L’altra morte

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suicidio pandemia

Non solo di Covid 19 si muore: l’attuale pandemia ha attratto non solo le attenzioni economiche e mediatiche ma anche tutte le risorse sanitarie, sottraendole a molte visite specialistiche e operazioni ritenute non urgenti.

Le altre patologie non sono scomparse e spesso sono rimaste sospese, in attesa di potersene nuovamente occupare. La situazione drammatica di oggi apre anche un nuovo scenario sul fenomeno dei suicidi.

Tempo di depressione

Il direttore di Settimananews riferisce di parroci affranti per una scelta di morte volontaria da parte di alcuni parrocchiani. Qualche dato statistico evidenzia un aumento di suicidi in Italia durante le settimane di lockdown e ci sono stime statunitensi che parlano di 75 mila morti potenziali per disperazione, causate da overdose o suicidio, nei soli Stati Uniti.

La storia è sempre maestra di vita: il Colorado Street Bridge di Los Angeles venne ribattezzato “Suicide Bridge” dopo il 1929, perché divenuto meta non di amanti in cerca di un ponte romantico, ma di disperati a seguito della Grande Depressione che lo scelsero per la sua altezza come luogo da cui gettarsi.

«Il suicidio sembra sorgere dalla sensazione da parte di una persona depressa che la vita sia insopportabile e che la morte costituisca la sola via di fuga da un grande dolore, una malattia terminale, perdite finanziarie o altre circostanze di questo tipo» scrive un manuale classico (Kaplan – Sadock, Psichiatria).

Le cause peculiari di questo tempo sono molteplici e vanno pure ad assommarsi tra loro: isolamento e solitudine (il virtuale non basta), perdita di lavoro e recessione (con l’aggiunta di ritardi e inefficienze), morti improvvise e prive della possibilità di una rielaborazione (si pensi alle bare su mezzi dell’esercito)…

La Caritas italiana ha conosciuto un aumento delle richieste di aiuto da parte delle famiglie e tutte le organizzazioni sanitarie e psicologiche segnalano un aumento del disagio psichico, non solo in pazienti già problematici: le misure di contenimento del Coronavirus hanno comportato insonnie, attacchi di panico, ansia, stress…

Potremmo anche aggiungere il senso di impotenza e il burnout degli operatori sanitari o i sensi di colpa di chi non ha agito con la massima prudenza in settori come le RSA (quando il pericolo veniva sottovalutato anche da chi si ritrovava in luoghi sovraffollati tutte le sere, forte ad esempio della chiusura delle scuole).

La doccia fredda è arrivata su tutti, inesorabile: e, come sempre, chi è più fragile rischia di rompersi irrimediabilmente.

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Da tenere presente

Intervenire non è e non sarà facile, dal momento che il ritorno al lavoro sarebbe un passaggio importante ma al momento piuttosto complicato per via della situazione determinatasi.

  • Ma torna alla memoria quello che l’Abbé Pierre disse a George, omicida che tentò senza successo il suicidio: «Tu sei disperato, e vuoi morire… io non ho nulla da darti ma tu vuoi darmi una mano per costruire case per i senzatetto?». O una delle frasi famose di don Oreste Benzi: «Nessuno è così povero che non abbia qualcosa da dare». Anche le persone più in crisi hanno la possibilità di rendersi utili attraverso associazioni che si adoperano per lottare contro la povertà crescente. Le comunità cristiane potrebbero fare molto in questo senso, proprio nell’esercizio della carità.

Le piattaforme virtuali hanno sostituito bar e centri di ritrovo. Purtroppo capita che vi siano persone che non hanno dimestichezza e abitudine a farne uso.

  • Tuttavia ci sono sistemi di messaggistica istantanea oggi utilizzati diffusamente che permetterebbero anche solo una videochiamata, in grado di compensare l’imbarazzo per quel silenzio che si crea nella comunicazione telefonica con persone particolarmente giù di umore. La stessa possibilità di seguire servizi religiosi in televisione o sul web è riconosciuta come uno strumento importante a tale scopo per generare comunità di fede attraverso i social.

Ogni persona che lavora nell’ambito della cura sa che i pensieri suicidari sono sempre pericolosi e da tenere in seria considerazione.

  • Non è raro che prima del suicidio ci sia un “tentativo”. Purtroppo l’associazione con l’alcool è epidemiologicamente frequente e non è questo il momento più facile per affrontare questo tipo di dipendenza che, al contrario, può aggravarsi. Ma il nostro Paese offre servizi sociali e sanitari che possono essere contattati qualora si scorgano segnali preoccupanti, che non vanno mai sottovalutati. Oggi stiamo assistendo anche ad un’inedita fase in cui diverse agenzie e vari enti collaborano con maggiore frequenza e facilità (Servizi sociali, Caritas, San Vincenzo, Banco Alimentare, Agesci…): sarebbe importante che le singole comunità cristiane favorissero o si facessero promotrici di questo coordinamento.
La Chiesa e i nuovi tempi

Ma c’è un compito di cui la comunità cristiana dovrà farsi carico perché le spetta per missione: costruire comunità che contagiano con la speranza, l’entusiasmo e l’affetto (cf. la lettera del vescovo di Pinerolo, Derio Olivero, Settimananews 19 maggio).

La Chiesa interviene nelle emergenze: lo ha fatto in occasione delle recenti catastrofi naturali e sanitarie. Dai tempi di Gaudium et spes sul versante universale e di Evangelizzazione e promozione umana su quello italiano, si sono strettamente intrecciati l’annuncio del vangelo e l’attenzione alle difficoltà dei popoli.

Ma la Chiesa ha una dimensione profetica ed educativa che si preoccupa del lungo termine: interpretare i “segni dei tempi” significa oggi domandarsi se sia necessario guardare alla realtà che stiamo vivendo con un occhio nuovo. Perché, se il tempo che viviamo non è una parentesi, chi vive di passato è destinato a sperimentare una frustrazione senza fine.

Il “cambio d’epoca” non è più uno slogan ad effetto: è un dato di fatto da cui non possiamo prescindere. E i pastori che vogliono farsi carico del gregge, non sono chiamati oggi a fomentare la nostalgia del passato ma al Dio che fa nuove tutte le cose e che, ogni tanto, rovescia i potenti per innalzare gli umili.

L’epoca è già cambiata: al pre-Covid seguirà (speriamo a breve) un post-Covid.

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