
Si chiude oggi (28 ottobre) la sesta Conferenza mondiale di Fede e Costituzione (Uadi al-Natrun, Egitto) uno dei vettori che fanno capo al Consiglio ecumenico delle Chiese (CEC). L’evento cominciato il 24 ottobre raccoglie 400 persone. Fra queste 50 delegati stabili, un centinaio di delegati per l’occasione e gli altri a vario titolo, anche da Chiese e assemblee non partecipanti formalmente al CEC.
Sotto il titolo generale “Quale cammino oggi per l’unità visibile” i cristiani si sono radunati per la prima volta fuori del mondo occidentale. Su invito di sua santità Tawadros II, papa della Chiesa copta d’Egitto, i rappresentanti delle Chiese, hanno preso dimora al Centro papale Logos fra il Cairo e Alessandria, vicino al monastero storico di san Bishoy.
In attesa di una valutazione complessiva della Conferenza sono possibili alcune note informative. L’appuntamento mondiale conosce cinque precedenti: Losanna 1927 (Svizzera), Edimburgo 1937 (Scozia-Gran Bretagna), Lund 1952 (Svezia), Montreal 1963 (Canada) e Santiago di Compostela 1993 (Spagna). Fede e Costituzione è un organismo che fa capo al CEC (vi partecipano 352 Chiese) il cui compito riguarda la dottrina (fede) e la struttura ministeriale delle Chiese (ordine).
Nei suoi lavori ha permesso alle comunità di meglio conoscere i loro punti di accordo e le loro differenze, rimuovendo i pregiudizi che le varie confessioni potevano nutrire reciprocamente. Di grande importanza sono stati alcuni testi usciti dall’organismo, come il documento di Lima nel 1982 (Battesimo, eucaristia e ministero) e quello su “Chiesa, verso una visione comune” del 2013. Va anche ricordato che la Chiesa cattolica non fa parte del CEC per non sbilanciare l’organismo con una rappresentanza troppo pesante ed è invece pienamente coinvolta nel lavoro di Fede e Costituzione.
L’attuale conferenza si colloca nella memoria dei 1700 anni del concilio di Nicea ed esplora il significato della fede apostolica oggi e come le Chiese possano richiamarsi a vicenda in vista dell’unità visibile in Cristo. Come ha scritto il segretario generale del CEC, rev. Jerry Pillay «ricordare il significato del concilio di Nicea rinnova la nostra chiamata alla piena unità visibile, fondamento del movimento ecumenico. Ci ricorda che il nostro obiettivo non è solo implementare l’accordo teologico, ma l’unità visibile e tangibile che rifletta l’unità del corpo di Cristo. In mezzo alle divisioni, alle ingiustizie e alla disperazione, impegniamoci a proclamare la speranza di un mondo migliore, trasformato dalla misericordia divina. Impegniamoci a lavorare per l’unità visibile della Chiesa, camminando insieme nel pellegrinaggio della giustizia, della riconciliazione e dell’unità».
In memoria di Nicea
Le spinte identitarie e autonomistiche degli ultimi decenni nelle Chiese cristiane hanno posto dei limiti al dialogo propriamente teologico ma permettono comunque la presentazione delle ricerche sul concilio di Nicea che rimane un modello nella ricerca dell’unità. Fu il primo tentativo di raggiungere un consenso all’interno della Chiesa attraverso un’assemblea che rappresentasse l’intero delle comunità cristiane. Secondo un principio elaborato a Lund le Chiese sono chiamate ad agire insieme in tutte le questioni tranne in quelle in cui sussistono differenze non sormontabili. Nel passato si sono affrontati temi come la Scrittura, la Tradizione, l’antropologia cristiana, l’ermeneutica, la riconciliazione, la cura del creato ecc.
Nel suo saluto il card. Kurt Koch richiamandosi a Nicea ha detto: «Il suo credo è comune a tutte le Chiese cristiane e alla comunità ecclesiali. Esso unisce ancora oggi. Se la nostra riflessione comune sul mistero del Dio Trino getta nuova luce sull’identità della chiesa, il 1700 anniversario potrebbe diventare una pietra miliare nell’unità ecumenica».
E il vescovo Kyrillos della Chiesa copta (Los Angeles, USA) ha aggiunto: «Mentre ci riuniamo sotto l’egida di Nicea la nostra sfida ecumenica è chiara: la vera unità non verrà dalla diplomazia o dal sentimento, ma dal recupero della visione nicena: un’unità che è santa, apostolica, cattolica, radicata in Cristo, unico Signore dell’unica Chiesa».
Tre caratteristiche sembrano connotare in prima battuta i cinque giorni di lavoro, tutti iniziati e chiusi con la preghiera comune: la ricerca di allargare il dialogo alle comunità cristiane che non si riconoscono ancora nel CEC, dare spazio a una nuova generazione di teologi formati dentro il processo ecumenico e, nel caso specifico, riconoscere uno spazio particolare ai rappresentanti delle Chiese attive nel contesto del Medio Oriente.





