Il “segno” dei consacrati/e

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vita religiosa

Sr. Noëlle Hausman, responsabile della rivista Vies consacrées, intervista suor Véronique Margron, presidente della Conferenza dei religiosi e religiose di Francia. Note di famiglie, appunti di Chiesa e sguardo al futuro: la vita religiosa «c’è per traghettare la generosità originaria della passione per gli umani del Dio di Gesù Cristo».

– Suor Véronique, vuole parlarci anzitutto della sua congregazione, istituto di diritto pontificio nell’ambito del terz’ordine domenicano?

Nel XVII secolo che ha visto fondersi le istituzioni spirituali e le fondazioni caritative, Marie Poussepin, nata a Dourdan (Essonne, Francia) nel 1653, diventa, alla morte di suo padre nel 1683, un’imprenditrice geniale. Abbandona il lavoro artigiano, ormai obsoleto, per un’azienda tessile.

Recluta nei ceti popolari apprendisti e apprendiste fra i 15 e i 18 anni a cui assicura con sensibilità sociale la formazione e la promozione e, allo stesso tempo, favorisce lo sviluppo economico della città. Sviluppa contemporaneamente un’intensa vita spirituale, nutrita dall’azione educativa e dalla spiritualità del terz’ordine di san Domenico.

Nel 1696, avendo conosciuto l’ignoranza e la miseria del villaggio di Sainville, a 17 km da Dourdan, decide di abbandonare tutto per dare vita a «una comunità del terz’ordine di san Domenico» per l’«istruzione della gioventù e il servizio ai malati poveri».

Abitare la Parola

– È stata la prima comunità domenicana femminile di vita apostolica, non contemplativa: una scelta o una coincidenza?

Marie Poussepin non ha voluto per le sue sorelle né clausura, né voti solenni: «Andranno là dove vengono richieste» per offrire un servizio di carità. In coerenza con questa intuizione, nel 1697, invia due suore a una città a 30 km da Sainville per prendersi cura dell’ospedale di Janville, su domanda del vescovo di Orléans.

Marie Poussepin dà forma a una comunità fraterna domenicana, a partire dalla Parola di Dio con una visione apostolica precisa e su “solide basi”. Una comunità dove «quello che riguarda tutti, sia discusso da tutti», e dove l’annuncio della Parola nell’insegnamento domenicale alla gente del villaggio è costitutivo della vita comune.

– Quale spazio ha la Parola di Dio nella vostra spiritualità oggi? La sua trasmissione passa soltanto per il canale della formazione intellettuale?

Si diventa “predicatori” (secondo il carisma di Domenico) anzitutto ascoltando la Parola di Dio. L’ascolto comune durante l’Ufficio. Poi nel contatto personale con la Scrittura nella Lectio divina. Si tratta di comprendere per ciascuna e ciascuno l’appello evangelico: «“Ecco, io faccio nuove tutte le cose» (Ap 21,5). La Bibbia è compagna delle nostre giornate. La leggiamo, la ruminiamo, l’amiamo.

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La beata Jourdain de Saxe (nel 1225) consigliava: «È necessario rileggere il Verbo nel tuo cuore, riproporlo al tuo spirito; è la dolcezza da avere sulla tua bocca come quella del miele. È questo Verbo che bisogna meditare senza stancarsi, senza che Esso smetta di agire nel tuo intimo; ch’Egli abbia dimora in te e abiti presso di te».

Ecco il ruolo che desideriamo dare alla Parola. Senza questo, il lavoro teologico e la formazione biblica sarebbero solo cembali squillanti. Sono un bene indispensabile ma dentro questa conversazione costante con la Parola come ciò che ci afferra, ci disloca da noi stessi e ci conduce sulle orme di Cristo.

Lo “svuotamento” pasquale

– Avete legami organici con i laici? E con i due ordini domenicani?

Si tratta anzitutto di pensare l’ordine in quanto tale. E di viverne il carisma. L’ordine è composto da circa 6.000 fratelli, monache, laici e suore. È questa la “famiglia domenicana” o “fraternità domenicana” che è sorta dalla santa predicazione inaugurata da san Domenico nell’“incontro di Montpellier” nel 1206. Mentre i legati papali – inviati per contrastare l’eresia catara – vogliono rinunciare davanti al fallimento della loro missione, Diego, vescovo di Osma in Castiglia, accompagnato dal suo “socio”, Domenico di Calaruega, provoca una rottura rivoluzionaria: rinvia i bagagli, i servitori e i soldati che accompagnano la missione di predicazione dei vescovi e dei legati pontifici.

Così è nata la “santa predicazione”, entrando in collisione con la ricchezza e i poteri ostensivi del clero e il disprezzo dei laici, per lasciare spazio alla povertà mendicante e alla semplicità dell’Evangelo.

È la stessa intuizione, in tutt’altro contesto, di Marie Poussepin e delle sue prime compagne. Un Vangelo annunciato nella semplicità della vita comune e del lavoro in favore dei poveri del suo tempo. Un Vangelo offerto. Non c’è alcun legame di subordinazione fra le suore di vita apostolica e i fratelli. Bensì una forte amicizia che ricorda come solo assieme, gli uni con le altre, possiamo annunciare la buona Novella del Cristo, ciascuno secondo i propri talenti.

La stessa cordialità ci lega agli amici laici. Non sono anzitutto relazioni istituzionali. Esse sono un segno permanente che senza gli altri siamo amputati. È necessaria l’alterità, una comunione differenziata per testimoniare con maggiore fedeltà il Vangelo, alla maniera di Domenico.

– Lei ha già scritto su Vies consacrées (n. 73, 2001, pp. 90-98) che, a suo avviso, non si trattava di rifondare la vita religiosa, nel senso di richiedere ai fondatori una sorta di “nuovo racconto”; parlava piuttosto di rendere possibile un’esperienza di Dio, di attraversare uno “svuotamento” pasquale. Lo pensa ancora?

Sì. Assolutamente. La nostra storia va accolta. In altri termini, non abbiamo nulla da rifondare. Sappiamo del resto come considerarsi fondatori possa rivelarsi problematico, se non pericoloso. Si tratta di ascoltare ciò che l’intuizione, vissuta da decine e centinaia di generazioni, può aprire e impegnare per l’oggi. La creatività non parte da zero ed è questo che ci obbliga.

Sì, credo ancora che al centro ci sia il mistero pasquale: far percepire, seppur nei nostri limiti, che la nostra esistenza umana trova la sua gioia in un dono in favore di altri, della loro crescita, dignità e verità. Un dono pericoloso che prevede delle perdite e passa da un consenso di fondo alla condizione umana-carnale, all’incarnazione.

Una vita di cui attestiamo, nella morte e risurrezione di Cristo, che non è affidata al fato, che può sempre rinnovarsi. Niente è definitivamente chiuso. La vita religiosa non ha in se stessa la sua finalità. C’è per traghettare la generosità originaria della passione per gli umani del Dio di Gesù Cristo.

È necessario che ci preoccupiamo del nostro futuro, non per abbarbicarvisi e ritenersi indispensabili, ma in ragione dell’impegno con sorelle e fratelli e verso tutti quelli di cui abbiamo in qualche maniera una responsabilità.

Gli abissi e lo splendore

– Domenicana e teologa morale: come vede la situazione attuale della vita consacrata (e non solo religiosa) nella Chiesa francese, attraversata da molte tempeste?

Anzitutto rendendo grazie per tante vite magnifiche, travolgenti di prossimità con il Signore, in relazione a donne e uomini che conoscono il soffrire. Vite che non cercano un rilievo sociale ma che vanno al cuore. È davvero magnifico: una folla di testimoni di oggi che partecipano a tenere in piedi il mondo nonostante tutto, a dargli un volto umano al di là delle brutalità.

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Con realismo. Non tanto per la continua decrescita sul piano sociale e numerico, quanto per ciò che scopriamo in relazione agli scandali e abusi. Aggressioni sessuali, certo, ma anche abusi di potere, di confidenza, di coscienza. Toccano molte forme della vita consacrata oggi. Come non farsi interrogare in profondità?

Non solo per l’immenso dolore che essi hanno provocato su vite devastate e sbriciolate, ma anche per noi che li scopriamo oggi e ci interroghiamo su come sia stato possibile. Tradimenti che ci obbligano a riprendere il nostro fondamento e a discernere come una concezione nefasta dell’obbedienza, ad esempio, o della castità può aver condotto agli abusi.

Infine, con speranza. Perché vedo oggi un’autentica presa di coscienza di molti su questi fatti dolorosi e una reale volontà di lottare contro ogni pratica deviante e di formarsi adeguatamente. Vedo anche un impegno di fondo per sostenere le vittime. Credo che la vita consacrata dal cuore di questa tempesta possa diventare semplicemente più evangelica. Se la nostra Chiesa non va troppo bene – come ignorarlo – credo tuttavia che il Vangelo vada molto bene.

Donne e uomini: un cammino di Chiesa da fare

– Vuole aggiungere qualche cosa, in particolare sul rapporto uomo-donna nella Chiesa?

La vita religiosa ha una grande opportunità. Essa è mista da sempre perché donne e uomini hanno scelto di seguire il Cristo in questa forma. Nella nostra Chiesa, tale alterità costitutiva è una forza perché essa ci rende più sensibili alle donne e agli uomini del nostro tempo e in particolare alla crescita del ruolo delle donne nelle nostre società. Essa permette anche, e in ogni caso lo spero, di comprendere diversamente le questioni del potere di governo come le questioni sociali.

Niente è già raggiunto e niente è facile. Ma sono testimone di una vera fraternità nei nostri incontri istituzionali. Testimone anche che la parità nelle nostre strutture di rappresentanza come la CORREF (Conferenza delle religiose e religiosi in Francia), funziona molto bene ed è una vera forza in numerose questioni da affrontare.

Lo sappiamo, molto cammino resta ancora da fare nella nostra Chiesa rispetto alle relazioni donne-uomini. La vita religiosa è oggi modesta per numeri e per età. Ma questo non impedisce che il suo ruolo discreto possa diventare un segno, senza ostentazione e senza pretendere di dare lezioni. Un segno semplice, con limiti e fragilità, verso relazioni più equilibrate e giuste. Perché il Vangelo ci pretende insieme e ha bisogno delle sensibilità e delle competenze di tutte e di tutti per offrirsi a questo tempo come buona notizia per quanti si credono lontani.

  • Sr. Véronique Margron o.p., è provinciale delle Suore della carità domenicane della Presentazione della santa Vergine, presidente della Conferenza dei religiosi e religiose di Francia. È teologa morale e ha studiato con X. Thévenot e C. Geffré, e poi con B. Cadoré.
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