Migranti e diritto di residenza

di:
Mumolo

Antonio Mumolo, presidente dell’Associazione “Avvocato di Strada”

 

Lo scorso 3 maggio il Tribunale di Bologna ha emesso una sentenza con cui ha ordinato al Sindaco di iscrivere al registro anagrafico dei residenti una donna richiedente asilo.

La donna si era vista negare l’iscrizione sulla base di quanto stabilito dal cosiddetto «Decreto sicurezza», voluto dal ministro Salvini, e, pertanto, si era rivolta all’associazione «Avvocato di Strada», la quale ha presentato il ricorso da cui nasce questa sentenza. Anche il Tribunale di Firenze, a marzo, aveva accolto un ricorso simile presentato dall’avvocato Zorzella di ASGI, ordinando al sindaco di Scandicci di iscrivere fra i residenti un richiedente asilo.

La sentenza di Bologna ha causato però un grande clamore mediatico, poiché il vicepremier Salvini ha speso parole pesanti contro la magistratura, sostenendo che il giudice abbia in realtà emesso una decisione politica e contro la legge stessa.

La realtà è un’altra. Non solo la sentenza del giudice non è influenzata da una valutazione politica; non solo è giuridicamente corretta e applica la legislazione italiana riguardante l’iscrizione all’anagrafe dei residenti; ma è anche rispettosa del quadro normativo costituzionale e comunitario.

L’art. 13 del Decreto, quello usato dal funzionario dell’anagrafe per negare la residenza alla donna, stabilisce che il permesso di soggiorno «non costituisce titolo» per l’iscrizione anagrafica nel registro della popolazione residente. Il dato testuale della norma, quindi, non vieta espressamente la concessione della residenza, ma si limita a dichiarare che il permesso di soggiorno per richiesta asilo «non costituisce titolo» per l’iscrizione. Il giudice non ha deciso contro tale legge, ma ha interpretato questa norma in maniera coerente con la Costituzione e rispettosa dei diritti da essa garantiti (in Italia solo la Corte costituzionale può dichiarare una norma incostituzionale e annullarla).

Infatti, la legge italiana in materia di residenza, il Regolamento anagrafico della popolazione residente (DPR 223/1989), all’art. 14 stabilisce che la concessione della residenza agli stranieri muniti di permesso di soggiorno avviene su dichiarazione dell’interessato e dopo accertamenti compiuti d’ufficio dall’Ufficio anagrafe riguardanti la stabile permanenza nel luogo, ovvero per più di tre mesi, e la volontà di rimanervi. Il diritto alla residenza, pertanto, non necessita di alcun titolo neppure per le persone trasferitesi in Italia dall’estero.

La norma del «Decreto sicurezza» presenta inoltre profili di dubbia costituzionalità, poiché negare la residenza rende ingiustificatamente più gravoso l’esercizio di molteplici diritti individuali costituzionalmente protetti, come il diritto all’istruzione, quello al lavoro e quello alla salute. Avere la residenza è, infatti, condizione necessaria, ad esempio, per compilare la domanda d’iscrizione scolastica o a un corso professionale, per la sottoscrizione di un contratto di lavoro, per l’apertura di un conto corrente su cui versare lo stipendio, per conseguire la patente di guida, per scegliere il medico di base ecc…

Infine, il giudice nella sua decisione ricorda che nel rispetto degli artt. 2 e 10 della Costituzione (il primo riconosce e tutela i diritti inviolabili della persona e il secondo dà diritto d’asilo a ogni straniero al quale sia impedito nel suo paese l’effettivo esercizio delle libertà democratiche garantite dalla Costituzione italiana), nonché in base l’art. 2 del T.U. 286/98 (che garantisce allo straniero presente nel territorio i diritti fondamentali della persona umana previsti non solo dal diritto italiano ma anche da quello internazionale), non può quindi prevedersi una discriminazione nei confronti dei richiedenti asilo regolarmente soggiornanti che limiti il diritto alla iscrizione anagrafica.

Il giudice quindi ha ritenuto che interpretare l’art. 13 come contenente il divieto di concessione della residenza ai titolari di permesso di soggiorno fosse contrario alla costituzione e che, dunque, fosse preferibile e possibile una diversa interpretazione, poiché l’assenza di un esplicito divieto di iscrizione all’anagrafe dei residenti da parte dei richiedenti asilo consente di interpretare l’art. 13 come una semplice abrogazione dell’automatismo previsto dalla legislazione precedente, che permetteva al responsabile dei centri di accoglienza di richiedere l’iscrizione anagrafica per i richiedenti asilo.

Secondo il Tribunale di Bologna e quello di Firenze, dunque, un richiedente asilo con permesso di soggiorno può ottenere la residenza dimostrando la regolarità del proprio soggiorno e la stabile permanenza per tre mesi e la volontà di rimanervi.

Luca Gavioli è praticante presso uno studio legale e volontario della associazione «Avvocato di Strada» (qui tutte le informazioni sull’associazione).

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