La solitudine degli adolescenti

di:
disagio

Foto di Rich Smith

Sempre più spesso, nei resoconti di cronaca nera, si evidenziano episodi di irregolarità, di feste incontrollate, di devastazioni, di consumo di alcol e droghe e, nelle forme meno gravi, di ubriacature, schiamazzi e comportamenti disordinati da parte di gruppi di ragazzi e ragazzine adolescenti. Arrivano, a volte, a forme di vera e propria violenza.

Nelle città i fenomeni simili sembrano coinvolgere giovani stranieri di seconda e terza generazione. Sono chiamati bande, gang e contro di loro si invoca maggiore presenza delle forze dell’ordine, per impedire raggruppamenti e movide.

Anche nelle periferie di città della provincia il fenomeno è presente; coinvolge giovani delle nostre famiglie, non necessariamente devastate e problematiche.

A partire dalla dispersione scolastica

A contatto con loro, abbiamo scoperto una profonda solitudine. L’avventura di averli incontrati è nata casualmente, resa possibile da un bando della Fondazione per il Sud per il recupero dell’abbandono scolastico.

È stato individuato uno stabile dove ritrovarsi, impegnati due operatori, un maschio e una femmina, capaci di mettersi in contatto con i gruppetti che si ritrovavano in luoghi predisposti, vicino al centro della città, anche se in vie secondarie. Tutti i pomeriggi, dal lunedì al venerdì, dalle 14 alle 19.

È avvenuto un miracolo, senza averlo previsto e invocato: accostati nelle forme di rispetto e di coinvolgimento si sono fatti avvicinare, si sono aperti e stanno programmando iniziative e attività di studio, di cultura, di sport, di svago.

«Il metodo utilizzato è partito dal problema della dispersione scolastica. All’apertura del servizio, l’incontro è avvenuto con i volti, le storie, e non più con dati e i fenomeni. Soprattutto il modus operandi è stato di “creare insieme”. Nulla poteva essere dato a priori. Il dialogo con le scuole, con le famiglie e con i ragazzi stessi è stata la metodologia che sin da subito ha permesso di accogliere le esigenze e co-progettare coinvolgendo tutti, perché tutti costituivano parte attiva.

La progettazione non ha previsto di “osservare” il “fenomeno adolescenza” ma di “partecipare attivamente” mediando e facilitando i vari attori a dialogare, scoprire risorse e superare i limiti.

La dispersione scolastica diviene così complessa e l’attenzione spostata dal generale al particolare. Il focus su cui concentrarsi passa dal numero di bocciature che ogni ragazzo colleziona nel proprio curriculum di studente ai piccoli segnali: alle assenze, alle frustrazioni, ai ritardi, alle fatiche e alle solitudini del tempo extrascolastico.

Questo perché il pensiero guida era ed è tuttora che la dispersione è solo un segnale. È un segno della fatica dei giovani che inizia molto prima dell’uscita dal mondo della scuola, e il livello di intervento si configura in un’ottica di prevenzione della difficoltà e di promozione del benessere.

Le tematiche educative

Le tematiche educative, proposte in chiave laboratoriale attraversano la cura del sé, l’alfabetizzazione emotiva, l’uso delle sostanze, la comunicazione, riconoscendo imprescindibile la relazione, l’ascolto e il coinvolgimento diretto (Empowerment).

C’è, dunque, un rovesciamento dialettico: se, prima, si imponeva ai giovani di comprendere il mondo degli adulti, adesso è l’adulto che chiede di poter entrare nel mondo dei giovani, con rispetto, per comprenderlo insieme.

Il fenomeno è stato talmente imprevisto che il sindaco della città ha chiesto di aprire un secondo centro presso “Il terminal”, luogo che raccoglie i giovani provenienti dai paesi vicini al mattino, con molti che vagano per la città, avendo marinato la scuola.

L’iniziativa è diventata talmente efficace che i presidi delle scuole medie inferiori e superiori, le famiglie, hanno invocato presenza e hanno messo a disposizione propri spazi.

La Prefettura della Provincia ha invocato altre esperienze; il modellino sta diffondendosi in altre luoghi, anche fuori Regione.

Non sono in grado di spiegare i meccanismi psicologici e pedagogici che gli operatori utilizzano. Alcune regole fondamentali sono individuabili: nessuna denominazione confessionale (Scuola, Comune, Chiesa); attenzione solo a loro, programmazione di eventi che scaturiscono dalla loro fantasia, costanza nelle presenze, presa in carico dei loro problemi. Si è creato un triangolo propositivo: loro stessi, le famiglie, la scuola.

Soffrono un senso di abbandono

Al di là del progetto, alcune considerazioni possono essere fatte. La prima è che gli adolescenti sono sostanzialmente abbandonati; nessuno interloquisce con loro; per questo si confrontano solo con i loro pari.

La famiglia è in difficoltà nel seguire la loro crescita. La presenza dei genitori è stata efficace durante l’infanzia: è entrata in difficoltà nella fase adolescenziale; le scuole sono state private della funzione educativa: gli insegnanti sono ridotti a proporre conoscenze; le parrocchie sono incapaci di affrontare ragazzi fuori dall’impostazione religiosa; ben che vada, dopo la cresima, non si sono più presentati in chiesa; il mondo dello sport è diventato competitivo e oneroso.

Di fatto, gli adulti non si occupano della fase di crescita dei nostri giovani, figli e nipoti. Il risultato è il magma di sciocchezze e di intemperanze che questi giovanissimi mettono in campo, soprattutto nella notte, aiutati da sostanze (alcol e droghe) che li fanno sentire vivi.

In realtà, ad andare in profondità, se ci chiediamo che cosa hanno interiorizzato nella crescita, rispondiamo che il mondo degli adulti, ai loro occhi, grazie anche alla rete, è diventato un gioco in cui prevale astuzia, consumo, piaceri, ricchezze, bellezze. Debbono fare i conti con le loro emozioni, affetti, dolcezze che stentano a trovare. Un mix di incoscienza e di speranza li fa esplodere. Il grave è che avviene in tenera età; già dalla seconda media, senza distinzioni tra maschi e femmine.

Non hanno sintesi, ma vivono alla giornata, seguendo ciò che le ore suggeriscono loro. Non hanno logica, ma solo impulsi ed emozioni.

Non so dire se, nel percorso della sinodalità che la Chiesa italiana sta iniziando, la loro storia emergerà. Ho grandi dubbi perché saranno ascoltati ragazzi e ragazze vicini alla Chiesa, provenienti dall’Azione cattolica, dagli scout, dai movimenti. Un piccola parte preziosa da incoraggiare, ma molto marginale rispetto ai loro coetanei, lontani dall’esperienza religiosa.

Né si tratta di nuova evangelizzazione: l’impegno è a monte. Poter costruire un’identità equilibrata e sociale, e quindi cristiana. Domani saranno padri e madri: né sappiamo come svolgeranno i loro compiti. Sicuramente la Chiesa è chiamata ad affrontare, con metodi e visioni, il loro mondo. Non si tratta di convincerli, ma semplicemente di aiutarli a diventare adulti.

Inventare modi e linguaggi

Gli schemi della nuova evangelizzazione, già previsti dalla Evangelii nuntiandi del 1975, sono saltati. È sconvolto lo schema di base. Sembrano alieni, ma fanno emergere l’evoluzione della specie. Con una speranza: con attenzione, pazienza e capacità i valori fondanti dell’umanità e del cristianesimo ritornano. Direi di più: lo chiedono.

Il problema è rendersi conto di ciò che sta avvenendo e di trovare modi e linguaggi capaci di interloquire con il mondo “diverso”.

Allargando lo sguardo, spero proprio che dal Sinodo possa emergere la visione della trasformazione antropologica delle società occidentali opulente. Solo allora sarà possibile ripensare teologia, liturgia, morale. È già avvenuto nella storia con la fine dell’impero romano e l’avvento dei “barbari”; con il Medioevo e il Rinascimento, fino alle sintesi del XVIII secolo.

Il Concilio Vaticano II va continuato per le trasformazioni più rapide e profonde che sta attraversando il mondo e la nostra Chiesa, senza timori per la sua scomparsa. Ritorneremo ad essere la Chiesa delle chiese, con accenti, metodi e linguaggi che sapranno comunicare il messaggio del regno di Dio ai vari popoli. Lo Spirito ci accompagni.

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Un commento

  1. Francesco Strazzari 3 marzo 2022

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