
La Chiesa ortodossa rumena dedica il 2025 a una duplice memoria: i cento anni del patriarcato rumeno e i 140 anni dell’autocefalia. Oggi, 4 febbraio, si celebra il secolo di esistenza del Patriarcato e, contestualmente, la canonizzazione di sedici santi confessori.
Il 17 aprile ci sarà la consacrazione del sacro crisma, che la tradizione ortodossa riserva alle Chiese autocefale, il 25 aprile la memoria dell’autocefalia, il 13-17 maggio il simposio teologico internazionale per i 1.700 anni del concilio di Nicea, il 26 ottobre la consacrazione e l’apertura al pubblico della nuova e imponente “cattedrale della salvezza della nazione” con la memoria del 350.000 eroi della storia rumena.
Un grande sforzo e sfoggio celebrativo accompagnato da una memoria fragile sia del periodo pre-bellico e bellico (il movimento fascista della Legione dell’arcangelo Michele e il governo militare filo-nazista di Ion Antonescu), sia della lunga stagione comunista e dei suoi compromessi.
Il primo semestre sarà dedicato al patriarcato, il secondo ai martiri e confessori del XX secolo.
Patriarcato e nazione
Il patriarca Daniele ha dichiarato: «Questo anniversario non è solo una celebrazione del passato, ma anche un appello alla gratitudine verso i nostri antenati e una riflessione sul ruolo della nostra Chiesa nella vita del popolo rumeno. Il patriarcato rumeno è stato, durante i suoi 100 anni di esistenza, una fiaccola inestinguibile di fede e di unità nazionale, e i sacerdoti e i confessori ortodossi rumeni del XX secolo sono stati veri difensori della fede ortodossa di fronte alle prove e alle persecuzioni» (1° gennaio).
Al centro di una crescita delle istituzioni ecclesiali (diocesi, parrocchie, servizi sociali), del clero e del monachesimo e del ruolo della Chiesa nel sistema statuale, il patriarca Daniele unisce alla cura pastorale la convinzione della centralità della Chiesa nella salvaguardia e nella promozione della cultura rumena e della storia della nazione. Una posizione che – secondo alcune voci critiche come quella di Oliver Jens Schmitt – si configura progressivamente come etno-nazionalismo ortodosso, vicino alle posizioni dell’estrema destra e dei nostalgici del movimento legionario, poco interessato alle minoranze (cattolici, ebrei, musulmani) e distante dalla sensibilità ecumenica.
I suoi legami con i vertici statali sono visibili nelle parole dell’inaugurazione della cappella del Parlamento: «Essa sottolinea il legame fra preghiera e comunione, culto e cultura, compresa la cultura politica». Un legame conforme alla tradizione della “sinfonia” ortodossa fra potere politico e responsabilità ecclesiale, che si argomenta oggi in una proclamata “neutralità”. Apprezzabile, se declinata come distanza dalla dialettica partitica, assai meno se indica la disattenzione al funzionamento democratico e all’alimentazione dei suoi valori, in presenza di forti spinte autoritarie e di ambigue e persistenti intromissioni dei servizi segreti, eredi della “securitate” del tempo comunista.
Martiri e confessori
Espressione della fecondità ma anche delle ambiguità della memoria ortodossa sono i sedici uomini riconosciuti come “confessori e martiri”.
A parte la totale dimenticanza e rimozione dei “martiri” delle altre confessioni cristiane, le loro biografie hanno aperto il vaso di pandora del fiancheggiamento dei chierici ai movimenti fascisti e della loro collaborazione con i servizi segreti comunisti (SettimanaNews, qui). L’inaccessibilità agli archivi statali (non consultabili se non con il consenso del patriarca) rende difficile ottenere una memoria riconciliata e pacificata.
Alle critiche dell’Istituto nazionale per lo studio dell’Olocausto (Elie Wisel) nei confronti di tre dei candidati (Ilarion Felea, Dumitru Stăniloae e Ilie Lăcătuşu) si è risposto, talora in maniera efficace, con rimandi a testi e scelte che testimoniano la loro dirittura personale. Senza tuttavia lo scavo storico che la questione richiederebbe. Limitarsi agli aspetti agiografici non basta.
Il patriarca si è così giustificato: «Anche se alcuni dei nuovi santi confessori della Chiesa ortodossa rumena hanno avuto, in un dato momento, certe simpatie politiche o sono stati influenzati dal contesto storico e sociale in cui hanno vissuto, la loro canonizzazione non è legata a questi aspetti, perché, attraverso un pentimento profondo e la santificazione della propria vita, questi confessori hanno rinunciato a quelle simpatie e hanno lavorato incessantemente per la crescita spirituale dei loro fratelli e per il bene della Chiesa».
Dumitru Stăniloae
È emblematico il caso di Dumitru Stăniloae (1903-1993). Il teologo più importante del Novecento rumeno, la cui opera condiziona la riflessione spirituale dell’intera ortodossia, è stato accusato di apologia del legionarismo per alcuni suoi scritti giornalistici del 1940.
In un momento in cui l’Ungheria “nazificata” occupava la Transilvania e la Russia, la Bessarabia e la Bucovina, Stăniloae scrive sullo stato di Ion Antonescu: «Uno stato permeato dalla fede in Dio, una città avanzata che si erge ribelle e inespugnabile di fronte al caos pagano, sotto il patronato dell’arcangelo Michele, guerriero di Dio, contro le potenze aggressive». Una posizione che il potere comunista utilizza per obbligarlo a dimettersi dal suo ruolo di preside dell’Accademia teologica di Sibiu.
In alcune lettere al suo metropolita, nel 1946, prende netta distanza «da qualsiasi partito politico e da qualsiasi ideologia di partito», rimarcando che «non troverete nei miei scritti una sola parola di glorificazione di Hitler, di Mussolini, di odio per gli ebrei o di derisione della democrazia». In uno scritto pubblico del 1936, e anche in seguito, afferma il legame naturale e organico di Chiesa e nazione, prendendo le distanze da un «nazionalismo di grida, marce, magliette e violenza» e distinguendo nettamente la nazione dai partiti.
Tuttavia, nel gennaio del 1993 elogia di nuovo il sacrificio coraggioso dei legionari morti nella guerra civile spagnola e della nazione rumena «dotata dal Creatore di una spiritualità superiore, che può servire da modello per altri paesi e aiutarli a progredire verso un livello morale superiore».
Vera, ma formale e sostanzialmente trascurabile, la sua collaborazione con la “securitate” comunista. Una continuità di giudizio storico-civile che non intacca la sua opera teologica ma mostra la difficoltà per l’Ortodossia di declinare il rapporto Chiesa-stato, Chiesa-nazione, Chiesa-governo.
Destra extra-sistema
La lettura dei testi di informazione ecclesiale di questi mesi fa trasparire l’immagine di una Chiesa che sembra vivere “altrove”.
Essa si autolimita davanti a una situazione che sottopone la democrazia a una prova rilevante. Dopo le elezioni parlamentari del 1° dicembre 2024, le forze di estrema destra (filoputiniane e anti-europee) arrivano al 30%.
La decisione drammatica della Corte costituzionale di bloccare il secondo turno delle presidenziali alla vigilia del ballottaggio (6 dicembre) fra due esponenti anti-sistema vede la riproposta del precedente governo, poco valutato dagli elettori, e la discussa continuità della presidenza della Repubblica.
Emerge da un fondo oscuro, abitato – secondo gli osservatori – dall’interesse malato dei partiti e dei servizi, la figura discussa di Calin Georgescu, nazionalista, filo-russo, antieuropeo e anti-Nato. Le elezioni presidenziali, trasferite e fissate per il 4-18 maggio, non annunciano tempi luminosi.
Nicea e poi?
La disattenzione ecclesiale sul versante storico-civile si accompagna ad un’espansione significativa delle diocesi della diaspora in Occidente (SettimanaNews, qui), avviando però conflitti canonici con la Chiesa russa in Moldavia e le Chiese ortodosse in Ucraina.
Si vedrà se il progettato grande convegno sui 1700 anni di Nicea assumerà una declinazione di maggiore ecumenismo che sembra essere quasi scomparso nella pratica della pastorale in Romania.
La proposta del patriarca Bartolomeo e di papa Francesco per trovare una comune data della Pasqua, che in quest’anno è fortunosamente uguale per tutte le Chiese, ha trovato una netta opposizione da parte del sinodo rumeno. Esso ha richiamato Bartolomeo perché una simile decisione compete solo al concilio dell’intera Ortodossia. E, cioè, non arriverà mai.






Interessante articolo, davvero un buon lavoro! Sono curioso di sapere come il patriarcato rumeno affronta attualmente le sfide della modernizzazione, pur mantenendo le sue tradizioni? Grazie per l’approfondimento.
La commistione che dal medioevo cesaropapista ha implicato la spiritualità ortodossa con le strutture del potere imperiale, porta in evidenza nelle citazioni sopra una pretesa di superiorità morale motivata dallo steso nazionalismo che, prima del totalitarismo sovietico, ha sostenuto con connivenza l’invasione nazista, a partire dal 1939 aggressiva dei territori estesi nell’ Europa centro-orientale. I venti di guerra che tre anni fa unilateralmente hanno mosso la Russia contro l’Ucraina, hanno visto il colpevole incoraggiamento della gerarchia ecclesiastica del Patriarcato che praticamente da subito dette all’ impresa la sua benedizione. Si sta trattando di un colpevole rigurgito bellicista che invita tutta la comunità alla solidarietà con le vittime e alla più grande attenzione ai revanscismi nostalgici pericolosamente ripresentatisi con l’ occasione delle elezioni, prossime sul territorio tedesco.
Mi colpisce molto la generosità con la quale la Chiesa Cattolica Romana (si chiama ancora così?) concede le sue strutture alla Chiesa Ortodossa Rumena. I preti rumeni utilizzano abitualmente in Italia chiese cattoliche per celebrare messa. In almeno un caso una chiesa cattolica è la sede ufficiale di una parrocchia rumena. Va bene tutto ma mi sembra un pochino esagerato, soprattutto quando leggo che in Romania le minoranze cattoliche vengono emarginate anche per effetto della politica della Chiesa ortodossa.
Non è che se gli altri fanno cattiverie allora dobbiamo rispondere con altre cattiverie. Le parrocchie ortodosse rumene in Italia si ricorderanno che vengono trattate bene e faranno rumore. Conosco due persone che frequentano la loro parrocchia rumena e posso assicurare che hanno un gran rispetto per la chiesa cattolica e visitano anche il patrono cittadino nel duomo, pregano come noi e sebbene con modi diversi non sono tanto distanti. La logica del, loro perseguitano i cattolici allora noi dobbiamo trattarli male qua, non è una logica cristiana e non trova alcuna giustificazione se non nella legge del taglione.
Mi dispiace di non essere stato chiaro.
Prima di concedere una chiesa cattolica all’ortodossia rumena si deve firmare un bel contratto (non credo che si faccia con una stratta di mano).
In quel contratto si può chiedere qualcosa in cambio alla concessione in uso di uno spazio ecclesiale in Italia.
Per esempio si potrebbe chiedere lo stesso in Romania dove ci saranno molte comunità cattoliche che non possono accedere a spazi adeguati.
Cosa c’è di male?
Essere prudenti è contrario al Vangelo?
Comportarsi razionalmente è condannato dalla Chiesa?
Purtroppo non si vuole vedere l’elefante nella stanza: noi cattolici consideriamo gli ortodossi come parte di vere Chiese, con validi sacramenti, vera gerarchia, dottrina valida etc, invece molti ortodossi considerano la Chiesa Cattolica come una non-chiesa, priva di valido battesimo, valide ordinazioni e così via. In pratica ci considerano non tanto meglio dei mormoni.
E per questo rifiutano in toto qualsiasi rapporto paritario che ci consideri legittimi.