
La denatalità non è più un fenomeno congiunturale ma una trasformazione profonda della nostra società, che rischia di compromettere la sostenibilità del sistema Paese. Adriano Bordignon, presidente del Forum nazionale delle Associazioni familiari, spiega gli aspetti economici, culturali e sociali della questione.
Nascite in calo e fecondità ai minimi storici. È questo il verdetto dell’ultimo rapporto Istat, pubblicato il 21 ottobre scorso, che denuncia quasi 13mila nati in meno da gennaio a luglio 2025, rispetto allo stesso periodo dello scorso anno, e il numero medio di figli per donna più basso di sempre (stimato a 1,13).
L’andamento decrescente delle nascite prosegue senza sosta dal 2008 e, oltre a dipendere dalla bassa propensione ad avere figli, è causato dalla riduzione dei potenziali genitori, appartenenti alle sempre più esigue generazioni nate a partire dalle metà dagli anni Settanta, quando la fecondità cominciò a diminuire.
Molteplici sono i fattori che contribuiscono alla contrazione della natalità: l’allungarsi dei tempi di formazione, le condizioni di precarietà del lavoro giovanile e la difficoltà ad accedere al mercato delle abitazioni, che tendono a posticipare l’uscita dal nucleo familiare di origine. A questi si può affiancare la scelta di rinunciare alla genitorialità o di posticiparla.
La diminuzione dei nati è quasi completamente attribuibile al calo delle nascite da coppie di genitori entrambi italiani, mentre resta stabile la natalità delle coppie con almeno un partner straniero.
In questo scenario disegnato dai dati statistici si colloca l’approfondimento proposto dalla Facoltà teologica del Triveneto nella giornata di studio dal titolo Denatalità e infertilità: questioni teologiche, svoltasi il 9 dicembre nella sede di Padova.
Diversi gli approcci al tema: Adriano Bordignon, presidente del Forum nazionale delle Associazioni familiari, si è soffermato sul dato della denatalità, mentre sull’infertilità è intervenuto il dottor Enrico Busato, responsabile di Oncologia ginecologica presso la Casa di cura Giovanni XXIII di Monastier; a tracciare le questioni con taglio pastorale e teologico, infine, è stato padre Oliviero Svanera, docente di Teologia morale familiare alla Facoltà teologica del Triveneto.
«La denatalità non è più un fenomeno congiunturale ma una trasformazione profonda della nostra società, che rischia di compromettere la sostenibilità del sistema Paese». Così Adriano Bordignon, presidente del Forum nazionale delle Associazioni familiari, commenta ciò che traspare dai dati Istat, sottolineando che «una popolazione che diminuisce e invecchia non può reggere a lungo l’attuale livello dei servizi pubblici, del sistema sanitario, delle pensioni e della capacità produttiva; è un tema che riguarda la qualità del nostro futuro e non solo l’andamento demografico».
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– Qual è l’urgenza in questo momento e chi è chiamato in causa?
Come Forum insistiamo sull’urgenza di politiche mirate, non episodiche, che rafforzino lavoro, servizi alla prima infanzia, caregiving e accesso alla casa per le giovani coppie e famiglie. La sfida è così ampia che richiede una collaborazione costante tra territori, governo ed Europa, perché nessun livello istituzionale può affrontarla da solo.
La natalità deve diventare parte integrante delle strategie di sviluppo, non un capitolo residuale delle politiche sociali. Sono perciò necessarie politiche universali, strutturali e generose per provare a ridefinire un destino che sembra oramai segnato.
– È sempre più frequente la scelta di rinunciare alla genitorialità o di posticiparla. È una scelta dovuta a difficoltà oggettive o siamo anche di fronte a un fenomeno culturale in cui i figli “perdono valore”?
Oggi la genitorialità viene spesso rimandata non perché se ne sia perso il senso, ma perché il contesto culturale ed economico non infonde fiducia. Recenti dati Istat ci rappresentano una popolazione giovanile tra 12 e 19 anni che ha ancora un desiderio molto alto di “mettere su famiglia” e diventare genitori. Le nuove generazioni vivono però una precarietà prolungata, percorsi di formazione molto lunghi, difficoltà a trovare un’abitazione e un clima sociale che parla più di rischi che di possibilità.
Tutto questo pesa sulla libertà di diventare genitori e trasforma un desiderio naturale in un progetto percepito come troppo fragile o rischioso in un contesto cangiante e vischioso.
– Come favorire la genitorialità?
È evidente che la natalità non può dipendere solo dalle scelte individuali: senza un sostegno comunitario concreto, la speranza di costruire un futuro familiare si indebolisce. Favorire la genitorialità significa ricostruire il tessuto di fiducia attorno alle coppie, offrendo stabilità e riconoscimento sociale. Al contempo, potrebbe aiutare a diffondere una cultura che non sia orientata sull’io, bensì sul noi, data la connotazione spiccatamente sociale e relazionale tipica delle famiglie.
– Qual è il rilievo della questione culturale?
Ciò che osserviamo come Forum è che il desiderio di figli è molto più vivo di quanto si creda: non sono le persone ad aver rinunciato alla maternità o alla paternità, ma spesso è la società a rendere questo passo più difficile.
Non siamo di fronte a un fenomeno culturale in cui i figli “perdono valore”; piuttosto assistiamo a un diffuso sentimento di incertezza che porta molti a rimandare fino a non riuscire più a realizzare il proprio progetto familiare. È una condizione di “child-less” forzato, più che una scelta “child-free”.
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– Che cosa significa restituire valore culturale alla genitorialità?
La famiglia viene ancora riconosciuta come luogo di senso e realizzazione, ma non sempre è percepita come sostenuta dal contesto sociale.
Ridare valore culturale alla genitorialità significa riaffermare la famiglia come bene comune, come soggetto attivo e generativo per tutta la collettività. È tuttavia indubbio che in tutti i cosiddetti “paesi del benessere” vi sia un problema di equilibrio demografico e uno scemare della predisposizione ad aver figli. Le cose si fanno più gravi e si cronicizzano in contesti, come l’Italia, che non hanno mai considerato la famiglia come soggetto sociale meritevole di investimento.
– Riguardo alle politiche per la famiglia, quale sostegno sarebbe necessario ed efficace?
La prima urgenza è rimuovere gli ostacoli concreti: garantire un lavoro stabile con tempi più conciliabili, potenziare i servizi educativi e di cura, affrontare l’emergenza abitativa e introdurre una fiscalità che riconosca davvero i carichi familiari.
In questo senso, nella recente Legge di Bilancio vediamo piccoli segnali incoraggianti: la rimodulazione dell’Isee, frutto di un confronto serio ai tavoli istituzionali, è un passo avanti; così come la stabilizzazione di un fondo per sostenere le spese delle famiglie e le misure per conciliare famiglia-lavoro. Sono interventi importanti, che valutiamo positivamente, ma che vanno inseriti in una cornice di più ampio respiro.
– Come agire o programmare a lungo termine?
È necessario procedere con misure strutturali, come l’estensione dell’Assegno unico almeno fino ai 21 anni – consapevoli che la vita delle famiglie renderebbe ragionevole arrivare ai 24 –, perché è proprio dopo la maggiore età che esplodono i costi educativi, sportivi e culturali.
Allo stesso tempo, una fiscalità più equa, proporzionata al numero dei figli, avvicinerebbe il nostro sistema al principio del “quoziente familiare”, già inserito nella legge delega di riforma fiscale e ancora inattuato.
Accogliamo, quindi, i passaggi positivi, ma ribadiamo la necessità di politiche stabili e continue, capaci di incidere davvero sulla vita reale delle famiglie italiane.
Resta poi il cronico calo del potere di acquisto delle famiglie italiane che, con salari reali fermi al palo, devono rinunciare a diverse spese ordinarie.
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– Nel suo recente libro Rivoluzione famiglia. Un ecosistema per il futuro lei delinea la famiglia come generatrice di capitale relazionale, produttrice di ricchezza e promotrice di innovazione nelle politiche familiari. Come si rivaluta la famiglia in quanto soggetto sociale e fondamento della collettività?
La famiglia è un soggetto sociale attivo, capace di produrre ricchezza relazionale, cura, responsabilità e coesione. È un ecosistema vivo: respira, cresce, si adatta, e la sua forza è profondamente legata alla qualità del clima sociale ed economico che la circonda. È anche luogo di apprendimento sociale, laboratorio di umanizzazione, fucina di capitale sociale primario.
Per rivalutarla, occorre cambiare sguardo di chi si prende cura dei diversi sistemi sociali ed economici: non parlare della famiglia come luogo dei problemi, ma partire dalla famiglia come criterio generativo, come chiave per leggere ogni ambito della vita pubblica.
– Come si concretizza tutto ciò?
Si tratta di avviare percorsi che favoriscano il “flourishing” delle famiglie, la loro fioritura, per evitarne il “languishing” che le consegnerebbe stabilmente all’arena delle vulnerabilità. Indossare “gli occhiali della famiglia” significa chiedersi se una scelta politica, economica o culturale rafforza o indebolisce le relazioni familiari interne ed esterne. Questo è un atto politico e spirituale al tempo stesso, che rimette al centro l’umano e la sua dimensione comunitaria.
In un tempo segnato dall’individualismo, la famiglia può davvero essere rivoluzionaria: è il primo laboratorio di solidarietà, di responsabilità, di speranza. Investire sulla famiglia significa investire sul futuro del Paese, e rappresenta la prima, autentica politica civile e industriale del nostro tempo.






Io avrei non stipendio lordo dignitoso, è la tassazione che è indecente e non proporzionata alla numerosità del nucleo familiare. L’assegno universale costituisce stampella.
Ciò che manca è un adeguato contesto di servizi alla famiglia, in particolare un numero congruo di nidi e materne e sufficiente quantità di personale addetto. Il PNRR in merito è attualmente MOLTO sottoutilizzato. Un bel po meno della metà.
“Recenti dati Istat ci rappresentano una popolazione giovanile tra 12 e 19 anni che ha ancora un desiderio molto alto di “mettere su famiglia” e diventare genitori”. Se lo dice l’Istat, ci crediamo. Tuttavia mi piacerebbe conoscere non solo le difficoltà (le quali non sembra siano principalmente di ordine economico, cf. https://www.corriere.it/oriente-occidente-federico-rampini/24_aprile_30/europa-cina-denatalita-soldi-oriente-occidente-45455ffb-b2dd-4841-a69e-7cf3b2140xlk.shtml), ma le ragioni o motivazioni culturali, umane e morali positive all’origine di questo desiderio di mettere su famiglia e capaci di sostenerlo.
Se penso a quanti figli si facevano quando le condizioni erano decisamente più dure…. Avere figli significa sacrificarsi. E nessuno me ha più voglia. Non è una questione che la politica o la società può davvero risolvere. Anzi loro spesso trasmettono l’egoismo che poi si concretizza nella denatalita. Manca un senso del sacrificio per un progetto più grande. Manca la fede che da un senso alla rinuncia. Direi che mancando Dio manca la vita. È una questione di senso. Fare figli sembra senza senso e quindi perché farli costringendomi a fare sacrifici? Meglio evitare.
La politica non può fare nulla se manca il senso e io non credo ci sia davvero tutta questa voglia di fare figli impedita dalla società egoista. Manca il significato per fa scelte superiori. Ci estingueremmo per mancanza di ideali e di sogni.
Sono d’accordo.
Il vero problema è culturale e spirituale.
L’intervista delinea molto bene la drammatica situazione italiana che, comunque, non è una novità per chi segue regolarmente la cronaca. I giovani sono responsabili, giustamente pensano prima a studiare e a sistemarsi e tantissimi lasciano l’Italia, che offre loro poco o nulla, per altri Paesi dove trovano occupazioni adeguate ai loro studi e condizioni di vita migliori. In Italia manca una seria politica familiare, lavoro, servizio e aiuti alle famiglie: la denatalità è la conseguenza logica e anche giusta perché mettere su famiglia non è un gioco, ma una decisione da prendere con responsabilità e solo se ci sono tutti i presupposti.
Intervista molto interessante. Ma ho un oroblema: perchè questi del Forum vanno a braccetto con un governo che non fa niente sul tema? Fanno un grande convegno annuale, una volta col papa, una volta con il-la orenier, chissà chi nella prossima tornata, difendo o una ministra che è totalmente inefficace, e via così. Dovrebbero dire quali misure ci vogliono, in concreto e in dettaglio e invece tutto resta vago. E poi Bordignon e gli altri devono cogliere un aspetto: in questo clima di conflitti, di spese militari allucinanti, di personaggi di vario livello politico che parlano di guerre imminenti, a chi viene voglia di fare figli? Per dare loro quale futuro? Ci vuole ETICA e anche tanta visione ETICA e meno politica politicante. Quanfo il Forum sarà capace di indipendenza dalla politica, sarà credibile. Così le sue analisi servono a poco.
Ma non lo fanno ogni anno e basta? Indipendentemente da chi ci sia al governo? Come Sanremo…