
A febbraio 2026 dovrebbero essere pronti i risultati di quello che i vescovi italiani hanno chiamato il “primo studio pilota” sui casi di abuso sessuale su minori commessi da chierici in Italia. L’arco temporale del materiale indagato sarà fra il 2001 e il 2021.
La data d’inizio coincide con la pubblicazione delle norme sui delitti più gravi pubblicate dalla Congregazione per la dottrina della fede nel 2001 (Sacramentorum sanctitatis). Nel 2021, data conclusiva, sono iniziate le rilevazioni sulle attività dei servizi territoriali pubblicate dal servizio nazionale per la tutela dei minori della CEI.
Fasi analitica e sapienziale
Lo studio è previsto in due fasi. La prima, quella analitica, si chiuderà a settembre 2025. La seconda, chiamata “sapienziale”, dovrebbe chiudersi entro dicembre 2025. Il materiale su cui si lavorerà nella prima fase, quella analitica, sono gli archivi delle 226 diocesi italiane. I centri di studio coinvolti sono indipendenti: il Centro di ricerca per la vittimologia e la sicurezza (università di Bologna) e l’Istituto degli Innocenti (Firenze).
Essi formuleranno una griglia di lettura dei dati che un responsabile per ogni diocesi dovrà compilare. I centri poi elaboreranno i dati forniti per indicare un profilo sociologico e statistico del fenomeno, per individuare i fattori di rischio di abusi, per illuminare il contesto e l’immagine del predatore. Un’analisi quantitativa e qualitativa che permetterà alle autorità ecclesiastiche di intervenire con efficacia revisionando e potenziando le politiche di prevenzione, intercettando i casi non emersi ed elaborando percorsi di ascolto e di accompagnamento delle vittime.
I fatti indagati e considerati possono essere avvenuti in anni e decenni precedenti. Il risultato dovrebbe permettere ulteriori e future indagini sui religiosi non chierici, sulle religiose e sugli operatori pastorali.
La seconda fase, chiamata “sapienziale”, sarà affidata agli stessi centri di ricerca, affiancati però da un gruppo di lavoro nominato dalla CEI e composto da teologi, giuristi, operatori sociali, psicologi e medici. Avrà come compito di indicare i miglioramenti necessari per le misure di contrasto e di prevenzione, di precisare l’accompagnamento alle vittime prevedendo anche percorsi di recupero per gli autori dei reati.
Un tracciato coerente
Il progetto si mostra coerente con i passi finora compiuti dalla CEI in ordine agli abusi. Dalle linee guida formulate nel 2019 e riviste nel 2023 alla costituzione di un Servizio nazionale per la tutela dei minori. Si tratta di una struttura piuttosto agile composta dalla presidenza (dott.ssa Chiara Griffoni, dott.ssa Emanuela Vinai e, come segreteria, sig.a Francesca Ruggiero), da un consiglio di presidenza (A. Deodato, p. S. Franco, S. Lassi, M. Nardelli, p. L. Sabbarese, M. Suma, don G. Marchetti e V. Corrado).
Una più ampia consulta nazionale prevede la presenza dei responsabili delle 16 regioni ecclesiastiche e alcuni esperti. A livello diocesano e inter-diocesano vi sono i responsabili con i loro gruppi di lavoro e i giudici dei tribunali ecclesiastici impegnati su questo fronte. Sono in forte crescita sia gli incontri di formazione. Erano 272 nel 2020 (con 7.700 presenze) e in due anni (2022) sono lievitati a 900 (con 23.000 presenze).
Sono stati preparati una decina di corposi sussidi sugli elementi che il problema degli abusi sollecita. Nel 2022 è stata istituita la giornata nazionale di preghiera per le vittime e i sopravvissuti. Nello stesso anno è uscito il primo rapporto sulla rilevazione delle attività dei servizi territoriale con alcuni dati numerici a cui è seguito un secondo nel 2023.
Un’apposita newletter è arrivata ormai a un centinaio di lanci. Informa sugli sviluppi, le esigenze, gli eventi e le prassi delle Chiese locali e della Chiesa universale. Sono in forte crescita le segnalazioni ai vescovi, ai centri di ascolto e ai responsabili: erano 48 nel 2021, sono diventate 374 nel 2022.
I diversi approcci degli altri
La coerenza e progressività del percorso dei vescovi italiani fa emergere anche le differenze assai evidenti rispetto ai processi avviati da altri episcopati (cf. SettimanaNews, qui). Ne cito alcune: la delega piena a centri di ricerca autonomi, la possibile proiezione statistica dei casi, l’obbligatorietà della denuncia alle procure, lo studio sugli archivi anche dei tribunali civili e, soprattutto, il dialogo diretto e sistematico con le vittime.
Anche se sono assai comuni gli incontri dei singoli vescovi con le vittime e anche la presenza di quest’ultime in alcuni momenti della presidenza CEI e ai altre momenti nazionali, resta l’occasionalità degli incontri, il mancato collegamento fra le vittime e la loro assenza nei luoghi in cui si decidono le prassi in ordine alla prevenzione degli abusi. La scelta della diocesi di Bolzano rimarrà solitaria (cf. SettimanaNews, qui).






Per difendere il sistema, la CEI persevera nell’errore, spreca tempo, risorse e non si mette dalla parte dei deboli.
E mentre fanno gli studi-pitota decine e decine di altri bambini vengono molestati dai preti in Italia.
Credo che il titolo dell’ultimo paragrafo dell’articolo “i diversi approcci degli altri” riveli in modo lampanante l’imbarazzante e ingiustificabile “timidezza” della Cei nella gestione degli abusi (sessuali e spirituali). L’ostinazione con la quale la gerarchia ecclesiastica italiana continua a non fare i conti in modo maturo con gli abusi ha in sé qualcosa di incomprensibile, almeno per me. E temo tra le altre cose che questa caparbia ostinazione comprometta in modo sostanziale la credibilità (non solo etica e religiosa) di chi pure si presenta che agli occhi dei fedeli come un “buon pastore”.