ATI-Congresso: nella luce della complessità

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Dal 25 al 28 agosto 2025, Pisa ha ospitato il XXIX Congresso nazionale dell’Associazione Teologica Italiana, intitolato: «Luce delle genti. Cristo, la Chiesa, l’evangelizzazione a 60 anni dal Vaticano II». Più che celebrare un anniversario, l’evento ha interrogato la capacità del Concilio di interpellare la Chiesa e la teologia contemporanea, evidenziando come la complessità costituisca oggi una categoria ermeneutica centrale per pensare la fede, la Chiesa e l’evangelizzazione.

Sintassi della complessità: Chiesa e mondo

La prima giornata, dedicata a «Scrutare i segni dei tempi…» (GS 4), ha esplorato la relazione tra Chiesa e mondo. Dopo i saluti di Riccardo Battocchio, Presidente ATI, il Vice-Presidente Vito Mignozzi ha introdotto i lavori sottolineando l’urgenza di un discernimento capace di leggere i «segni dei tempi». Il racconto dell’esperienza conciliare di Severino Dianich ha permesso ai partecipanti di entrare nel vivo dei lavori.

Vincenzo Rosito, con la prima relazione della giornata, ha offerto una lettura puntuale della Chiesa a sessant’anni dal Concilio (La Chiesa a 60 anni dal Concilio: domande dal e al “mondo”), evidenziando come il dinamismo conciliare sia un vero e proprio processo di apprendimento creativo. Rosito ha analizzato lo scisma epistemico dello sguardo cattolico sul mondo, mostrando come la teologia debba integrare formazione, creazione di significati, opus operatum e modus operandi, nonché la relazione tra essere e mostrarsi. La sua proposta sottolinea che apprendere, socializzare e mostrarsi costituiscono azioni sociali fondamentali per la vita ecclesiale, da articolare in collettivi di studio interdisciplinare e comunità sinodali.

Stella Morra, con la relazione «Cosa lo Spirito dice alle Chiese?», ha mostrato come la teologia contemporanea debba affrontare la complessità non come problema lineare o semplice esercizio ermeneutico, ma come vero atto creativo di apprendimento. Ha evidenziato i due poli attrattivi – Cristo, definitorio e prolettico, e lo Spirito, fratturante e creativo – attraverso i quali la Chiesa si configura come soggetto sinusoide nella storia della salvezza.

Morra ha individuato alcune emergenze della complessità ecclesiale: la fine della primazia del luogo, la fine della primazia del privato/pubblico, e la fine della primazia dell’equidistanza. In questo contesto, la Chiesa si mostra come co-originaria nella storia, dove il come – il modo in cui si agisce, si interpreta e si co-costruisce – incide in maniera decisiva in rapporto al cosa. I plessi relazionali e i soggetti interpretanti diventano strumenti indispensabili per abitare e comprendere la complessità della vita ecclesiale e della missione.

Metodo: Cristo e Chiesa

Martedì 26 agosto, la giornata «… alla luce del Vangelo» (GS 4) ha messo in dialogo cristologia ed ecclesiologia come vettori intrecciati della complessità.

Armando Nugnes, nella relazione «Quale cristologia nel e dal Vaticano II? Per una lettura trasversale della relazione Cristo, Chiesa, evangelizzazione», ha proposto una riflessione centrata sull’evangelizzazione come dimensione costitutiva della Chiesa, richiamando il titolo del Congresso e l’incipit di Lumen gentium: «luce delle genti». Partendo dall’analisi di ricerche precedenti e dalla letteratura recente sulla forma e le forme della Chiesa, Nugnes ha sottolineato come la cristologia conciliare renda la Chiesa naturalmente missionaria, in una dinamica di re-formatio e trasfigurazione interiore che coinvolge l’intero popolo di Dio.

Michael Seewald ha approfondito con pertinenza la dimensione cristologica come motore della ri-forma ecclesiale (forma Christi – forma Ecclesiae – reformatio Ecclesiae), mostrando come la complessità, proprio in relazione al luogo cristologico-trinitario, generi una dinamica trasfigurativa nella vita ecclesiale.

Nel pomeriggio, Rafael Luciani ha offerto una prospettiva critica sulla Chiesa del Concilio attraverso il processo sinodale, mentre Clarence Devadass ha illustrato la ricezione dei testi conciliari in contesti asiatici, confermando che la luce del Concilio si rifrange e si moltiplica nei diversi contesti culturali.

Semantica e forma: articolare la complessità

Mercoledì 27 agosto, sotto il tema «Con mirabile varietà» (LG 32), Serena Noceti ha trattato i nodi irrisolti nella strutturazione ecclesiale, evidenziando la Chiesa come soggetto collettivo in continuo sviluppo: strutture, relazioni e ministeri sono ri-plasmati nella comunicazione e nell’azione dello Spirito. La forma sinodale promuove corresponsabilità, partecipazione e pluralità interpretative, incarnando la complessità ecclesiale post-conciliare. Matteo Visioli ha riflettuto invece sui ministeri e le potestates in una Chiesa sinodale, attraverso la lente del diritto canonico.

Le sessioni parallele, con gli interventi significativi di Annalisa Caputo, Roberto Oliva, Fabio Nardelli, Emanuele Giordana, Marco Ronconi e Antonio Ballarò, hanno articolato l’idea di forma come veicolo di complessità: la Chiesa non è un organismo statico, ma un tessuto dinamico di linguaggi, strutture e pratiche.

La pluralità metodologica, la stratificazione semantica e la varietà formale hanno mostrato che la complessità non è ostacolo, ma condizione necessaria per una teologia capace di attingere e generare senso, di interpretare il Concilio e di proiettare nuove vie di evangelizzazione.

La luce come metafora complessa

La luce non è un fascio lineare, ma un insieme di rifrazioni, dispersioni e chiaroscuri. Non dissolve la complessità, ma la rivela, aprendola a inattese profondità. Come nei raduni di luce che si aprono nei chiari del bosco, per richiamare l’immagine della filosofa spagnola María Zambrano, la storia della Chiesa appare attraversata da squarci e trasparenze che interrompono l’ombra senza cancellarla. Così la luce del Vaticano II – Cristo, «luce delle genti» – non riduce le differenze, ma le accoglie e le integra in un orizzonte plurale e dinamico, capace di generare cammini sempre nuovi.

Prospettive aperte

Nella giornata conclusiva, «Per la piena realizzazione del disegno di Dio» (LG 17), Andrew G. Recepcion ha presentato modelli emergenti di Chiesa e di evangelizzazione, mentre Mario Antonelli ha chiuso con una riflessione sul futuro della fede e dell’annuncio nella complessità dei contesti culturali. Entrambi hanno confermato che la Chiesa, per essere fedele al Concilio, deve continuare a farsi luogo di rifrazione, capace di generare nuove forme di pensiero e azione.

Conclusione: abitare la complessità nella luce

Il Congresso di Pisa ha reso evidente che la fedeltà al Vaticano II consiste nella capacità di abitare la complessità: riconoscere nodi irrisolti, accogliere pluralità metodologiche e semantiche, nello spazio relazionale propiziato e aperto dalla/nella luce di Cristo, attivando quella vulnerabilità creativa che, lasciandosi provocare dalle pieghe e dalle piaghe del reale, ne feconda la possibilità di promuovere forme di prossimità e di cammini condivisi. In questo modo, la teologia diventa luogo di rifrazione e generazione, capace di interpretare la storia e accompagnare la sua promessa di futuro.

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Un commento

  1. Adriano Bregolin 2 settembre 2025

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