Belgio-abusi: “no” al maxi-processo

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cattedrale

La camera di consiglio del tribunale di Bruxelles ha deciso il 17 febbraio di chiudere l’inchiesta giudiziaria avviata nel 2010 contro gli abusatori ecclesiali e alcuni vescovi considerati corresponsabili. L’azione giuridica, nota sotto il nome di «operazione calice», si era avviata con il sequestro degli archivi ecclesiastici e l’intervento in grande stile della polizia alla sede della conferenza episcopale e all’episcopio della capitale. Sotto accusa vi erano 68 sacerdoti e personale ecclesiale.

L’imputato più importante era il vescovo Roger Joseph Vangheluwe, responsabile della diocesi di Bruges, che a causa dello scandalo (fra le vittime vi era stato anche un nipote) si è dimesso e nel 2024 è stato ridotto allo stato laicale (cf. qui su SettimanaNews). Erano stati coinvolti, come corresponsabili di «coperture» indebite, il card. Godfried Danneels, arcivescovo di Bruxelles, e il suo successore, mons. André-Joseph Leonard.

I giudici hanno chiuso l’indagine perché 37 degli indagati sono morti, 4 sono già stati condannati da altri tribunali, 27 sarebbero stati esclusi dal dibattimento perché i loro reati sono ormai prescritti.

Gli avvocati delle vittime si sono dichiarati delusi e hanno deciso di ricorrere al consiglio di stato perché l’intera procedura non avrebbe rispettato i criteri di correttezza e consapevolezza per le vittime garantiti dal diritto.

L’opinione pubblica ha registrato, con opposti pareri, la decisione che ha svuotato l’attesa di un «maxi processo». Esso avrebbe messo la Chiesa sul banco degli imputati per diversi mesi su casi e persone già largamente noti.

L’inchiesta e i suoi eccessi

La Conferenza episcopale ha preso atto della decisione e ha notato che la camera di consiglio ha seguito l’indirizzo dato dalla procura. «I vescovi del Belgio si impegnano anzitutto a reiterare la loro commozione verso le sofferenze sopportate dalle vittime degli abusi sessuali nella Chiesa. I responsabili degli abusi devono essere perseguiti e giudicati secondo le regole dello stato di diritto. Quando i fatti sono prescritti dalla legge, la Chiesa cattolica non rinuncia alla sua responsabilità morale con l’ascolto e il riconoscimento della sofferenza delle vittime».

I vescovi non si esimono però dal notare che «l’operazione calice» si era progressivamente spostata dagli imputati alla corresponsabilità complessiva della Chiesa nel trattare i casi di abuso. Inoltre, mentre il sequestro degli archivi diocesani era legale quello dell’arcivescovado, per le garanzie dello stato belga proprie della figura dell’arcivescovo di Bruxelles, era illegittimo e la magistratura ha dovuto riconsegnare le carte, non senza averle fotocopiate per intero. Documenti che la Chiesa ha conservato e non ha distrutto, come è più volte affermato da alcuni protagonisti fra i giudici.

I gerarchi confermano la piena collaborazione con le istanze statali e la volontà di affrontare fino in fondo la piaga degli abusi, mettendo in esecuzione tutte le indicazioni elaborate dalle commissioni parlamentari. Il 7 dicembre 2024 la conferenza episcopale ha presentato un progetto di intervento «rafforzato», dando seguito alle raccomandazioni espresse da una ricerca della Fondazione Dignity (autonoma, seppur sovvenzionata dalla Chiesa) su 97 vittime. Ci tornerò sopra fra poco.

Una lunga storia di impegno

La Chiesa belga viene coinvolta nella questione abusi negli anni Novanta e nel 1997 si aprono due punti di contatto (francofono-fiammingo) che, nell’arco di un paio d’anni raccolgono 110 appelli di altrettante vittime. Tre anni dopo prende forma una commissione per il trattamento delle denunce (prof.sa Halsbergher) ma con scarsi risultati.

Nel 2009 la commissione viene rinnovata (prof. Adriaenssens) e raccoglie 507 dossier. L’anno successivo viene istituita nel parlamento una commissione speciale sugli abusi sessuali in generale e particolarmente per quelli avvenuti nella Chiesa. Chiude i suoi lavori con una serie di raccomandazioni. Col consenso della Chiesa si avvia una «centro di arbitrato» (2012-2017) in cui la Fondazione Dignity prende parte come in rappresentanza della Chiesa.

Le vittime (628) oltre alla denuncia possono ottenere delle compensazioni che arrivano complessivamente a 3 milioni di euro. I vescovi collaborano con il «centro di arbitrato», ma creano anche dieci punti di contatto per allargare la possibilità delle denunce. Anche per offrire a loro la possibilità di un confronto con gli abusatori oltre a una compensazione finanziaria in parallelo a quelle offerte dal «centro di arbitrato».

Una commissione interdiocesana viene incaricata di sorvegliare il funzionamento dei dieci punti di contatto e di alimentare un rapporto annuale a completamento di quello fornito dal «centro di arbitrato». Con un occhio anche alle iniziative dei Paesi vicini. Escono sussidi di orientamento come «La sofferenza nascosta», o «Dal tabù alla prevenzione».

La necessità di controllare che le censure ecclesiastiche sugli abusatori siano messe in esecuzione fa nascere un doppio Consiglio di supervisione (2016) per francofoni e fiamminghi. Viene istituita una giornata nazionale per il riconoscimento e la memoria e nel 2019 esce un rapporto globale dettagliato su tutti i casi recensiti fino a quel momento. Viene elaborato un codice di comportamento per tutti coloro che lavorano con i bambini nella Chiesa e nel 2021 si costituiscono due punti di contatto a livello nazionale sul versante francofono e fiammingo.

Nel 2023 esplode una bolla mediatica attorno alla serie televisiva Godvergeten («dimenticati da Dio»; cf. qui su SettimanaNews) che spinge il parlamento fiammingo ad avviare una nuova commissione di inchiesta. Poche settimane dopo (giugno 2024) la Chiesa belga organizza due giornate per aggiornare i suoi strumenti di intervento. Da qui nasce la decisione di affidare alla fondazione Dignity una inchiesta di valutazione sull’azione ecclesiale finora esperita con le vittime a cui ho sopra accennato.

L’ascolto delle vittime e le decisioni

Le 97 vittime che hanno accettato di rispondere confermano che i picchi di abusi si realizzano nei decenni fra il 1960 e il 1990 con un calo significativo dopo il 2000. La durata dell’abuso si prolunga nella maggioranza dei casi da uno a tre anni. Le segnalazioni degli abusi si concentrano particolarmente nell’ultimo decennio per il forte incoraggiamento a parlare nel contesto civile, mediatico ed ecclesiale.

Il primo approccio da parte delle vittime è in prevalenza verso i punti di contatto della Chiesa e per il 54% si è rivelata una esperienza positiva. Anche se non mancano quelli che ne hanno un ricordo negativo (13%). Le loro attese di sensibilizzare l’opinione pubblica e di contribuire a un cambiamento nella Chiesa sono state solo parzialmente conseguite.

Le vittime si sono sentite ascoltate e credute mentre lamentano di non aver ricevuto formali scuse dal personale di Chiesa. Ad essa chiedono una compensazione finanziaria più corposa (rimborso spese di cura) e un sostegno spirituale prolungato nel tempo. «I rispondenti chiedono inoltre riforme strutturali nella Chiesa. Propongono in particolare l’abolizione dell’obbligo del celibato, il rafforzamento della formazione morale e spirituale per quanti esercitano una funzione pastorale e di permette alle donne la presidenza delle celebrazioni. Inoltre le politiche istituzionali dovranno diventare trasparenti e inclusive con responsabilità chiare». Per la loro esperienza apprezzano i rimborsi spese per le cure, il sostegno spirituale e la loro consultazione nelle decisioni.

L’inchiesta sottolinea che «la Chiesa dovrà appoggiare le iniziative esistenti rimanendo coerente nella risposta e mettendo l’accento sulle vittime. L’importanza di consultarle nell’elaborazione degli indirizzi, il rafforzamento dei “punti di contatto” e la facilitazione del sostegno psicologico sono considerate tappe cruciali. In sintesi il rapporto mostra che sono stati conseguiti progressi nel trattamento degli abusi in seno alla Chiesa, ma continuano a restare necessari gli sforzi per riconquistare la fiducia delle vittime e porre rimedio alle deficienze strutturali. Una cultura della trasparenza, del rispetto e del dialogo resta fondamentale in proposito».

Un «piano di azione rafforzato» viene elaborato dai vescovi a seguito dell’ascolto delle vittime e presentato il 7 dicembre. Esso prevede la nomina di un coordinatore nazionale, una commissione nazionale e un gruppo di consultazione per le vittime, con l’intento di seguirle a lungo nel tempo. Si danno indicazioni per facilitare i rimborsi per le spese di cura e per rafforzare una politica complessiva di prevenzione. Si prevede inoltre un percorso di cura e di garanzia anche per gli autori degli abusi.

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