Un manuale per i vescovi

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«Plaudo all’interessante, scorrevole e argomentata opera del reverendo professor Casazza che, coniugando la riflessione teologica con la vita quotidiana, potrà certamente essere d’aiuto a tanti benemeriti e zelanti vescovi e sacerdoti, inserendosi in quell’anelito verso “una Chiesa in uscita verso le periferie esistenziali”, cui incessantemente sollecita il nostro amato santo padre Francesco»: con una simile presentazione a firma del card. Pietro Parolin, il volume che esce per i tipi della Libreria Editrice Vaticana¹ suscita quantomeno una briciola di curiosità. Nonostante il tema non proprio popolare, almeno fra i laici (oggi si definirebbe «di nicchia»). “Le sfide del governo pastorale”, recita il sottotitolo, vale a dire il governo pastorale e le sfide che esso pone alle comunità diocesane, in particolare italiane.

Un testo che è stato definito, a ragione, un «manuale per i vescovi», sia per quanti si accingono a cominciare un nuovo servizio che per coloro che sono impegnati, talvolta da anni, in una missione che li rende “pastori” di un gregge/popolo di Dio. Una garanzia il curricolo dell’autore, Fabrizio Casazza, prete e delegato per la famiglia nella diocesi di Alessandria, parroco, direttore dell’ISSR, teologo morale docente a Torino presso la Facoltà teologica dell’Italia settentrionale, cancelliere di curia e giornalista. Un corposo volume – oltre 300 pagine – che fa «interagire l’acribia accademica con l’attenzione pastorale», continua il card. Pietro Parolin nella Prefazione, dove evidenzia altresì lo stile innovativo del lavoro.

Perché l’autore non ha tralasciato di andare alle fonti senza dar nulla per scontato (non parla sulle teste dei vescovi, ma “con” i vescovi) e il testo si fonda innanzitutto su un questionario da lui somministrato ai pastori italiani lo scorso anno. Un’ottantina le risposte fornite da altrettanti pastori che hanno accolto con interesse l’operazione: «Per coinvolgere i vescovi italiani ho utilizzato un metodo innovativo, che incrocia il sondaggio con l’intervista – spiegava al settimanale diocesano di Padova al tempo del questionario –. Non volevo arrivare a un’arida descrizione della realtà, ma far parlare in libertà coloro che guidano le Chiese particolari. Approfitto per ringraziare i vescovi, tra cui Claudio Cipolla (vescovo di Padova, ndr), che hanno osato mettersi in gioco riflettendo sul loro ministero e ponendo a mia disposizione le loro sincere risposte, su cui poi ho elaborato un articolato ragionamento. Così ne è nato un lavoro che è veramente una novità nel panorama editoriale italiano».

Con lo stile del docente, don Casazza propone un itinerario sistematico che parte da un’analisi teorica dell’argomento (documenti magisteriali sul tema e alcuni insegnamenti ed esempi di santi pastori o credibili testimoni) per giungere alla progettazione dei bisogni pastorali, dove le risposte dei vescovi costituiscono l’architettura del testo, senza dimenticare la gestione delle risorse economiche e umane e dei processi organizzativi per concludere con un capitolo sulla comunicazione («è inimmaginabile un annuncio del Vangelo che non tenga conto dei “moderni areopaghi” nei quali la cultura viene definita e diffusa, e in particolare mediante i mezzi di comunicazione sociale che a tutta evidenza non costituiscono più un semplice veicolo di notizie, ma anche un luogo di formazione di mentalità, a tal punto che la distinzione di qualche decennio fa tra “virtuale” e “reale” va ridimensionata: Internet non è solo una tecnologia, ma anche un ambiente»).

Il vescovo, innanzitutto un pastore

«La figura ideale del vescovo, su cui la Chiesa continua a contare, è quella del pastore» scriveva san Giovanni Paolo II nell’esortazione apostolica del 2003 (Pastores gregis) e l’immagine del pastore e del gregge è quella maggiormente evocata dai diretti interessati, senza mai dimenticare che il primo e autentico pastore è Gesù Cristo, ad un tempo pastore e agnello immolato.

Casazza cita volentieri Derio Olivero, vescovo di Pinerolo, che a questo riguardo sottolinea l’aspetto del “pasto”, dato che il pastore è chiamato a nutrire il suo gregge. E seguono le domande del teologo: le nostre messe, le omelie, le catechesi, le iniziative pastorali nutrono davvero, o quanto meno, offrono un cibo nutriente?

Ma il vescovo è anche il presidente della communio fidelium e il ministero episcopale costituisce l’elemento formale strutturante la Chiesa quale comunità ove si rende presente Cristo scriveva mons. Marcello Semeraro nel suo Mistero comunione e missione. Manuale di ecclesiologia. Come dire – annota Casazza – si è prima vescovi in unione col vescovo di Roma e agli altri vescovi, poi pastori di una determinata circoscrizione ecclesiastica. «Il vescovo non dovrà mai dimenticare il principio pastorale secondo il quale, reggendo bene la propria Chiesa particolare, contribuisce al bene di tutto il Popolo di Dio che è il corpo delle Chiese» si legge nel Direttorio per il ministero dei vescovi, Apostolorum successores, e la spiritualità cui è chiamato è una «spiritualità di comunione» come ricorda ancora san Giovanni Paolo II nella Pastores gregis.

Oggi il termine “pastorale” da aggettivo di una branca della teologia è divenuto sostantivo a sé stante per designare la cura della vita delle persone per far crescere una comunità credente, e descrive anche il “bastone” del vescovo. Ma c’è di più: «Lo stile del pater familias e l’esemplarità richiesta al pastore non possono esimere – si legge nel testo – dall’esercizio di una vera e propria autorità, un inequivocabile diritto-dovere di governo, in cui è inclusa anche la componente giurisdizionale». Il vescovo infatti non è solo chiamato a testimoniare la fede, bensì a valutarne e disciplinarne le manifestazioni da parte dei credenti affidati alle sue cure, annota il teologo.

Il vescovo a servizio della comunione ecclesiale

«La finalità del munus regendi è la crescita della comunione ecclesiale, cioè la costruzione di una comunità concorde nell’ascolto dell’insegnamento degli apostoli, nella frazione del pane, nelle preghiere e nell’unione fraterna»: non aveva dubbi Benedetto XVI rivolgendosi ai partecipanti al Convegno dei nuovi vescovi il 21 settembre 2006 e di gubernationis minister parla esplicitamente una delle collette della messa per il vescovo, quasi inspiegabilmente tradotto col semplice «pastore» nella versione italiana, commenta Casazza.

Da un’analisi veloce non risultano numerose le iniziative formative esplicitamente dedicate ai vescovi, su questo o su altri temi più specifici, anche se la CEI offre periodicamente informazioni e approfondimenti, in particolare in occasione delle Assemblee generali.

Dal questionario emerge una richiesta sommessa di formazione, «un sostegno ai pastori della Chiesa per migliorare le proprie abilità in vista di una leadership che coniughi lo stile evangelico con un’efficienza adatta alla complessità dei nostri giorni, senza che quest’ultima divenga motivo di timore».

Il commento di don Casazza è molto pratico e in un certo senso parafrasa alcune espressioni di papa Francesco: «oggi non basta una competenza manageriale che faccia funzionare tutto tecnicamente al meglio per raggiungere una serie di obiettivi […] occorre una guida che sappia indicare la direzione di marcia motivando i “compagni di viaggio, ascoltandoli e integrando in corso d’opera il progetto iniziale attraverso un vero coinvolgimento di tutti”».

«Ascoltare è tanto più importante quanto più si sale nella gerarchia» è la sintesi di papa Bergoglio ai membri del Sinodo permanente della Chiesa greco-cattolica ucraina nel luglio 2019, mentre ai vescovi nominati nel corso del 2018 diceva: «Il vescovo non vive in ufficio, come un amministratore d’azienda, ma tra la gente, sulle strade del mondo come Gesù», anche se oggi la crisi della pandemia rende tutto più difficile, anche ai pastori (in molte diocesi, per fare un esempio, la celebrazione delle cresime, occasione di incontro con le famiglie/popolo di Dio, spostata dalla primavera all’autunno, ha finito per essere di nuovo sospesa).

Ad ogni modo la Congregazione per la dottrina della fede indirizzava nel 1992 una Lettera ai vescovi della Chiesa cattolica su alcuni aspetti della Chiesa intesa come comunione.

Anche i tria munera (sanctificandi, docendi e regendi) sono a servizio della comunione ecclesiale: in questi tre compiti di santificatore, maestro e guida si colloca anche la riflessione del Vaticano II che insiste più sull’aspetto comunionale che su quello gerarchico e più su quello di evangelizzazione che di difesa della dottrina.

governo pastorale

Uno strumento classico per realizzare una spiritualità di comunione e progettare i bisogni delle comunità è il piano pastorale, da considerare con realismo. «I progetti pastorali, i piani pastorali sono necessari, ma come mezzo, un mezzo per aiutare la prossimità, la predicazione del Vangelo, ma di per sé stessi non servono. La via dell’incontro, dell’ascolto, della condivisione è la via della Chiesa. Crescere insieme in parrocchia, seguire i percorsi dei giovani a scuola, accompagnare da vicino le vocazioni, le famiglie, gli ammalati; creare luoghi di incontro dove pregare, riflettere, giocare, trascorrere del tempo in modo sano e imparare a essere buoni cristiani e onesti cittadini» diceva papa Francesco all’incontro con il clero, i religiosi e i seminaristi nella cattedrale di Palermo il 15 settembre 2018. Si tratterà allora di non fraintendere, inteso come non inserire qualche slogan, ma innescare un autentico cambiamento di mentalità, una conversione che renda l’incontro con le persone concrete il perno della pastorale. Il vescovo non può avere tutte le doti, l’insieme dei carismi, ma è chiamato ad avere il carisma dell’insieme, cioè a tenere uniti, a cementare la comunione.

Non c’è spazio per qualunque logica di schieramenti, così cari ai media laici che li proiettano talvolta all’interno della Chiesa, mentre sono da riscoprire alcune figure che possono contribuire a far maturare il servizio e favorire la condivisione, come quella del vescovo metropolita, una sorta di “fratello maggiore” un riferimento per i vescovi più giovani.

Non vescovi spenti o pessimisti, bensì pastori fiduciosi e convinti dell’unica ricchezza, l’amore di Dio

Al popolo di Dio non servono «vescovi spenti o pessimisti che, poggiati solo su sé stessi e quindi arresi all’oscurità del mondo o rassegnati all’apparente sconfitta del bene, ormai invano gridano che il fortino è assalito» ricordava papa Francesco ai nuovi vescovi nominati nel corso dell’anno 2014 cui invece raccomandava: «La vostra vocazione non è di essere guardiani di una massa fallita, ma custodi dell’Evangelii gaudium, e pertanto non potete essere privi dell’unica ricchezza che veramente abbiamo da donare e che il mondo non può dare a sé stesso: la gioia dell’amore di Dio».

Si può quindi parlare di una «autorità che nasce dalla testimonianza», sostenuta da alcune caratteristiche specifiche: l’esemplarità della vita, la capacità di relazione autentica e costruttiva con le persone, l’attitudine a stimolare e sviluppare la cooperazione, la bontà d’animo e la pazienza, la comprensione e la compassione per le miserie dell’anima e del corpo, l’indulgenza e il perdono. Si tratta infatti di esprimere nel miglior modo possibile il supremo modello, che è Gesù Buon Pastore».

Il testo finisce per rappresentare un’iniezione di fiducia a quanti si apprestano ad iniziare un’avventura pastorale o desiderano continuarla con rinnovata speranza.

“Essere pastori come impegno d’amore” titola Casazza la sua conclusione: «Tutte le attenzioni e le competenze che i vescovi e i parroci chiedono di essere aiutati a maturare hanno come scopo ultimo di guidare le comunità a essere una vera “famiglia di famiglie”, in cammino verso la Gerusalemme celeste con la guida dei pastori». Una continua tensione tra la leadership del manager e la spiritualità del Buon Pastore che implica un abbandono fiducioso alla Provvidenza. Significa – come spiega il domenicano Timothy Radcliffe – «essere noi i primi a uscire dalla trincea e a toglierci l’armatura. Leadership cristiana significa avere il coraggio di essere vulnerabili, anche se si rischia di farsi male. Gesù ha incarnato la leadership perché ha osato essere vulnerabile, fino alla croce». E Noi restiamo vulnerabili è il titolo dell’ultima lettera pastorale dell’arcivescovo di Trento (metropolita), Lauro Tisi.

«Essere pastori potrebbe sembrare a questo punto un’impresa da supereroi. Tuttavia non è di ciò che la nostra gente avverte il bisogno» conclude il teologo che aggiunge: «I fedeli cercano vescovi e presbiteri pienamente dedicati a Cristo e alla Chiesa nell’annuncio del Vangelo e nella condivisione della complessità del quotidiano». In altre parole, come scriveva sant’Agostino: pascere le pecore non è altro che amoris officium: si tratta di «amare le persone affidate alla cura pastorale con un amore pieno, saggio, lungimirante, misericordioso, attingendo la forza per questo impegno d’amore dal contatto assiduo nella preghiera con la fonte di ogni santità».

  • Fabrizio Casazza, Le sfide del governo pastorale. In ascolto dei vescovi italiani, Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano 2020, pp. 344, € 15,00.
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