Italia: inviato speciale per la libertà religiosa

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inviato speciale

L’Italia si sta per dotare di un inviato speciale per la libertà religiosa e – per iniziativa del governo italiano – pure per il dialogo interreligioso. Dopo la sollecitazione della fondazione “Aiuto alla Chiesa che soffre” sono state infatti presentate due mozioni parlamentari in tal senso, approvate all’unanimità.

La figura esiste anche a livello europeo, ma limitatamente alla libertà religiosa nel rapporto coi Paesi al di là dall’Unione.

A livello italiano, con ogni probabilità, sarà una figura poco più che simbolica, con la facoltà, tuttavia, di sensibilizzare l’opinione pubblica in merito a realtà di fatto assai problematiche in tante parti del mondo, sino ad occuparsi di situazioni di eccezionale gravità.

Il nuovo ruolo, forte della specifica sul dialogo interreligioso suggerita dall’esecutivo, potrà essere interpretato in modo estensivo e quindi proficuo. Secondo la mia opinione, l’incarico potrebbe assumere un maggiore rilievo se si pensasse di attribuirvi una valenza soprattutto mediterranea e, nel mentre, assorbire una istanza di armonizzazione dell’attuale quadro normativo italiano.

L’islam in Italia

Nel nostro Paese, come è noto, esistono dodici moschee ufficiali, ossia riconosciute come tali. Si è recentemente scritto dell’approvazione della moschea da parte della giunta comunale di Piacenza, ma secondo molti a ragione di una svista: non ci si sarebbe resi conto del parere positivo espresso dagli uffici tecnici comunali rendendo a quel punto impossibile un rifiuto.

Molto più diffusi nel nostro Paese sono i Centri culturali islamici e soprattutto i luoghi di culto informali, quali garage ed altri ambienti adattati allo scopo, ma di per sé non idonei al culto.

Questi dati evidentemente non premiano chi chiede sicurezza e sermoni in italiano: tanto per fare due esempi. In ogni caso, chi pensa che un milione e mezzo di praticanti musulmani in Italia, possano essere assistiti nella loro vita religiosa da dodici luoghi di culto soltanto?

I tempi della pandemia ci hanno parlato – se abbiamo ascoltato e guardato con attenzione – di molti musulmani rimasti con le salme dei congiunti in casa, per mesi, impossibilitati ai riti e alle sepolture per i noti divieti e le carenze di spazio nei cimiteri. A tale proposito è importante dare rilievo a quanto, in questi giorni, i media hanno riferito sull’apprezzamento diffuso per il cimitero interreligioso di Rieti, del quale si è appena celebrato il ventennale: una realtà stimata per la riserva di amicizia tra i vivi che la memoria dei morti può certamente generare tra le diverse appartenenze.

Un nuova mentalità multireligiosa

Naturalmente nel nostro Paese non sussiste solo una questione islamica. C’è tutto il problema delle confessioni che, a tuttora, non dispongono di un riconoscimento completo, cioè di un’intesa con lo Stato italiano.

Va davvero costruito un abito mentale da Paese multireligioso che richiede ulteriori progressi. Basti pensare alle intese raggiunte sulle misure per contrastare il Covid, preventivamente discusse dal Governo solo con la Conferenza Episcopale. Si è posto rimedio solo successivamente.

L’inviato per la libertà religiosa è stato molto impiegato, ad esempio, dall’amministrazione Trump, per scelta dell’allora vicepresidente Pence. Eppure, molti ricorderanno che proprio gli Stati Uniti rischiarono un serio infortunio in materia di libertà religiosa proponendo il muslim-ban, con cui si voleva proibire l’ingresso negli Stati Uniti ai cittadini di Somalia, Sudan, Iran, Iraq, Siria, Yemen e Libia: provvedimento poi parzialmente rivisto.

Pure la libertà dei cristiani cattolici è stata scalfita, nello stesso tempo politico, con l’intemerata dell’allora Segretario di Stato americano Mike Pompeo contro la Santa Sede per via dell’accordo provvisorio di questa con la Cina. Quel testo – in cui si affermava che se la Santa Sede non avesse sconfessato l’accordo provvisorio con Pechino avrebbe perso la sua autorevolezza nel mondo – fu scritto e pubblicato proprio alla vigilia di una visita ufficiale in Vaticano in cui Pompeo non vide Francesco.

Colpisce oggi la refrattarietà della sinistra a considerare l’importanza di una politica impegnata per la libertà religiosa, quasi sussistesse un riflesso condizionato che ancora ripete, nel profondo di alcuni, la voce di Marx che parla dell’oppio dei popoli.

Spesso il Vaticano ha ricordato che la libertà religiosa fonda tutte le altre. Ciò dovrebbe apparire peraltro del tutto logico: se non viene rispettata la libertà più intima dell’essere umano, come potrà essere rispettata la libertà umana – integrale – di pensiero, di azione, di vita associata, di partecipazione e di molto altro?

Il Mediterraneo

Resta che un inviato per la libertà religiosa e il dialogo interreligioso potrebbe rilanciare il ruolo dell’Italia nel Mediterraneo.

La libertà religiosa ha certamente bisogno di un’agenda di riferimento e di una centralità che, a tutt’oggi, non ha. Potremmo definirla l’agenda della ‘nuova reciprocità’: tale non è la concessione di uno spazio di culto ‘da noi’, nel nostro Paese, a patto che sia concesso anche ‘da voi’, in altri Paesi a diversa prevalenza religiosa, il che sembrerebbe riportare ai modi della religione di Stato.

Nuova reciprocità è, a mio parere, quell’azione che papa Francesco ha così tratteggiato: “il nostro mondo sa moltiplicare le connessioni, ma proprio oggi facciamo fatica ad ascoltarci e a comprenderci. Il dialogo è espressione autentica dell’umano, una via che merita di essere intrapresa con pazienza per trasformare la competizione in collaborazione”.

“È la via per edificare insieme il futuro”, ha aggiunto in un messaggio proprio in questi giorni a La Civiltà Cattolica e alla Georgetown University in occasione del simposio là promosso sulla cultura dell’incontro.

Così, venire ora a sapere che in Libia i corsi per le guardie costiere – finanziati da Bruxelles e da Roma – sono gestiti da quel signore detto Bija, inserito nella lista nera dalle Nazioni Unite, non favorisce certamente l’incontro, ma l’incomprensione.

Ha scritto, in proposito, Nello Scavo su Avvenire: “Uno smacco per Roma e per Bruxelles che continuano a sostenere di avere intrapreso iniziative di cooperazione con la ‘parte sana’ della marina libica e non con i trafficanti di esseri umani, armi, petrolio e droga: proprio alcuni dei capi d’imputazione riportati negli alert dell’Interpol per Bija e il suo gruppo”.

In questo quadro – delicato e complesso – un inviato per la libertà e per il dialogo interreligioso potrebbe promuovere il ruolo dell’Italia quale facilitatore nei rapporti nel nostro bacino tra chiunque sia interessato a dare impulso al rispetto e a far emergere quelle ‘buone pratiche’ che – quando esistono ed esistono davvero – spesso rimangono sconosciute.

Anche la cooperazione allo sviluppo potrebbe essere parte dell’impulso di novità. Ciò significherebbe allargare l’ambito della amicizia alla ricerca di una concreta collaborazione, nel verso dell’ascolto delle esigenze autentiche di chi chiede aiuto.

Naturalmente l’istanza di libertà religiosa comporta il coraggio e la capacità di guardare gli orrori e le violazioni tremende che sappiamo avvenire nel mondo, a cominciare da ciò che sta accadendo dentro colossi mondiali, come la Cina, l’India o la Nigeria.

La questione va posta con chiarezza e con fermezza in una prospettiva di breve e medio termine. La forza intrinseca dell’idea di libertà religiosa è in grado di attivare – non di arrestare – volani di comprensione reciproca. Con ciò voglio ancora ‘credere’ nella potenzialità dell’umanità tutta di essere ‘buona’.

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