Ripartire dagli adulti /3

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“Pastorale giovanile vocazionale”

Prosegue la rubrica «Verso il Sinodo sui giovani», firmata da don Armando Matteo per la rivista Vita pastorale. Il mensile per operatori pastorali, che con il numero di novembre 2017 ha cambiato veste grafica, intende accompagnare in modo significativo il cammino della Chiesa italiana in questo cambiamento di epoca. Ringraziamo il direttore per il consenso a pubblicare anche su Settimana News la rubrica di Armando Matteo. Gli altri interventi: Crescere in una società senza adulti /1; Se credere non è più di moda /2.

Rubo al Presidente Trump la formulazione del primo dei principi di quella mappa di “Pastorale giovanile vocazionale” (PGV) che andrò ad illustrare, lungo la strada che ci porta al Sinodo del 2018.

Punto primo: si deve partire dagli adulti; di più, si deve mettere al primo posto la cura degli adulti! Si orienta così il cammino di una comunità ecclesiale che voglia entrare in una relazione feconda con il mondo dei giovani.

Ma cosa significa dire Adulti First? Significa in concreto impegnarsi a mettere in campo un numero uguale di energie per il mondo dei giovani e per il mondo degli adulti. Detto in modo più dettagliato: è lo stesso numero di ore che una comunità dedica ai giovani, per incontri, momenti di preghiera, spazi di lettura biblica condivisa, occasioni di festa, quello che deve essere speso per il mondo degli adulti. E qui con adulti ci si riferisce a coloro che sono nati tra la metà degli anni Quaranta e la fine degli anni Settanta. Insomma, non parliamo dei nonni dei nostri ragazzi; parliamo dei loro adulti di riferimento sia in famiglia che in società.

Qualcuno, forse, potrà restare sorpreso da tale prima indicazione, eppure si tratta di una mossa strategica, azzeccata per almeno due ragioni.

La prima, quella sostanziale, riguarda ciò che più sta a cuore delle donne e degli uomini di Chiesa in relazione ai giovani. E cioè, da una parte, la fatica delle nuove generazioni di accedere ad una condizione adulta dell’umano e, dall’altra, la fatica di cogliere come rilevante il riferimento alle parole del Vangelo lì dove decidono della loro identità più profonda.

Nell’uno e nell’altro caso, si dovrà in verità riconoscere che le cause remote si trovano in un’ampia crisi degli adulti, sempre meno generativi e sempre meno testimoni credibili della bontà del cristianesimo per un’esistenza umana piena. Non basta dire di volere bene ai figli, se poi non si lavora concretamente per il bene dei figli. Non basta chiedere i sacramenti della fede per i figli se non si ha fede nei sacramenti. Non basta riempire di cose la vita dei figli, se poi non si lavora effettivamente per una politica che se non favorisca o almeno non si ponga come principale ostacolo all’accoglienza delle giuste pretese dei giovani. Non basta chiedere ai figli di andare in chiesa, al catechismo, all’ora di religione, se poi di Dio nei propri occhi non ne è rimasta neppure una flebile traccia.

La seconda ragione per la quale è più che opportuno partire da una nuova cura da prestare al mondo degli adulti ha a che fare con la presa di coscienza che i giovani sono sempre e solo la vera risorsa della società e della Chiesa, e che essi sanno meglio di chiunque altro che non sono “il problema” cui la società e la Chiesa devono eventualmente dare soluzione.

Partire dagli adulti significherà condividere con i giovani questa verità. Ovvero che il problema è oggi invece sul versante degli adulti, precisamente sulla sponda della loro sempre maggiore indisponibilità ad assumere sino in fondo il nobile “mestiere dell’adulto”, che ultimamente consiste nel consentire ai figli di ringiovanire e rinnovare il mondo; essendo i giovani coloro che portano aiuto (dal latino iuvenis, che rinvia a iuvare) e coloro che portano novità (dal greco neos).

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