San Giuseppe: padre e custode

di:

san giuseppe

O Giuseppe, capo della sacra famiglia diocesana, prega per noi!

Carissimi presbiteri, la gente vi chiama “padri” e lo siete realmente! Carissimi membri diaconi, molti di voi sono padri di famiglia nel diaconato permanente e tutti nella comunità generate il gusto dell’amore fraterno! Sorelle e fratelli tutti, moltissimi dei quali vivete in situazione coniugale, esercitando la maternità e la paternità biologica e educativa! Carissime sorelle e fratelli di vita consacrata che, con la vostra vita casta, obbediente e povera, rigenerate la comunità ecclesiale ai valori del mondo che verrà! A voi tutti che, intorno al pastore della Chiesa particolare, costituite la santa famiglia ecclesiale, addito volentieri Giuseppe di Nazareth, il servo fedele e prudente che il Signore ha messo a capo anche di questa nostra famiglia arcidiocesana (cf. Lc 12,42)! Nello spirito del cammino quaresimale, a imitazione del glorioso san Giuseppe, destiamoci dal sonno e compiamo la volontà di Dio! (cf. Mt 1,21.24).

O beato Giuseppe, mostrati padre anche per noi! La promulgazione di un anno speciale, dedicato dalla Chiesa cattolica a san Giuseppe (8.12.2020/2021), riporta all’attenzione della nostra devozione popolare, della progettazione pastorale e della riflessione teologica, questa grande figura della Bibbia, della teologia e della religiosità popolare.

L’approssimarsi dell’anno pluricentenario della nostra Cattedra episcopale – per cui facciamo speciale memoria delle vicende liete e dolorose della nostra città e dell’arcidiocesi – ci sospinge ancora di più a riscoprire lo speciale patrocinio di Colui che ci può ottenere dall’alto, grazia, misericordia e coraggio. La nostra città, la nostra arcidiocesi sia capace, anche di fronte alle tragedie dei terremoti e, oggi, della pandemia globale, di trovare la forza della rinascita e della ricostruzione e di guardare con particolare affetto a san Giuseppe, custode di ogni famiglia santa, quindi anche della nostra famiglia ecclesiale. La memoria giubilare, arricchita dall’indulgenza plenaria, ci faccia riconoscere e amare quello che è il luogo emblematico del magistero episcopale e della spiritualità della famiglia ecclesiale locale: intorno al nostro tempio massimo, cioè alla nostra cattedrale – che speriamo presto ritorni al suo antico splendore – ci riconosciamo, infatti, famiglia unita, bisognosa di un patrocinio speciale.

O Giuseppe, nutritore prudentissimo del Figlio di Dio, prega per noi. La lettera apostolica Patris corde di papa Francesco qualifica opportunamente lo sposo di Maria come uomo dal cuore di padre e ne tratteggia a tutto tondo la figura, cui il papa appare assai devoto. Fin dalle prime battute, egli c’invita, appunto, ad imitare questo uomo della seconda linea, che, seppur in modo nascosto, è presente, anzi è protagonista e nutre spiritualmente e materialmente la santa famiglia di Nazareth. D’altra parte, il sommo pontefice ha raccontato più volte come al patrocinio di san Giuseppe egli sia solito affidare intenzioni di preghiera e speciali intercessioni per il suo ministero di vescovo della Chiesa che presiede nell’amore alle Chiese di tutto il mondo.

Nel suo studio personale a Casa Santa Marta ci sono infatti due statue che raffigurano il santo. Una, in particolare, gli è molto cara e lo accompagna da sempre, da quando viveva nel Collegio Maximo di San Miguel di cui era rettore. Si tratta di una statua che raffigura san Giuseppe dormiente, quasi per attendere, in sogno, la manifestazione della volontà di Dio attraverso l’angelo: «Mentre però stava considerando queste cose, ecco, gli apparve in sogno un angelo del Signore e gli disse: “Giuseppe, figlio di Davide, non temere di prendere con te Maria, tua sposa. Infatti il bambino che è generato in lei viene dallo Spirito Santo”» (Mt 1,20).

O Giuseppe, decoro della vita domestica, prega per noi! Il papa ci presenta Giuseppe come l’uomo della fiducia in Dio, del dono alla moglie e al Bambino Gesù. Padre, non padrone, egli è uno che non procede mai nella logica dell’uso dell’altro, della lamentela, dell’egoismo, bensì nella logica del dono, dell’altruismo, della dedizione totale al benessere spirituale e materiale della vita domestica. Nei nostri tempi bui di violenza perpetrata tra le mura domestiche e addirittura di femminicidi e di abusi sui piccoli e le persone vulnerabili, san Giuseppe è il modello sereno e forte di chiunque è padre: sia nella relazione coniugale o nel rapporto spirituale con i figli, come avviene nel caso dei preti e direttori spirituali, sia in ogni situazione in cui si ha bisogno di un orientamento o indicazione precisa, Giuseppe insegni a tutti, in particolare agli uomini, a essere il decoro della vita domestica! Ogni genitore nella carne e nello spirito, a imitazione di san Giuseppe di Nazareth, sia felice nello spendersi e nel donare se stesso agli altri!

Ha scritto opportunamente papa Francesco: «La felicità di Giuseppe non è nella logica del sacrificio di sé, ma del dono di sé. Non si percepisce mai in quest’uomo frustrazione, ma solo fiducia. Il suo persistente silenzio non contempla lamentele ma sempre gesti concreti di fiducia. Il mondo ha bisogno di padri, rifiuta i padroni, rifiuta cioè chi vuole usare il possesso dell’altro per riempire il proprio vuoto; rifiuta coloro che confondono autorità con autoritarismo, servizio con servilismo, confronto con oppressione, carità con assistenzialismo, forza con distruzione».

O Giuseppe prudentissimo, prega per noi! Chi è padre ha, tra l’altro, il compito di orientare, con prudenza e saggezza, i piccoli e i giovani all’identificazione e realizzazione della sua vocazione: «Ogni vera vocazione nasce dal dono di sé, che è la maturazione del semplice sacrificio. Anche nel sacerdozio e nella vita consacrata viene chiesto questo tipo di maturità.

Lì dove una vocazione, matrimoniale, celibataria o verginale, non giunge alla maturazione del dono di sé fermandosi solo alla logica del sacrificio, allora invece di farsi segno della bellezza e della gioia dell’amore rischia di esprimere infelicità, tristezza e frustrazione».

Mi piace, pertanto, riproporvi san Giuseppe come prudentissimo patrono di tutti coloro che sono chiamati a orientare, soprattutto gli adolescenti e i giovani, alla scoperta della propria chiamata specifica, cioè della propria vocazione dall’alto. Quando c’è bisogno di proteggere il Bambino, Maria va con Giuseppe in un paese lontano (cf. Mt 2,13-14), ovvero è disponibile a dislocarsi pur di fare spazio al futuro che il Padre celeste prevede per il proprio Figlio, cioè pur di consentire la realizzazione vocazionale di Gesù di Nazareth.

Come il piccolo, il ragazzo, il giovane di Nazareth, anche i nostri figli e figlie di oggi attendono le indicazioni prudenti dei padri e degli educatori! Purtroppo, le nostre famiglie, le parrocchie, le scuole, gli oratori, non sempre riescono ad aiutare gli adolescenti e i giovani a mettere a tema, con prudenza e coraggio, la propria vocazione fondamentale specifica. Perché si parla sempre di meno delle scelte esistenziali in termini di progetto che lo stesso Padre nostro dei cieli ha su di noi? Perché non ci lasciamo ispirare dall’alto quando occorre scegliere il futuro sulla base del nostro temperamento, delle nostre idealità, delle nostre caratteristiche intellettuali e operative? Perché gli adulti stanno abdicando al dovere di aiutare e accompagnare i giovani a definire le proprie opportunità in vista del futuro? Non si tratta soltanto di scegliere quali studi o quale lavoro un figlio/una figlia deve fare da grande, peraltro in una società che presenta sempre meno opportunità per i motivi più disparati; si tratta di qualificare la nostra vocazione battesimale verso la scelta di fondo: laicale, presbiterale, o consacrata: «Ciascuno, secondo il dono ricevuto, lo metta a servizio degli altri, come buoni amministratori della multiforme grazia di Dio» (1Pt 4,10).

O Giuseppe, sostegno delle famiglie, prega per noi! Chi segue Cristo e il suo Vangelo è ricolmato della grazia divina, cioè da una pioggia di doni che facilitano il futuro percorso di vita che, sulla scia di Giuseppe, bisogna aiutare a mettere con fiducia a disposizione degli altri. Come orientarsi e, dal punto vista educativo, come orientare i più piccoli?

Interroghiamoci: questo ragazzo/a sarà un laico o una laica cristiana, con un suo preciso ruolo ministeriale, di fatto o istituito, nella vita sociale ed ecclesiale? Sarà ministro ordinato, totalmente dedito al servizio dell’annuncio e della liturgia, e di conseguenza bisogna orientarlo all’ingresso in seminario? Sarà un consacrato/consacrata, che rinuncia radicalmente a ogni possesso, nella purezza dell’anima e del corpo, in obbedienza alla volontà di Dio espressa mediante un superiore?

Cosa vuole il Signore da ciascuno? Giuseppe, da buon padre e educatore, pur passando quasi inosservato, è colui che sollecita il ragazzo e adolescente Gesù a orientarsi nella sua vocazione specifica, indicata dal Padre celeste. Nella sua scia, genitori e educatori, in coordinamento con i presbiteri, propongano ai nostri ragazzi tutte le prospettive vocazionali: la vocazione laicale, quella di speciale consacrazione, quella al ministero ordinato.

Esse sono altrettante opportunità per la propria realizzazione! «Dobbiamo avere il coraggio di essere diversi, di mostrare altri sogni che questo mondo non offre, di testimoniare la bellezza della generosità, del servizio, della purezza, della fortezza, del perdono, della fedeltà alla propria vocazione, della preghiera, della lotta per la giustizia e il bene comune, dell’amore per i poveri, dell’amicizia sociale».

O Giuseppe, decoro della vita domestica, prega per noi! Ogni vocazione specifica va identificata in ambiente familiare. Ora, «la parola “vocazione” può essere intesa in senso ampio, come chiamata di Dio. Comprende la chiamata alla vita, la chiamata all’amicizia con Lui, la chiamata alla santità, e così via. Questo ha un grande valore, perché colloca tutta la nostra vita di fronte a quel Dio che ci ama e ci permette di capire che nulla è frutto di un caos senza senso, ma al contrario tutto può essere inserito in un cammino di risposta al Signore, che ha un progetto stupendo per noi».

Si domandino i genitori, gli educatori, i catechisti, i responsabili di gruppi, associazioni e movimenti: cosa far germogliare e sviluppare a preferenza nei piccoli, nei ragazzi, nei giovani, i quali, pur tra le paure di cadere, mostrano ancora tanta voglia di volare alto? «Per realizzare la propria vocazione è necessario sviluppare, far germogliare e coltivare tutto ciò che si è. Non si tratta di inventarsi, di creare sé stessi dal nulla, ma di scoprirsi alla luce di Dio e far fiorire il proprio essere: “Nel disegno di Dio, ogni uomo è chiamato a uno sviluppo, perché ogni vita è vocazione”.

La tua vocazione ti orienta a tirare fuori il meglio di te stesso per la gloria di Dio e per il bene degli altri. Non si tratta solo di fare delle cose, ma di farle con un significato, con un orientamento. A questo proposito, sant’Alberto Hurtado diceva ai giovani che devono prendere molto sul serio la rotta: “In una nave, il pilota negligente viene licenziato in tronco, perché quello che ha in mano è troppo sacro. E nella vita, noi stiamo attenti alla nostra rotta? Qual è la tua rotta? Se fosse necessario soffermarsi un po’ di più su questa idea, chiedo a ciascuno di voi di attribuirle la massima importanza, perché riuscire in questo equivale semplicemente ad avere successo; fallire in questo equivale semplicemente a fallire”».

Raccomando, in particolare ai giovani, ai preti, ai catechisti e agli educatori, di aiutare le persone a discernere la chiamata del Signore. Nel discernimento di una vocazione, non si deve mai escludere la possibilità di consacrarsi a Dio nel sacerdozio, nella vita religiosa o in altre forme di consacrazione. Perché escluderlo?

O Giuseppe, speranza dei malati e patrono dei morenti, prega per noi! Il persistere della pandemia da covid-19, che ormai perdura da oltre un anno, sta provando severamente le nostre famiglie, nonostante l’inizio della campagna vaccinale. Nonostante l’abnegazione di medici, infermieri, operatori sanitari, membri della Protezione civile e forze dell’ordine, il nostro sistema sanitario evidenzia tante lacune, mentre il morbo, solo nel territorio di Catanzaro, colpisce ancora migliaia di persone, anche se diverse migliaia sono anche i casi chiusi felicemente.

Le misure di prevenzione stanno mettendo a dura prova le forze imprenditoriali ed economiche; sempre più famiglie disperano del proprio futuro economico ed alcune costrette a ricorrere all’aiuto delle nostre Caritas e delle parrocchie per assicurare almeno un pasto caldo, o assicurare un tetto sopra il capo. Preghiamo, carissimi, per le anime di coloro che sono morti isolati nelle rianimazioni, senza neppure il conforto di una carezza. Abbiamo a cuore i nostri ammalati, soprattutto coloro che, per antichi o nuovi morbi, versano nella fase terminale della vita. Non basta vaccinarsi, neppure è sufficiente osservare le norme sul distanziamento e utilizzare stabilmente il presidio delle mascherine idonee. Operiamo affinché chi può introduca nuovi modi di economia circolare e nuove forme di lavoro. In ciò, abbiamo tutti bisogno della protezione e dell’aiuto dall’alto, affinché le forze della natura siano riequilibrate e ogni elemento o fattore del cosmo faccia il suo armonico corso.

Rivolgiamoci, perciò, con fiducia a san Giuseppe per ottenere dalla Provvidenza, col nostro sforzo ambientale, l’armonia universale, nella quale i virus stiano finalmente al loro posto e non attacchino così gravemente l’umanità intera. Egli, che viene tra l’altro invocato come “terrore dei demoni”, ci ottenga la liberazione dal male e dal Maligno. Ricordiamolo spesso: insieme con Maria Vergine, «nella santa famiglia di Nazareth, risalta la figura di san Giuseppe. Egli ebbe cura e difese Maria e Gesù con il suo lavoro e la sua presenza generosa, e li liberò dalla violenza degli ingiusti portandoli in Egitto. Nel Vangelo appare come un uomo giusto, lavoratore, forte. Ma dalla sua figura emerge anche una grande tenerezza, che non è propria di chi è debole, ma di chi è veramente forte, attento alla realtà per amare e servire umilmente. Per questo è stato dichiarato custode della Chiesa universale. Anche lui può insegnarci ad aver cura, può motivarci a lavorare con generosità e tenerezza per proteggere questo mondo che Dio ci ha affidato».

Invochiamo quotidianamente, pertanto, questo grande santo: «O Dio, che con ineffabile provvidenza ti degnasti di eleggere il beato Giuseppe a sposo della tua santissima Madre, concedi che, venerandolo quale protettore in terra, meritiamo di averlo intercessore nel cielo! Donaci, o Padre, di servire al tuo altare nell’accettazione della sofferenza e con la stessa purezza di cuore che animò san Giuseppe nella fedele devozione del tuo Figlio unigenito!».

Grande devota di san Giuseppe fu, tra gli altri santi e beati del calendario cattolico, la mistica spagnola santa Teresa de Avila (28 marzo 1515-4 ottobre 1582), proclamata dottore della Chiesa dal santo papa Paolo VI, il 27.9.1970. Il papa si domandava: «Donde veniva a Teresa il tesoro della sua dottrina? Indubbiamente dalla sua intelligenza e dalla sua formazione culturale e spirituale, dalle sue letture, dalle conversazioni con grandi maestri di teologia e di spiritualità, da una sua singolare sensibilità, da una sua abituale ed intensa disciplina ascetica, dalla sua meditazione contemplativa, in una parola dalla sua corrispondenza alla grazia, accolta nell’anima straordinariamente ricca e preparata alla pratica e all’esperienza dell’orazione. Ma era soltanto questa la sorgente della sua “eminente dottrina?”. O non si devono riscontrare in santa Teresa atti, fatti, stati, che non provengono da lei, ma che da lei sono subiti, che sono cioè così sofferti e passivi, mistici nel vero senso della parola, da doverli attribuire ad una azione straordinaria dello Spirito Santo? Siamo indubbiamente davanti ad un’anima nella quale l’iniziativa divina straordinaria si manifesta, e dalla quale essa è percepita e quindi descritta da Teresa, con un linguaggio letterario suo proprio, semplicemente, fedelmente, stupendamente».

Monaca che spesso godette di stati estatici, Teresa nella giovinezza ebbe fenomeni particolari nel corpo: cessazione del respiro e del battito del polso, rigidità estrema del corpo, frigidità delle mani e dei piedi, così come se la vita li avesse abbandonati. Ma poi ne fu liberata da Cristo, dolce ospite della sua anima, che ella dice di aver visto con gli occhi dell’anima, però molto più chiaramente di quanto l’avrebbe potuto vedere con gli occhi del corpo.

Un giorno Teresa fu benedetta da un’esperienza mistica che sarà poi immortalata in innumerevoli quadri e statue: un angelo piccolino, ma assai bello, con il viso splendente, le apparve con una freccia d’oro in mano e ripetutamente gliela infisse nel cuore, come ad aprire in esso una breccia. È l’insegnamento che finalizza il dolore e la sofferenza umana ad associarsi alla redenzione di Cristo, come nella nostra arcidiocesi abbiamo visto nelle nostre beate Nuccia Tolomeo e Mariantonia Samà!

Racconta santa Teresa, con parole commosse, che era tanto il dolore, che le faceva emettere dei gemiti, e tanto eccessiva la delizia, che le dava questo dolore, che non potevo desiderare che cessasse. Ormai forte nello spirito, ella decise di porre mano alla riforma dell’Ordine carmelitano. Il Carmelo, secondo la leggenda, era nato, addirittura prima della nascita di Gesù Cristo, nel Libano. In tale paese, e precisamente presso le pendici del monte Carmelo, Elia, assunto al cielo da un carro di fuoco, aveva lasciato il suo discepolo Eliseo; e questi, insieme ad altri discepoli, vi avrebbe costituita una comunità destinata a perpetuarsi nel tempo: per secoli e secoli gli anacoreti erano vissuti laggiù in minuscole celle, simili a nidi d’ape, secernendo un dolce miele spirituale.

O mio padre e protettore… La preghiera a Gesù Cristo e al suo padre terreno san Giuseppe segni il ritmo di quest’ultimo tratto del cammino di penitenza quaresimale! Mi piace perciò concludere, riproponendovi anzitutto una preghiera di Nuccia Tolomeo a Gesù, amico e sostegno nelle difficoltà: «Grazie,/ perché sei nostro amico,/ il nostro sostegno,/ grazie, perché ci doni la mano,/ quando siamo in difficoltà,/ quando la debolezza bussa al nostro cuore./ Grazie, perché Tu, Gesù,/ non Ti stanchi mai di noi/ e ci dai sempre il tuo aiuto,/ il tuo amore».

Inoltre, vi ripropongo una parte del racconto che santa Teresa d’Avila rivolgeva a san Giuseppe nei momenti del cattivo stato di salute. La ripeteremo in ogni nostra situazione di necessità: «Quando vidi lo stato in cui mi avevano ridotta i medici della terra e come fossi tutta contorta in così giovine età, decisi di ricorrere ai medici del cielo e domandare ad essi la salute, perché, quantunque sopportassi quel male con tanta gioia, desideravo anche di guarire… Cominciai a far celebrare messe e a recitare orazioni approvate… Io invece presi per mio avvocato e patrono il glorioso s. Giuseppe, e mi raccomandai a lui con fervore.

Questo mio padre e protettore mi aiutò nella necessità in cui mi trovavo e in molte altre più gravi in cui era in gioco il mio onore e la salute della mia anima. Ho visto chiaramente che il suo aiuto mi fu sempre più grande di quello che avrei potuto sperare. Non mi ricordo finora di averlo mai pregato di una grazia senza averla subito ottenuta. Ed è cosa che fa meraviglia ricordare i grandi favori che il Signore mi ha fatto e i pericoli di anima e di corpo da cui mi ha liberata per l’intercessione di questo santo benedetto. Ad altri santi sembra che Dio abbia concesso di soccorrerci in questa o in quell’altra necessità, mentre ho sperimentato che il glorioso s. Giuseppe estende il suo patrocinio su tutte. Con ciò il Signore vuol farci intendere che a quel modo che era a lui soggetto in terra, dove egli come padre putativo gli poteva comandare, così anche in cielo fa tutto quello che gli chiede. Ciò han riconosciuto per esperienza anche altre persone che dietro mio consiglio si sono raccomandate al suo patrocinio. Molte altre si sono fatte da poco sue devote per aver sperimentato questa verità».

Vi benedico tutte e tutti, uno ad uno e voi, a vostra volta, beneditemi. Amen.
Catanzaro, 1° marzo 2021

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