Candidati in cerca d’autore

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Elezioni reali, risultato virtuale. O Viceversa. Fate voi. Virtuale nel senso di un’apparenza priva di effetto pratico attuale.

Vi sono tanti motivi per affermarlo. Soprattutto c’è il fatto che i candidati che aspirano al primato, o dichiarano di farlo, o sono persino convinti di avere una missione da compiere, altro non sono che entità incompiute, maschere nude. Di quelle che per Pirandello erano «personaggi in cerca d’autore».

Esplorando il panorama elettorale da questo punto d’osservazione, si ottengono effetti interessanti per una riflessione sulle incognite del dopo-voto.

Un caso dall’esperienza

La prospettiva virtuale è solo in parte figlia del sistema elettorale proporzionale reintrodotto con il “rosatellum”.

Anche quando si componevano i parlamenti della prima repubblica non c’era mai la certezza preventiva su chi sarebbe stato il Presidente del Consiglio.

Per estrarre un caso dalle mie esperienze, a me accadde, nel remoto 1987, di tirare la volata a Ciriaco De Mita (in funzione anti-Craxi) per trovarmi dopo il risultato a sostenere dapprima un governo Fanfani (in prorogatio dalla precedente legislatura) e poi un inedito esecutivo guidato da Giovanni Goria, collocato a quel posto in attesa di un ripristino delle condizioni per il rientro dei socialisti.

Uno stallo prolungato

In genere però, quando si votava negli anni 50 e 60, era abbastanza scontato che fosse il massimo esponente del partito di maggioranza (e allora si trattava di Fanfani e Moro, i due “cavalli di razza”) a ipotecare, o subito dopo il voto o dopo qualche mese di decantazione, il seggio di Presidente.

Non sempre l’operazione riusciva, ma questa era la regola che i partiti accettavano e i presidenti della Repubblica assecondavano.

In che cosa, allora, è diversa la situazione attuale? Che cosa autorizza a paventare che la condizione di stallo che precede il voto sia destinata a prolungarsi anche dopo la consultazione?

Gentiloni e gli altri

Non sono poche le voci che – dando per scontata l’ingovernabilità post-voto – mettono già in preventivo una seconda consultazione accelerata di verifica o di rivincita, con o senza cambiamento della legge elettorale.

Lo stesso larghissimo investimento politico che circonda la figura di Paolo Gentiloni, a parte i meriti personali, è indubbiamente legata all’atmosfera di incertezza e di precarietà che avvolge i passaggi di questa vigilia.

Ma è attorno alle chances dei candidati alla leadership che si addensano le nebbie più fitte. Procedendo ad una… distillazione frazionata delle singole posizioni, si giunge infatti all’esito globale sorprendente enunciato all’inizio.

Non solo ogni candidato non sa quale sorte lo attenda, il che attiene alla fisiologia della politica, ma nessuno degli interessati può essere creduto quando afferma di essere in possesso dei requisiti sostanziali di credibilità in relazione all’ambizione manifestata.

La firma di Berlusconi

Il caso di Berlusconi è il più clamoroso. Non solo perché una sentenza legittimamente inflitta gli inibisce di candidarsi, ma anche perché gli mancano le risorse… energetiche per esercitare, come crede di poter fare, una leadership necessariamente mediata da una figura terza.

L’elettore di destra, quella moderata e quella… meno, sa fin d’ora che la firma di Berlusconi, quella che il protagonista appone in calce all’ennesimo “contratto” con gli elettori, non ha titolo per figurare in un atto legislativo per la semplice ragione che nessuna istituzione nazionale o internazionale la riconoscerebbe.

Il nome del “vicario”

Il fastidio che l’uomo ha manifestato di fronte all’insistenza con cui l’“alleata” Meloni gli chiedeva di fare il nome del… vicario designato come Presidente è il sintomo d’una condizione di minorazione politica, che getta un’ombra, lo si ammetta o meno, sulla figura e sulle prerogative del prescelto.

Delle due l’una: o è una personalità davvero indipendente, e allora deve affrontare una prova diabolica per dimostrare di non essere un semplice esecutore. Se, invece, si tratta di un uomo di paglia, l’eventualità di una sua designazione metterebbe in imbarazzo l’intero mondo politico a cominciare dal Presidente della Repubblica.

E qui, detto tra parentesi, appare sconcertante la disinvoltura con cui Berlusconi mischia le carte gettando nella contesa i nomi di persone di diversa caratura, alcune decisamente rispettabili, che puntualmente lo smentiscono.

Salvini, pretese e limiti

Ovviamente, tutto questo incrementa le ambizioni del capo della Lega, Matteo Salvini, che non a caso tiene ben alta l’insegna della sua pretesa, ben consapevole com’è della debolezza di un competitore formalmente inibito e anche sostanzialmente menomato dal cumulo dell’età e delle esperienze non proprio felici sia nella cosa pubblica che in quella privata.

Salvini beneficia inoltre dell’onda lunga dell’estremismo della paura fino alla contiguità con il mondo del revanchismo fascista. Con lui ha trovato un riferimento certo quella destra sovranista e chiusa che anche in Italia si propone come alternativa ad ogni prospettiva sovranazionale ed europeista.

Ma è proprio la baldanza che ostenta questa componente della politica nazionale (e che si manifesta nella competizione al rialzo con Berlusconi a proposito di “liberazione” dagli immigrati) a imporre un limite oggettivo all’espansione di quest’area e alle corrispondenti ambizioni dei suoi dirigenti.

Nessuno può immaginare ora gli effetti di una tutt’altro che impossibile deflagrazione dei rapporti tra i tre tronconi dell’alleanza di destra. Se ciò avvenisse dopo il 4 marzo, pur in presenza di un successo numerico attendibile, ne deriverebbe un impaccio insormontabile per ogni aspirazione egemonica dello stesso Salvini o di chi per lui.

L’improbabile guida del Pd

Anche il centrosinistra conosce il cruccio della leadership improbabile. Qui non ci sono ostacoli formali, ché anzi la coincidenza tra candidato premier e segretario del Pd è scritta nello statuto del partito.

Dunque il candidato è Matteo Renzi. Punto. Così si sarebbe proclamato fino a qualche tempo fa, ma oggi anche in queste contrade «del doman non v’è certezza».

Matteo, anzi Paolo…

È lo stesso segretario a proclamare che soprattutto gli sta a cuore che il Presidente del Consiglio appartenga al Pd, non necessariamente che si chiami Matteo.

Infatti, potrebbe anche chiamarsi Paolo; e anche qui non necessariamente con le motivazioni di provvisorietà evocate all’inizio di queste note. L’interesse del Pd potrebbe anche coincidere con una stabilizzazione di Gentiloni alla guida del Governo, beninteso con un sostegno del Pd che fosse diverso da quello conosciuto da Enrico Letta ai tempi dello “stai sereno”.

D’altra parte, le previsioni per il Pd non confortano le preferenze renziane per un’azione di sfondamento che sbaraglia… gli avversari di destra e di sinistra. La collocazione centrale del Pd, se tale era il disegno del segretario, sembra destinata a realizzarsi di risulta anche se per sottrazioni successive piuttosto che per imponenti accrescimenti.

Navigazione a vista

La politica delle alleanze, accolta solo nel formato mignon con i gruppi minori (Bonino ecc.), rischia di riproporsi come una necessità con il contorno di ben più pesanti condizioni, specie nell’eventualità di rinegoziare un rapporto con il segmento di fuorusciti riaggregato attorno a Pietro Grasso.

Cumulando l’incognita del risultato con le imponderabili condizioni che potranno derivarne, si ottiene un quadro in cui l’unica certezza è rappresentata da un’universale indeterminatezza, il che vieta ogni pronostico sugli assetti da perseguire e sulle funzioni da assegnare. Al Pd pare consentito soltanto un tipo di navigazione: quella a vista.

Cielo stellato ma non sereno

Né più sereno appare il cielo… stellato, inteso come quello del mondo a CinqueStelle.

Qui davvero ci si era portati avanti col lavoro. L’opzione di governo con appannamento di quella di lotta e l’indicazione preventiva e plebiscitaria del “capo politico”, nella persona di Luigi di Maio, avevano caratterizzato la preparazione remota del movimento alla grande prova della conquista del potere.

A tale fine erano volte anche le operazioni tattiche di riavvicinamento al mondo dell’economia e alla realtà dell’Europa con relativo ammorbidimento delle pulsioni più estreme.

Si voleva offrire al paese l’immagine di un meccanismo perfetto, funzionante, compatto. Ma nelle ultime settimane non si sa se il caso, il destino o la perfidia degli avversari hanno buttato sulla strada del movimento una certa quantità di chiodi e qualche pneumatico è scoppiato.

È venuto alla luce un malanno inquietante: il meccanismo della selezione della classe dirigente, affidato agli algoritmi delle primarie cibernetiche, si è dimostrato pieno di falle.

Reclute e veterani

Per un gruppo politico radunato sotto la bandiera della trasparenza è intollerabile che tra i suoi arruolati figurino profittatori o massoni o anche soltanto soggetti già impegnati politicamente altrove; e soprattutto che non vi siano strumenti di garanzia per evitare che si verifichino infiltrazioni anche più preoccupanti.

Il malanno, inoltre, non sembra riguardare solo le nuove acquisizioni ma investe anche alcune figure di “veterani” sorpresi a non rispettare le regole interne sulla devoluzione di parte degli emolumenti parlamentari ad una agenzia per il sostegno delle piccole imprese.

Trasgressione morale

Risorse assolutamente private e quindi nella piena disponibilità dei titolari e operazione senza alcuna incidenza sui costi della politica, ma trasgressione grave di un impegno interno al gruppo, assunto, anche qui, in nome di una superiore moralità.

Con un corollario che sembra rivalutare i metodi empirici di cernita di candidati ed eletti in vigore in altre contrade politiche meno sofisticate. E, in ogni caso, con una perdita di credibilità rivelata più che dai non numerosi casi venuti alla luce, dalle reazioni… scandalizzate e punitive registrate all’interno dei gruppi di comando del movimento.

Esso sa di essere cresciuto sull’esaltazione di certe presunte differenze e si rende conto che, se queste si perdono per strada, ne deriva una diminuzione del prestigio e della credibilità del movimento stesso.

Il quale si vede costretto ad considerare, oltre alle tante ragioni di diffidenza che lo circondano, anche la registrazione di una sconfitta che lo colpisce sul suo stesso terreno preferito. E non si può immaginare che ciò rafforzi le chances di quella che si presentava come l’unica candidatura stabile dell’intero panorama politico.

Quale rappresentazione?

Così, con passo malfermo, si avvicinano al traguardo del 4 marzo i candidati-presidenti, quelli che si sono autoproclamati e quelle rimasti impliciti se non incogniti negli interna corporis di una politica che, appunto, li lascia in cerca d’autore.

Che è – l’autore – un’entità collettiva, il popolo, chiamato ad esprimersi in modo diretto e, sperabilmente, risolutivo col voto sulla scheda. Ed è, in seconda istanza, un’entità istituzionale. Il Presidente della Repubblica. Nessuno però conosce quale sarà la rappresentazione che andrà in scena.

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