L’epifania del terzo governo

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I giornali di venerdì 11 gennaio hanno registrato, quasi all’unisono, la notizia della “presa del potere” del Presidente del Consiglio Giuseppe Conte. Sarebbe, di per sé, una “non notizia” dato che tra gli attributi del Presidente del Consiglio c’è precisamente quello di coordinare i poteri dei vari dicasteri esercitando così una sorta di superpotere.

La particolare gestazione del governo in carica, compresa la faticosa enucleazione del suo Presidente – che fosse il più possibile scolorito – ha tuttavia inserito nel panorama politico un elemento specifico che ha fatto scrivere di Conte come di un “re travicello”, una figura informe o, meglio, un’entità in grado di assumere persino “la forma dell’acqua” pur di corrispondere al volere dei due azionisti di riferimento della maggioranza: i Cinquestelle e la Lega.

I non affiliati

Lo svolgimento delle cose nei primi mesi di esistenza della compagine governativa hanno messo in luce il protagonismo a turni alterni, e qualche volta in contemporanea, di Salvini e Di Maio, mentre a Conte era riservata l’oscurità dell’altra faccia della luna. Tutti sapevano che esisteva ma non si riusciva a scorgerlo e, tantomeno, ad apprezzarne l’operato.

A dire il vero, chi scrive aveva fin dall’inizio sottolineato la necessità di integrare la tesi dei due governi in uno, con l’aggiunta di un terzo governo, rappresentato dai “non affiliati”, cioè dagli esponenti non provenienti dai due filoni della maggioranza anche se da questi sponsorizzati o accettati. I ministri Tria, Moavero-Milanesi e lo stesso Conte rientravano di diritto in questa categoria. E, prima o poi, una loro presenza si sarebbe fatta percepire.

Tornando a Conte, va riconosciuto che ha dato prova di saper esercitare in sommo grado la virtù della pazienza. Ve lo immaginate un Craxi o un De Mita che lasciano l’uso del balcone di Palazzo Chigi ad un giovane parvenu politico perché annunci, con i suoi accoliti inneggianti, di avere… abolito la povertà? O un Moro o un Fanfani che sopportano le prepotenze di un loro “vicario” che fa il bello e cattivo tempo in materia di immigrazione e indossa non si sa più quale divisa per dichiararsi arbitro degli attracchi nei porti italiani, all’insegna di un “non passa lo straniero” degno di miglior causa?

L’abito fa il monaco, ma…

È giusto osservare, con il buonsenso ordinario, che, in genere, certe evoluzioni avvengono anche perché “è l’abito che fa il monaco”. Lungo la strada di questo governo, però, si sono verificati due fatti che hanno consentito, per così dire, l’affioramento di Conte fino all’epifania di inizio anno.

Il primo fatto è stato la faticosa trattativa con l’Unione Europea per portare a casa (debitamente depurata) la manovra economica; e qui si è rivelata essenziale la collaborazione di Tria. Indipendentemente dal risultato finale, la prova offerta sulla scena internazionale ha fornito al premier una carta di credito di grande importanza, riflesso anche di collaborazioni intelligenti e di saggi consigli.

Con i due vice che gli gridavano addosso di non arretrare di un solo millimetro, l’esito della trattativa europea si può accostare, mutatis mutandis, alla “lunga marcia” di Mao Tse Tung, esempio storico di… ritirata vincente.

Chi vuole può anche ritenere che l’insipienza dei suoi sodali di governo abbia fatto risaltare doti di leadership che non si sospettavano in un tranquillo ordinario di diritto.

Va anche detto che il premier avrebbe potuto seguire un altro percorso per acquistare autonomia nei confronti dei suoi “vice”: avrebbe potuto cioè conferire ad essi, o ad uno tra i due, la delega a condurre il negoziato di Bruxelles. Metterli alla prova per scoprirne i limiti. Ma una simile perfidia sarebbe stata una stonatura rispetto al carattere felpato delle mosse di Conte.

Il volo alternativo

L’altra situazione rilevante ai fini dell’emersione del Presidente del Consiglio si è configurata quando, di fronte al caso tragico dei 49 naufraghi raccolti da due navi Onlus e rifiutati da tutti, si è profilata una soluzione europea (mediata da Moavero?) che assegnava al nostro paese una quota minima delle famiglie salvate. A Salvini che insisteva: «I porti italiani sono chiusi», Conte replicava: «E io vado a Malta a prenderli in aereo». Come dire che la partita era chiusa.

Che spunti ricavare da questa epifania del terzo governo? Introduce nella situazione qualche elemento di novità? E con quali prospettive?

Intanto vanno registrate le reazioni dei due interessati: molto aspre quelle di Salvini, inadatto a presentare come un successo lo scorno patito; più diplomatiche quelle di Di Maio, disposto, sembra, a… mandare avanti Conte per essere più libero nella tessitura delle relazioni europee alla quale si dedica in vista delle elezioni.

Ma, soprattutto, si deve prendere atto che un ruolo, quello del Presidente, che prima era sottotraccia, è diventato esplicito e c’è da aspettarsi che sarà svolto, avrà una presenza e una voce. Per come funzionano le cose in Italia c’è anche da aspettarsi che diminuiscano i… clienti dei due vice e si dilati la (finora inesistente) clientela del premier.

Miracolo digitale o coraggio di cambiare?

Se questo comporti una mutazione degli equilibri politici, è presto per dirlo. Più che dall’esito delle elezioni europee, alle quali tutti guardano, c’è da chiedersi quale potrà essere la risposta del governo alla nuova crisi economica che si va profilando con la decrescita industriale e il calo dell’occupazione.

Si insisterà con una dilatazione delle spesa corrente a scapito degli investimenti, confidando nel nuovo… miracolo economico legato alla realizzazione (ma quando, ma come: chiederlo a Di Maio) delle autostrade digitali? O si cambierà strada con un atto di coraggio che implicherebbe, detto chiaramente, l’abbandono delle “misure bandiera” dei due azionisti del governo e il dirottamento di tutte le risorse così rese disponibili su un piano pluriennale di sviluppo dell’occupazione anche con interventi a produttività differita, come una seria manutenzione del territorio e un piano per la valorizzazione dei beni culturali?

Miscele e esplosive

L’altra ipotesi che si va profilando, stando alle ultime sortite dei due capi in cerca di consenso, sembra essere quella di una ripresa del discorso sulle riforme istituzionali, a partire da un referendum configurato come una sorta di esercizio permanente di democrazia diretta o di un rilancio delle misure securitarie come la legge sulla legittima difesa per la quale si preannuncia il voto di una maggioranza ricompattata. Restano poi, sullo sfondo, le questioni delle grandi opere e delle trivellazioni marine, per le quali i Cinquestelle sembrano ritrovare le antiche passioni.

Si tratta, in ogni caso, di miscele esplosive la cui deflagrazione potrà avvenire a ridosso (il prima o il dopo è una delle variabili) delle elezioni europee di maggio.

Se il governo riuscirà a doppiare indenne questo “capo delle tempeste”, lo si dovrà alle ulteriori prove di pazienza e di mediazione che il presidente Conte è chiamato ad affrontare, ormai in prima persona.

Se non riuscirà a superare l’ostacolo, non si potrà invocare né l’ostilità europea né l’intrusione di fattori esterni. Vorrà dire che la fragile costruzione di un governo a tre punte, con la terza che si è manifestata nel modo incidentale che si è visto, non ha avuto fiato sufficiente. E allora non vi saranno che due possibili alternative: o il ritorno alle urne per ripartire da zero, oppure l’esplicita adozione della formula, tante volte sperimentata in passato, di un governo di decantazione senza più ambizioni che non siano quelle dell’ordinaria amministrazione. Che per una formula siffatta sia stato già collaudato un Presidente, sarebbe comunque una ben magra consolazione.

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