizio, il cristianesimo emerge e si mantiene in un incontro critico con l’alterità.

Una pastorale di generazione non è miglioramento dell’organizzazione, ma prima di tutto, uno spirito, una maniera d’essere, un modo di stare pastoralmente nella crisi, con speranza.

La contemplazione dell’azione di Dio nel mondo conduce a meravigliarsi di fronte alle forze di vita, d’immaginazione e di creazione che sono presenti nel cuore delle persone. In questo contesto, la comunità parrocchiale può pensare di investire sulla catechesi familiare che può trovare, grazie alla presenza di padrini e madrine, un luogo di ecclesialità domestica, di catechesi dell’intimità del focolare, un luogo dove la familiarità si fa apprendistato di vita cristiana.

Disposti all’ospitalità

Parrocchie dove i partecipanti si interfacciano solo con i modelli dei “nulla osta” faticano a trasmettere uno spazio di umanità. Questo vale anche per quei membri che partecipano alla vita della comunità e si vedono mettere la fede creduta, vissuta e celebrata in secondo piano rispetto alle condizioni da adempiere per vivere un compito o un ruolo. Lasciarsi generare è esercitarsi a fare dell’altro un ospite, un amico.

Sviluppare l’organizzazione

L’importanza della relazione, dal gusto familiare, è necessaria per far vivere emozioni, occasioni, appuntamenti nei quali la comunità cristiana fa sperimentare tutta la vicinanza. È un annuncio che genera e fa vivere ancora una volta la tangibilità di una Chiesa che non attende padrini e madrine dietro una scrivania, ma li incontra, ne condivide la gioia dell’esser stati scelti.

L’azione generativa non è solo spirito, ma ha anche bisogno di organizzazione. Essa è invitata a mettere in atto le migliori condizioni perché il servizio verso le persone sia compiuto e la riconoscenza del messaggio evangelico sia resa possibile. A tal fine sono richiesti degli spazi che offrono tempi di incontro ove si articolano insieme un lavoro di umanizzazione dentro uno spirito evangelico e l’annuncio esplicito del Vangelo.

I responsabili di questi spazi dovranno animarli sapendo essi stessi imparare dagli altri e dalle esperienze fatte. La loro funzione sarà essenzialmente dialogante e consisterà nel rendere gli altri attori e autori delle loro proprie scelte.

I luoghi formativi devono essere ambiti di creatività dove si formano le persone, le convinzioni e i progetti. Non ci sono soluzioni miracolo, ma almeno ci si può impegnare a mettere in atto le migliori condizioni perché i compiti siano resi possibili, comprensibili e desiderabili.

Competenza spirituale

Le prospettive nel solco di un’evangelizzazione dell’oggi possono dare spessore alle figure dei padrini e madrine nella riscoperta del dono della fede e dell’appartenenza ecclesiale.[5] Sono da pensare percorsi di inclusione ecclesiale a partire dalla partecipazione più o meno saltuaria alla messa domenicale o alla vita della parrocchia per fare in modo che, da partecipanti spettatori, diventino protagonisti della fede. Perché questo sia possibile, è necessario che le parrocchie siano spazi di umanità credente e credibile e non asettici uffici di burocrazia da adempiere.

Il compito di ogni attenzione verso padrini e madrine è quello di facilitare l’accesso al riconoscimento della grazia di Dio che opera tramite loro. È il tempo del coraggio, di osare nuove prospettive, di battere nuove strade, di vedere le difficoltà non più come sfide, perché la Chiesa non è in sfida con nessuno, ma come opportunità da vivere.

Il quieto vivere della socializzazione religiosa ha fatto scivolare il ruolo di padrini e madrine verso uno svilimento sociale. Proprio perché non si riscontrano elementi di collegamento con valori antropologici e di fede, è arrivato il tempo di ricercare germi di novità per non rinchiudersi tra eletti.


[1] M. Munno (a cura), Padrini e madrine. Storia, diritto, pastorale, Rubbettino, Soveria Mannelli (CZ), 2023.

[2] Pontificio Consiglio per la promozione della nuova evangelizzazione, Direttorio per la catechesi, n. 5.

[3] Conferenza Episcopale Calabra, Testimoniare la verità del Vangelo, nota pastorale sulla ‘ndrangheta 2014, 13.

[4] Conferenza Episcopale Italiana, Incontriamo Gesù. Orientamenti per l’annuncio e la catechesi in Italia, EDB Bologna 2014, n. 70.

[5] Direttorio per la catechesi, n. 125.

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