La posizione degli imprenditori

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La vice-presidente di Confindustria Bergamo, Giovanna Ricuperati, delinea il quadro della posizione delle imprese e degli industriali nel momento in cui il paese cerca di trovare vie adeguate per coniugare insieme la protezione della salute dei cittadini, risposte efficaci all’impatto socio-economico del periodo di lockdown e modi di inedita convivenza nello spazio condiviso della socialità umana. Un’impresa che tutti ci accomuna chiedendo forme di coscienza collettiva e di cooperazione effettiva senza intransigenza corporativa da parte di qualsiasi settore della realtà italiana – dalla Chiesa agli imprenditori.

Il mondo delle imprese, che nel corso degli ultimi decenni è stato sempre più orientato a gestire il proprio operato con azioni programmate per rispondere con soluzioni personalizzate a esigenze differenziate, si è ritrovato da un giorno all’altro in uno scenario totalmente ribaltato, integralmente occupato da un solo problema comune, urgente, che non fa distinzioni, una questione di sopravvivenza che ha stravolto ritmi, relazioni e priorità chiamando ogni singolo attore della filiera a un’impresa comune che non richiede competizione, ma cooperazione.

Un trauma, un’irruzione della fiction apocalittica nella realtà quotidiana, che ci ha riportato in una dimensione perduta, dimenticata, di isolamento, stasi, letargo, con sensazioni inquietanti d’incredulità, di sgomento e provando collettivamente sentimenti come il dolore, la paura e l’angoscia che credevamo riservati alla vita privata.

Ci siamo ritrovati tutti uguali, come ai tempi del servizio militare, con la stessa divisa, lo stesso obbligo di rimanere a casa: il cantante, l’operaio, l’imprenditore, la star. Nessuno escluso. L’economia si è fermata, i consumi bloccati. E intanto sempre più vivo il pensiero e la voglia di tornare a vivere, lavorare, uscire, stare con gli altri, sentirsi utili.

La reazione delle imprese

Le imprese hanno risposto, si sono adeguate, hanno atteso come tutti, pazientemente. Hanno atteso i codici Ateco, hanno atteso le filiere e ora attendono le dritte sull’export. Hanno organizzato lavori smart, stanno lavorando alla sicurezza per il rientro.

Ma hanno anche chiesto supporto con la cassa integrazione e stanno aspettando regole certe sull’accesso alla liquidità, che ancora non si vedono. Ora il tempo a disposizione è terminato.

Da un lato, le imprese sono più che mai consapevoli di essere chiamate a grandi trasformazioni a lungo e breve termine e ad ogni livello, vision, mission, strategia, organizzazione, marketing, sia in relazione ai propri prodotti e servizi sia rispetto alle pratiche quotidiane in conformità alle misure di sicurezza che cambieranno il modo di lavorare e relazionarsi.

Dall’altro lato, altrettanto pressante, l’emergenza finanziaria, la voragine del fermo-produzione che si ripercuote su tutta la filiera e tutti gli attori coinvolti, fornitori, clienti, lavoratori, perché ogni giorno di fermo chiama soldi e i “costi fissi”, così ben spiegati al corso di economia aziendale («I costi fissi sono quei costi che hai se anche non tiri su la saracinesca» diceva il professore), ovvero stipendi, affitti, canoni, sono implacabili, peggio di una spada di Damocle, un nodo scorsoio.

La grande Legge

Il tempo di attesa è terminato. Le leggi del libero mercato sono spietate. Si tratta di selezione naturale. Mors tua vita mea. È tempo di decidere velocemente quale partita possono giocare i diversi attori per rimettere in moto un sistema che vede al centro della vita sociale la dinamica economica, le imprese, il lavoro, il mercato.

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La sopravvivenza sarà per molti un’urgenza continua, un’emergenza quotidiana condivisa da ogni reparto e ufficio: le imprese saranno da subito simultaneamente impegnate a riprendere le relazioni con il mercato, a spingere sull’acceleratore dello sviluppo e dell’innovazione, a ripensare la logistica, le scorte e il magazzino e a gestire la nuova organizzazione del lavoro: distanze, trasporti, dispositivi nonché le comprensibili ansie di tutti i collaboratori.

Una nuova complessità, che porterà nuove tensioni, insicurezze, resistenze, dissidi e, in un certo senso, sarà vissuta nella fase di adeguamento come una tassa occulta, una zavorra che renderà ancor più difficile e incerta la propria presenza sul mercato e ancor più problematici gli investimenti già programmati nell’innovazione tecnologica indispensabile per superare la sfida della sostenibilità, già di per sé una sfida multipla, e da oggi ancora più complessa, perché, oltre alla sostenibilità ambientale, sociale e finanziaria, dovremo inseguire la sostenibilità sanitaria.

Fonte energetica primaria per la ripartenza, soprattutto per le PMI (Piccole e medie imprese), sarà lo spirito imprenditoriale, caratterizzato da un mix di egoismo, ambizione, senso di responsabilità e tenacia. Il legame profondo dell’imprenditore verso il suo progetto, verso la sua impresa, i collaboratori e il territorio saranno lo stimolo, le motivazioni viscerali che porteranno gli imprenditore a “farsi in quattro” e coinvolgere tutti nell’impresa comune di salvare l’azienda, il lavoro e il futuro.

Una nuova consapevolezza

In questo contesto, le imprese sono anche al centro dell’attenzione di un’opinione pubblica accesa da una rinata passione politica, dopo decenni di disinteresse, e sono investite di responsabilità e chiamate a dare risposte e a fare scelte che spetterebbero alla politica.

Molti considerano questa pandemia come un segnale, un avviso, e invitano a sviluppare una seria riflessione critica sul nostro modello di vita, chiedendosi se valga la pena tornare a essere come prima, a fare la vita che facevamo prima o se questa non sia piuttosto l’opportunità per cambiare radicalmente modelli di vita e sistemi sociali.

In realtà, la questione è da porre in altri termini, meno contrapposti e più realistici. Si tratta di seguire con nuova consapevolezza, consenso e determinazione quel percorso di cambiamento globale nell’ottica della sostenibilità, dell’economia circolare, sostenuto da strategie integrate promosse dalla UE per la riconversione industriale, il riciclo delle materie prime, la riduzione dei consumi di aria, acqua, suolo ed energie non rinnovabili in favore di un nuovo modello culturale e industriale meno consumista e più digitale, un modello nel quale la sigla CSR – la responsabilità sociale d’impresa – non sarà un corollario di facciata ma un cardine guida per ogni tipo d’impresa. Un modello economico coerente con le 17 global goals indicate dall’ONU per evitare il collasso del sistema terra/umanità.

Un modello economico che coinvolge non solo le imprese, ma anche i consumatori, chiamati a loro volta alla responsabilità sociale delle scelte d’acquisto, mobilità, stili di vita, abitudini, educazione.

Sostenibilità, rivoluzione digitale e terzo settore

Questa crisi ci ha fatto capire che la sostenibilità e la rivoluzione digitale, i due temi principali nell’agenda politica, economica e sociale alla fine dello scorso anno non sono in antitesi, ma possono diventare “migliori amici”, e agire in sinergia.

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La sostenibilità globale è attraversata dal digitale e se entrambe saranno vere protagoniste della responsabilità di impresa, del modo di gestire ogni euro pubblico o privato, avremo imboccato il sentiero verso l’economia civile, per dirla con Zamagni.

In questa nuova dimensione, non statalista, non capitalista, l’economia di mercato diventa “civile” perché è il risultato dell’interazione fra Stato, mercato e società civile o comunità, con l’obiettivo del benessere comune.

La dimensione comunitaria, sociale, abbraccia il terzo settore, avvolge la sanità, il volontariato. Abbiamo visto la forza dirompente che crea? Possiamo lasciare in futuro questa forza ai margini?

Allargando il pensiero, in ogni ambito decisivo di governance – quello politico, quello d’impresa e quello sociale – dovrebbe essere presente una rappresentanza delle altre due, sviluppando una gestione condivisa, coerente e non contrapposta. Ai tavoli decisivi delle scelte economiche, a livello nazionale così come nelle Camere di Commercio, devono essere presenti non solo le imprese dei diversi settori, ma anche il terzo settore, e la politica.

Si tratta di applicare in modo preciso i metodi della responsabilità sociale, utilizzando in primo luogo la “matrice di materialità”, che sull’asse delle ordinate ha gli obiettivi dell’impresa, mentre sull’asse delle ascisse riporta gli obiettivi degli stake-holders dell’impresa, ovvero azionisti, clienti, lavoratori, fornitori, collaboratori: il grafico che risulta incrociando i rispettivi obiettivi determina l’ordine delle priorità e delinea il processo delle azioni da attivare per raggiungere gli obiettivi.

Questo approccio ha in sé un’innovazione determinante: la politica aziendale che ne risulta non è dettata dal “padronato” e nemmeno imposta dallo Stato, ma viene dalla comunità di lavoratori, clienti, fornitori e utenti che rappresenta il mercato. Lo chiedono le persone, lo chiedono i giovani. I giovani che sono la parte meno ascoltata di tutta la storia, ma che sono il nostro futuro e, quando meno ce lo aspettiamo, si troveranno a decidere cosa comprare, chi votare, con chi stare.

Un’impresa comune

Questa nuova identità dell’impresa come impresa comune, non solitaria, ma partecipata, condivisa, sostenibile, come impresa di pace, non finalizzata alla conquista, ma al benessere distribuito e alla risposta a esigenze umane, deve essere il modello, la direzione che vogliamo avere nella nostra mente e nei nostri cuori già da adesso, mentre siamo impegnati a sopravvivere, ad evitare il naufragio, deve essere motivazione e la meta che ci spinge a uscire dalla tempesta.

In questa direzione si stanno movendo i principali fondi di investimento internazionali, ponendo l’attenzione su attività che operano in chiave di responsabilità sociale. L’ecosistema si sta ampliando e comprende grandi multinazionali, istituzioni, fondazioni, start up.

L’Europa dovrà saper coniugare i diversi ma ugualmente urgenti bisogni del dayafter, e in questa complicata fase della ripresa metterà alla prova la sua stessa esistenza: se la supererà, la sua mission ne uscirà rafforzata, la sua vision vincente e le politiche sostenibili, evolute e responsabili di cui è promotrice diventeranno fattori di forza e modelli di riferimento anche per le economie in continua crescita come quella cinese o le economie che si stanno chiudendo come quella americana.

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L’aria che respiriamo in questi giorni ci parla chiaro, il ritmo intenso e umano di queste giornate ci ha indicato il valore delle relazioni tra le persone, l’importanza della scienza e quindi della ricerca, la centralità sociale del terzo settore, la necessità di strutturare produzione e logistica in modo da poter rispondere anche in emergenza ai veri bisogni primari, che avevamo forse dimenticato.

Come ha detto Muhammad Yunus: «Non è l’economia che ci trascina, l’economia siamo noi e noi disegniamo i modelli che possono avere sempre nuove forme, in grado di gestire le nuove complessità».

La cura della casa comune, come ci ha indicato papa Francesco, è la vera impresa che dobbiamo e vogliamo realizzare, insieme si può, ecco la lezione della pandemia, ecco il nuovo slogan per le nostre aziende chiamate a ripartire, a rinnovare sé stesse, la filiera, il mercato, l’economia italiana, l’Unione Europea, l’equilibrio mondiale: l’impresa straordinaria è un’impresa comune.

  • Giovanna Ricuperati è fondatrice e presidente di Multi-Consult e vicepresidente di Confindustria Bergamo.
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