Sono angeli anche loro

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Il personale medico che quotidianamente si prodiga per assistere i malati vittime del coronavirus è una presenza che tiene viva la loro speranza.

Mentre scrivo (18 marzo 2020, ore 21,50) i dati ufficiali per l’Italia dicono che i morti per coronavirus sono 2.158; i contagiati 23.073; in terapia intensiva 1.851; i guariti 2.749.

Il pensiero va ai reparti esistenti (e futuri) di terapia intensiva; ai funerali per come si svolgono e alle persone (medici, infermieri, operatori) che accudiscono i malati.

personale medico coronavirusPer chi conosce i reparti di terapia intensive sa – al di là delle buone volontà – che in quei luoghi si combatte per la vita contro la morte. Nella solitudine: nell’ansia di sapere se c’è ancora un pezzo di respiro o la morte si sta avvicinando.

I medici sono bravi perché non ti daranno mai una risposta personalizzata: parleranno di statistiche di chi si salva e di chi è vittima di una prognosi fatale. Ti conterai tra chi si salva, perché è l’unico modo per sperare.

Improvvisamente tutto è cambiato: sei un paziente in mano altrui. Se sei vecchio, la confusione è totale: senti il freddo dell’abbandono e degli aghi, cannule e caschi di cui sei pieno. Se le vene sono sufficientemente evidenti va bene, altrimenti saranno costretti a bucarti fino a che non troveranno il tuo sangue. Dopo le prime ansie, entrerai in una specie di zona grigia: anche con l’aiuto di qualche sedativo.

Aspetti e puoi appellarti a chi vuoi, ricordando cose che ti sono più care. Intorno è silenzio e il muoversi di persone che vanno e vengono. Non conosci nessuno; hai solo la possibilità di guardare gli occhi di chi fa qualcosa per te. Speri in un cenno di sorriso. Fino a che inizia l’agonia. Un periodo più o meno lungo di preparazione alla morte. Da quando sei partito, per giorni e settimane, sei rimasto solo, senza nessuno accanto.

La condizione più straziante è per chi proviene da strutture dove era già ricoverato per malattie pregresse. I tuoi non potevano assisterti e ti hanno sistemato in qualche luogo sanitario. L’economia di scala ha suggerito dai 20 ai 40 posti letto, con personale che ha dovuto rispettare il minutaggio per la tua assistenza. Lì almeno potevi avere qualche visita. Qui nessuno. È uno dei dolori più lancinanti. Invocherai che qualcosa non ti faccia pensare, per non impazzire. Se morirai, i tuoi lo sapranno per telefono. L’unica presenza è la fotina sui necrologi del giornale.

Il virus è cinico e vigliacco. Sembra invisibile e invece è molto presente e diffusivo. Non perdona nessuno: nemmeno chi, con dedizione e sacrificio, ha rischiato per te; qualcuno ne è rimasto vittima, nonostante maschere e grembiuli.

Sarebbe bello che l’angelo custode ti apparisse, ti parlasse per consolarti. Dovrai accontentarti di chi quotidianamente lotta per salvarti la vita: sono angeli anche loro.

Lo sforzo di tutelare chi è a rischio è alto. L’umanità e le competenze dell’accudimento non devono aver remore, né tanto meno calcoli. Se il virus entra in luoghi resi fragili dalle condizioni fisiche delle persone è la fine.

Di fronte a simili tragedie fa un po’ sorridere chi si preoccupa delle chiese chiuse e delle messe saltate. Si sono dimenticati di quante volte, pur essendo le chiese aperte e le messe celebrate, sono andati al mare o a fare la spesa. Fanno rabbia, invece, quanti sono superficiali e spocchiosi. Non riescono a stare nella propria casa per giorni: basterebbe pensare all’ipotesi di un ricovero in terapia intensiva per diventare più seri.

La vita è un bene preziosissimo e va tutelato sempre, soprattutto per chi ha condizioni deboli e residue.

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