Meloni a Cop28

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Continua a sorprendermi l’accanimento col quale la presidente Meloni – e con lei tutto il Governo italiano – continua la battaglia contro la carne coltivata, come se da questo dipendesse il futuro dell’umanità.

Nel suo discorso all’inaugurazione della COP 28, a Dubai, la presidente, che certamente è donna intelligente, in un contesto nel quale si vorrebbe – forse invano – cercare soluzioni per un «pianeta che brucia», ha mescolato la lodevolissima iniziativa di adesione dell’Italia al fondo Loss & Damage con un nuovo attacco alla carne coltivata, collocandola in un futuribile mondo nel quale i ricchi potrebbero godere delle prelibatezze e delle eccellenze del cibo italiano e della dieta mediterranea, lasciando ai poveri il cibo creato in laboratorio.

Così, ha rilanciato il suo Piano Mattei del quale solo alcuni vaghi contorni sono, ad oggi, delineati – certamente non in linea con l’accorato invito del Segretario Generale ONU, António Guterres ad abbandonare i combustibili fossili – nel rilancio della produzione agricola in Africa per alimentare tutto il pianeta.

Purtroppo, le cose non sono così semplici. Sono almeno tre i fattori che andrebbero considerati con molta maggiore attenzione, al di fuori della continua campagna elettorale italiana.

Il primo è l’esplosione demografica dell’Africa, continente nel quale la popolazione cesserà presumibilmente di crescere solo a partire dal 2070-80, quando nel pianeta “saremo” almeno 10 miliardi. Ogni giorno, sulla Terra vi sono circa 200.000 persone in più da sfamare. Le terre arabili sono già state largamente utilizzate, ed aree sempre più vaste sono occupate dagli insediamenti urbani.

A meno di abbattere pure i santuari della biodiversità, come purtroppo già si sta facendo nella foresta amazzonica, risulta difficile pensare di espandere ulteriormente la produzione alimentare. L’Africa è sempre più terra di conquista delle multinazionali che usano terreni per produrre cibo che non rimarrà nello stesso Continente. Il fenomeno del land grabbing obbliga le popolazioni residenti a spostarsi nelle misere baraccopoli delle immense città, ove il contrasto alla miseria si fa ancor più difficile. Ricordo che questa è una delle ragioni principali che spinge i «migranti economici», tanto poco considerati dal governo italiano, sulle nostre coste.

Il secondo problema è l’impatto della produzione di cibo – e degli allevamenti in particolare – sul cambiamento climatico. Le attività connesse alla produzione di cibo sono responsabili di circa il 25% della produzione totale di gas ad effetto serra: il 40% di questa quota dipende dagli allevamenti che producono un immenso debito ecologico, idrico e carbonico. La richiesta di cibi contenenti proteine di origine animale sta crescendo in tutto il pianeta, particolarmente in Paesi, come la Cina, nei quali era quasi sconosciuta sino alla metà del secolo scorso.

Questo ha portato all’incremento degli allevamenti e delle colture a loro destinate. Ma almeno i tre quarti delle calorie investite per nutrire gli animali non ritornano all’uomo attraverso la carne ed i prodotti caseari. Così, ci potremmo trovare tra qualche anno a dover scegliere se sfamare le persone o sfamare gli animali. I dati riferibili alla produzione di carne coltivata sono ancora scarsi, ma è abbastanza facile prevedere che l’impronta idrica possa essere significativamente ridotta. Sarà, tuttavia, necessaria molta energia per produrre carne coltivata, ma è del tutto sensato ritenere che l’impatto ambientale complessivo possa essere ridotto, specie per effetto del più facile impiego di energia da fonti rinnovabili

Il tema dell’impronta ecologica si riflette anche in campo etico. La presidente del consiglio ha delineato un mondo bucolico di cui abbiamo memoria o effetto visivo dalle vacanze in montagna, ben diverso dalla realtà quotidiana di molti allevamenti intensivi di bovini e suini in Italia e nel mondo, per non parlare della pollicoltura anche locale.

Le campagne di pubblicizzazione della carne coltivata sono state lanciate col grido di «Eat meat! Not animals!» ed hanno, in parte, raccolto il favore degli animalisti e dei vegani, con manifestazioni di consenso diverse tra le appartenenze religiose. Ma il mondo cha ha fatto del vegetarianesimo e del veganesimo una scelta di principio a favore degli animali non può non guardare con interesse a questa possibilità.

Per chi si occupa, come me, di scienza e di alimentazione, il tema della carne coltivata suscita pensieri diversi e, per certi versi, contrastanti. Ma quel che è certo è che la medicina ammonisce da tempo di ridurre il consumo di carne associato al rischio di malattie metaboliche e di tumori; e, per un medico, rappresenta sicuramente un successo la possibilità di realizzare in laboratorio un cibo contenente le proteine nobili della carne evitando l’uso sistematico di antibiotici sistematicamente realizzato negli allevamenti intensivi ed in buona misura responsabile della antibiotico-resistenza. Servirà molta cautela e sorveglianza – per il principio di precauzione -, ma i dati, ad oggi a disposizione della scienza, non sono allarmanti, in fatto di sicurezza alimentare e salute sulla carne coltivata.

Da ultimo: il tema commerciale, sollevato dalla Meloni. Immaginando un futuro nel quale i ricchi potranno alimentarsi con ottime carni da allevamenti selezionati, mentre ai poveri verrà servita la carne coltivata, la presidente pare esser corsa molto avanti! Il costo della carne coltivata è oggi – ove è commercializzata – da 5 a 10 volte superiore a quello della carne di allevamento, ovvero è decisamente un cibo per ricchi. Il tema etico che traspare in molte rassegne è, dunque, assolutamente capovolto: è quello di una disequità nella quale solo i ricchi possono continuare a mangiare carne – ma coltivata! – mentre la quantità di carne da allevamento non sarà più sufficiente per nutrire il pianeta.

E se così sarà – per fornire un assist alla Coldiretti e contro ogni regola dettata dalle Commissione Europea – la scienza italiana e la filiera produttiva Made in Italy avrà perduto l’ennesima possibilità di essere competitiva nel mondo, così come, del resto, sta accadendo con lo sbandierato sostegno alla «eccellenza» dei motori italiani a combustione, in un mondo che va decisamente verso le auto elettriche!

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