Francesco: lezioni alla cultura occidentale

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cipro grecia

La Chiesa non pretende di fornire una soluzione a tutti i problemi presenti nella drammatica situazione del mondo contemporaneo, ma può e deve dare, illuminata dalla luce che le viene dal Vangelo, i principi e gli orientamenti essenziali per l’equa organizzazione della vita sociale, per la dignità della persona umana e per il bene comune.

È questo il principio fondamentale alla base dello sviluppo del Magistero sociale della Chiesa cattolica, scolpito a chiare lettere nella Costituzione pastorale “Sulla Chiesa nel mondo contemporaneo” (Gaudium et spes), promulgata dal Vaticano II nel dicembre del 1965. Lo stesso documento ricorda, tra l’altro, che la dissociazione tra la fede professata e la pratica nella vita quotidiana deve essere annoverata tra i più gravi errori del nostro tempo.

Queste premesse sono indispensabili per inquadrare il senso di gran parte dei discorsi di papa Francesco nel recente Viaggio Apostolico a Cipro e in Grecia.

Cura per la democrazia

Se ci si attendeva, logicamente, che negli interventi del pontefice fosse evocata la questione ecumenica e quella riguardante la tragedia migratoria, papa Francesco ha sorpreso in modo particolare con il suo soffermarsi sui fondamenti storico-filosofici della democrazia, nella terra che le ha dato i natali: «…senza Atene e senza la Grecia l’Europa e il mondo non sarebbero quello che sono. Sarebbero meno sapienti e meno felici».

L’omaggio di Francesco alla cultura greca all’inizio del suo discorso nel Palazzo presidenziale ad Atene si trasforma subito in un’analisi per certi versi impietosa: sì, perché l’invito della classicità greca a “guardare verso l’Alto e verso l’altro” è stato tragicamente dimenticato. Questa dimenticanza ha snaturato la vocazione dell’uomo scopertosi “animale politico”, in quanto parte di una comunità: un uomo che, secondo la visione aristotelica, sapeva vedere negli altri non dei sudditi, ma dei cittadini con i quali organizzare insieme la polis.

La progressiva perdita di una visione antropologica, della centralità della persona umana al cuore del progetto politico, ha determinato quella che papa Francesco chiama senza mezzi termini un “arretramento della democrazia”, uno “scetticismo democratico” generalizzato, un passaggio “dal partecipare al parteggiare”.

Un’Europa non all’altezza di se stessa

La scena viene allora progressivamente occupata dell’autoritarismo sbrigativo e dalle facili rassicurazioni proposte dai populismi, le cui proposte appaiono allettanti, al cuore di società preoccupate della sicurezza e anestetizzate dal consumismo, dalla stanchezza e dal malcontento.

La casa brucia e papa Francesco allarga il suo sguardo a tutto il continente europeo, intercettando le riflessioni già estremamente profetiche del suo memorabile discorso in occasione del conferimento del premio Carlo Magno nel 2016. «Che cosa ti è successo, Europa umanistica, paladina dei diritti dell’uomo, della democrazia e della libertà? Che cosa ti è successo, Europa terra di poeti, filosofi, artisti, musicisti, letterati?» – scandiva allora Jorge Mario Bergoglio, invocando una “trasfusione di memoria” che, sola, libera da quella tendenza a fabbricare sulle sabbie mobili dei risultati immediati che producono una rendita politica facile, rapida ed effimera, ma che non costruiscono la pienezza umana.

La forza dirompente di questa analisi, che sconfessa l’affrettato giudizio di uno sconfinamento di campo del Pontefice, è proprio nel suo rigoroso rispetto di una “laicità non annacquata”, in un parlare nel nome di “un’ecologia integrale”, che non entra in competizione con i paradigmi scientifici (lo stato della scienza attuale) o politici (conservatorismo, liberalismo, socialdemocrazia ecc.), ma invita a un dibattito onesto e trasparente per il bene comune.

Persone e non denaro, popoli e non lobby, insieme per una Patria comune, dice papa Francesco all’Europa, evidentemente poco amplificato dai media mainstream. Egli dimostra di aver fatto sua la lezione della storia del diritto che insegna che un ordine politico la cui legge primaria è la competizione di tutti contro tutti genera necessariamente violenza.

Egli ricorda ciò che sapevano già gli antichi greci, che condannavano la pleonessia, l’accumulo illimitato di ricchezze: solo sulla base della giustizia sociale si può stabilire una pace duratura. Papa Francesco non ha bisogno di appellarsi esplicitamente ad argomenti d’autorità attinti dal campo della fede.

La sovranità del limite

Ma non rinuncia a ricordare, a beneficio di coloro che credono, che la fede stessa chiede compassione, misericordia e attenzione all’umano, perché questo è lo stile del Dio fatto uomo: vicinanza, compassione e tenerezza.

C’è in questa postura dialettica una formidabile implicita testimonianza teologica che potremmo definire, parafrasando Simone Weil, l’espressione della “sovranità del limite”, vera risposta alle correnti principali della filosofia politica, della sociologia o dell’economia che hanno ridotto qualsiasi tipo di rapporto umano a un rapporto di dominio, rimanendo cieche dinanzi all’imminente catastrofe planetaria, che minaccia la sopravvivenza stessa dell’umanità.

Papa Francesco mette non tanto in guardia di fronte al rischio della negazione delle “radici cristiane” dell’Occidente nelle costituzioni cartacee e nel linguaggio annacquato di un politichese apparentemente inclusivo, ma a quello di ignorare i bisogni fondamentali di persone in carne e ossa!

È in questa prospettiva che bisogna comprendere l’appello insistente ad un cambio di passo politico, sociale e culturale su vari fronti: quello ambientale, quello legato alla gestione della crisi pandemica, quelli di uno sguardo a un mercato comune e soprattutto alle povertà diffuse. È evidente, come più volte sottolineato da Bergoglio, che il neoliberismo sta raggiungendo il suo limite catastrofico!

A differenza del liberalismo classico, che poneva i calcoli di utilità individuali sotto l’ombrello di una legge comune, il neoliberismo pone la legge sotto l’ombrello dei calcoli di utilità. La legge non si fonda più su un ideale di giustizia deliberato democraticamente, ma su una ricerca di efficienza economica a breve termine.

E questo malgrado il fatto che la casa comune bruci da tempo: come ricordava il santo Padre nel documento co-firmato con il Grande Imam di Al-Azhar, Ahmed Al-Tayeb. «Se vogliamo mirare a un futuro che sia dignitoso, se vogliamo un futuro di pace per le nostre società, potremo raggiungerlo solamente puntando sulla vera inclusione», diceva ancora papa Francesco in occasione del conferimento del Premio Carlo Magno.

Come in un campo

Al “Reception and Identification Centre” a Mytilene, sull’isola di Lesbo, questa parola assume una “concretezza di carne” nella silenziosa visita (in mondovisione) al più grande campo profughi del Mediterraneo.

Qui l’argomentata riflessione assume i tratti della denuncia ferma, benché pacata, del testimone che con il passo malfermo delle persone anziane, non rinuncia a cercare i volti, a guardare negli occhi la tragedia perché: «Chi ha paura di voi non ha visto i vostri volti. Chi ha paura di voi non vede i vostri figli. Dimentica che la dignità e la libertà trascendono paura e divisione. Dimentica che la migrazione non è un problema del Medio Oriente e dell’Africa settentrionale, dell’Europa e della Grecia. È un problema del mondo».

Ancora una volta, un linguaggio che non ha nulla dello stile moralisticheggiante curiale. In queste parole è facile vedere in filigrana il pensiero lévinassiano che ha elaborato una concezione dell’uomo a partire dall’altro, dal Tu, dal volto. Si tratta di comprendere, in maniera “etica” ma non moralistica, che l’altro ci interpella e così facendo ci educa e ci cambia; ci costringe a prendere una posizione, a uscire dall’indifferenza, a dare una “risposta” (respondere, da cui deriva il senso pieno della “responsabilità”).

I volti negati

Ripartire dalle “alterità negate” significa guardare altrove, saltare la siepe e lasciarsi contaminare: è la base di una svolta antropologica inscindibile da una identità davvero cristiana. Certo, per il testimone della fede cristiana il compito è anche eminentemente evangelico: «Sulle rive di questo mare Dio si è fatto uomo. La sua Parola è echeggiata, portando l’annuncio di un Dio che è Padre e guida di tutti gli uomini. Egli ci ama come figli e ci vuole fratelli. Mentre invece si offende Dio, disprezzando l’uomo creato a sua immagine, lasciandolo in balìa delle onde, nello sciabordio dell’indifferenza, talvolta giustificata persino in nome di presunti valori cristiani», ricorda, senza giri di parole, papa Francesco a Lesbo.

Detto altrimenti, la celebrazione delle radici cristiane di un continente passa per una solida e convincente rifondazione dell’etica; tale rifondazione non viene individuata né in una norma astratta o in una arbitraria decisione del soggetto, quanto piuttosto nella relazione con gli altri, con ciò che la presenza dell’altro impone ad ognuno: è questa l’etica della trascendenza, che può mettere d’accordo credenti e non credenti.

  • Claudio Monge è direttore del DoSt-I (Dominican Study Institute) di Istanbul.
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4 Commenti

  1. Adelmo Li cauzi 12 dicembre 2021
    • Fabio Cittadini 14 dicembre 2021
  2. Gian Piero 11 dicembre 2021
    • Fabio Cittadini 11 dicembre 2021

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