Uno dei temi fondamentali della Rerum novarum di Leone XIII è la difesa della «proprietà privata». Un tema tutt’altro che secondario, perché di fronte al «male» causato dallo sfruttamento dei lavoratori, il Papa diceva chiaro e forte che «i socialisti», invece di dare una risposta giusta, preferivano attizzare «nei poveri l’odio ai ricchi», e pretendevano che si dovesse «abolire la proprietà, e far di tutti i particolari patrimoni un patrimonio comune, da amministrarsi per mezzo del municipio e dello Stato».
Ma, per quanto possa suonare bene il discorso sulla «distribuzione equa della ricchezza e del benessere tra tutti i cittadini», il suo contenuto è «ingiusto per molti motivi» e, di fatto, porta a «danneggiare gli stessi operai».
La ragione è semplice: ogni lavoratore ha come fine quello di «procurarsi qualcosa per sé e possedere con diritto proprio qualcosa come sua». Così, attraverso un giusto «salario», potrà «ottenere il necessario per cibo e vestiti». Ma, ancor di più, se poi risparmia qualcosa e lo investe «in un podere», quello – e non altro – è il vero futuro di ogni individuo e di ogni famiglia: ottenere l’autonomia che dà l’avere una casa dove ripararsi e uno spazio in cui lavorare per il proprio beneficio, senza dipendere da altri.
In definitiva, «la proprietà delle cose, sia mobili che immobili», non è solo una questione di «giustizia» (sono state guadagnate con il proprio sforzo), ma la base di un futuro pieno di speranza. Al contrario, quando «i socialisti», «privandoli della libertà» di incarnare i propri sogni presenti e futuri, li introducono in una spirale grigia in cui lo Stato dispone della proprietà di ogni elemento vitale, «peggiorano la situazione di tutti gli operai» e, in definitiva, «li spogliano della speranza».
Per questo, Leone XIII scrive che «il diritto a beni stabili e perenni» è un diritto dato all’uomo dalla natura. Infatti, se c’è un «gran privilegio dell’uomo», qualcosa che lo distingue «dalla bestia», «è l’intelligenza, ossia la ragione». In forza di tale privilegio, l’uomo «ha nelle sue mani la scelta di ciò che ritiene più conveniente per il suo benessere». E cosa c’è in questo mondo che «garantisce i beni necessari per il futuro» se non «la proprietà della terra stessa», la cui «fertilità» ci nutre e ci conforta?
Non c’è bisogno di essere «conservatori» per sapere che l’uomo ha bisogno che la sua vita ruoti attorno a «qualcosa di stabile e durevole» per sé e per i propri cari. Ora, questa stabilità e perennità di beni «proporzionati alla perennità del soccorso di cui egli abbisogna» può garantirla solo «la terra, con la sua inesauribile fecondità».
El alma de la ‘Rerum novarum’ (III)
Uno de los aspectos esenciales de la ‘Rerum novarum’ de León XIII es su defensa de “la propiedad privada”. Un tema nada baladí, pues ante el “mal” que suponía la explotación de los obreros, el Papa denunciaba sin ambages que “los socialistas”, lejos de ofrecer una respuesta justa, optaban por “atizar el odio de los indigentes contra los ricos” y favorecer que “todos los bienes sean comunes” y “administrados” por el Estado.
Pero, aunque pueda sonar bien la música que habla de “distribuir por igual las riquezas y el bienestar entre todos los ciudadanos”, su letra es “sumamente injusta” y, de hecho, lleva a “perjudicar a las propias clases obreras”.
La razón es sencilla: todo trabajador tiene como fin “procurarse algo para sí y poseer con propio derecho una cosa como suya”. Así, a través del justo “salario”, podrá “conseguir lo necesario para la comida y el vestido”. Pero, aún más, si luego “ahorra algo” y lo invierte “en una finca”, ese y no otro es el verdadero futuro de todo individuo y de toda familia: conseguir la autonomía que da tener un hogar en el que cobijarse y un espacio en el que trabajar solo para su provecho, sin depender de otro.
En definitiva, “la propiedad de las cosas, tanto muebles como inmuebles”, no es solo cuestión de “justicia” (se han ganado con el esfuerzo propio), sino la base de un mañana ilusionado. En cambio, cuando “los socialistas”, “privándolos de la libertad” de encarnar sus sueños presentes y futuros, los adentran en una espiral gris en la que el Estado dispone de la posesión de cada elemento vital, “empeoran la situación de los obreros todos” y, en definitiva, “los despojan de la esperanza”.
Por ello, León XIII defiende que “el poseer algo propio es un derecho dado al hombre por la naturaleza”. Y es que, si hay salgo que “sobresale en nosotros”, lo que distingue al hombre “de las bestias”, es “la razón o inteligencia”. Por esta, “tiene en su mano elegir las cosas que estime más convenientes para su bienestar”. ¿Y qué hay en este mundo nuestro que “proporcione las cosas necesarias para el futuro” sino “la tierra misma”, cuya “fecundidad” nos alimenta y conforta?
No hace falta ser un ‘conservador’ para saber que el hombre necesita que su vida gire en torno a “algo estable y perpetuamente duradero”. Para nosotros y para los nuestros. Ahora bien, “esta continuidad no puede garantizarla más que la tierra con su fertilidad”.