Sinodo: approvare, o non approvare, questo è il dilemma!

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«Professore, mi scusi, ma il suo difetto è di essere troppo ottimista!». Così una mia studentessa tanti anni fa, così qualche collega e amico ogni tanto. Ed in effetti hanno ragione, con la precisazione che ciò che loro chiamano ottimismo io lo definirei speranza – a volte, contro ogni speranza (Rm 4,18).

Comunque, venerdì scorso non ho fatto a tempo a manifestare (qui) una mia speranza relativa al documento finale del cammino sinodale italiano che, tempo qualche ora, sono stato subito smentito. In tarda serata è giunto a noi delegati diocesani il testo finale dell’assemblea sinodale italiana (che si terrà il 25 ottobre), frutto della lunga revisione effettuata dopo la «bocciatura» di quello proposto a fine marzo.

Il tempo di leggerlo durante il fine settimana ed ecco l’amara sorpresa – nonostante la revisione sia stata condotta non più solo dalla Presidenza del Comitato Nazionale del Cammino sinodale, ma anche dal Comitato stesso, a sua volta allargato ai facilitatori dei gruppi dell’assemblea sinodale di fine marzo che «bocciò» il documento proposto; nonostante siano giunte alla suddetta Presidenza molte proposte di revisione da parte dei delegati sinodali riuniti in assemblee regionali durante il mese di settembre.

***

Premetto: il testo finale è un buon testo, anzi, più che buono. Rispecchia fedelmente il cammino percorso. Contiene proposte adeguate al nostro tempo: alcune anche profetiche. Perciò, nel suo insieme, avrà il mio voto positivo. Poi, ovviamente, c’è tanto che poteva essere detto meglio e, immagino, altri si periteranno nel segnalarlo. Ma, su almeno due punti che ritengo fondamentali, questo ingrato compito vorrei «accollarmelo» io. Anche perché questo non è un testo qualsiasi.

Certo, esso non ha il valore giuridico canonico di un testo conciliare e sinodale (universale o locale che sia), ma non è neanche un documento che, come altri, potrà finire facilmente in naftalina. Non dobbiamo ovviamente idolatrarlo, ma neanche guardarlo con sfiducia, soprattutto in una struttura come la Chiesa cattolica nella quale i cosiddetti «punti fermi» – pensiamo solo alle costituzioni dogmatiche conciliari – hanno valore anche solo di memoria sovversiva, a prescindere dalla loro (mancata o lenta, lentissima) applicazione. È comunque un testo che vuole dire cosa lo Spirito ha detto alla Chiesa italiana negli ultimi anni e, dopo il discernimento e la decisione finale dei vescovi, è un testo che ispirerà la direzione verso cui la Chiesa italiana vorrà camminare nei prossimi anni.

Perciò merita la nostra simpatia e, laddove necessario, la nostra critica. La prima critica, inevitabile, riguarda la parola, o meglio la categoria di accompagnamento che appunto, nonostante le mie «ottimistiche» aspettative contrarie, è invece onnipresente nel testo in modo, se posso permettermi, quasi «delirante» [1]. In tal modo il Documento tradisce il maggior equilibrio raggiunto nei Lineamenti (e nelle Schede di lavoro) tra la categoria in questione e quella di compagnia o affiancamento. I motivi linguistici, politici, biblici, teologici e da ultimo (con l’avvento di Leone XIV) magisteriali, per cui quest’ultima categoria è di gran lunga preferibile alla prima (da mantenere, o meglio contenere, nel suo alveo spirituale), li ho motivati ampiamente in passato e sinteticamente di recente (qui e qui).

Ora vorrei solo riassumerli con una domanda: in un cammino sinodale che ha ascoltato, discusso e fatto discernimento con i poveri, i giovani, i laici e le laiche, le «persone omoaffettive», i single o le coppie, nel momento in cui emerge come voce dello Spirito la necessità di permettere che tutte queste persone vivano il loro cammino di fede e rapporto con la comunità ecclesiale in modo maturo e integrato, autonomo e paritario, addirittura insegnando oltre che imparando, guidando oltre che seguendo, come è possibile, giunti a questo punto, non rendersi conto che la categoria dell’accompagnamento stona, stride terribilmente con tale finalità? E che, invece, parlare di compagnia o affiancamento risulterebbe più adeguato e rispettoso della dignità di tutte queste persone?

Comprendo che, durante il pontificato di Francesco, sia stata forte la tentazione di lasciar debordare la prima categoria in quanto molto più gesuita e quindi vicina alla sensibilità del precedente pontefice: eppure, nonostante ciò, gli stessi pastori della Chiesa italiana hanno resistito a tale tentazione (lo spiegavo sempre qui e qui).

Ora, nel magistero dell’agostiniano Leone XIV si riprende l’uso puntuale della seconda categoria (vedi qui), limitando la prima solo alle relazioni asimmetriche e privilegiando non a caso termini come discrezionesparire, etc. Perché il Documento non segue in ciò il nuovo vescovo di Roma? Mentre, invece, ha fatto cadere molto velocemente le tante e possibili citazioni dell’Evangelii gaudium di Francesco, nonostante secondo Leone XIV tale esortazione abbia «richiamato e attualizzato magistralmente i contenuti» del Vaticano II?

***

Proprio la figura di Leone XIV, in rapporto al Documento in questione, è lo snodo che mi permette di passare alla seconda critica. Credo che non si faccia torto a nessuno nel ricordare che il cammino sinodale italiano è avvenuto sotto il pontificato di Francesco. Il Documento di sintesi riassume tale cammino e quindi sarebbe stato del tutto legittimo non sentire la necessità di citare il nuovo vescovo di Roma. Per motivi ovvi e condivisibili ciò è invece avvenuto, ma allora – mi chiedo – perché non si cita tutto Leone XIV? Perché il Documento di sintesi non lo cita rispettandone la complessità?

Tale «taglio» è avvenuto non solo con la categoria della compagnia/affiancamento rispetto a quella dell’accompagnamento, ma anche con un’altra categoria teologicamente fondamentale che riguarda la nostra relazione con il Risorto. Nel Documento si fa sfoggio del Gesù al centro che è un’espressione indubbiamente cara a Leone XIV. E, di conseguenza, anche in tale caso diventa onnipresente un’altra categoria: quella dell’annuncio/testimonianza del Risorto [2].

C’è però un piccolo notabene: sin dall’inizio del suo pontificato Leone XIV ha parlato di un Cristo che «ci precede» (8 maggio) in «luoghi inesplorati» e che «ama visitarci e stupirci» in «ogni creatura», perché «il popolo di Dio è più numeroso di quello che vediamo. Non definiamone i confini» (31 maggio). Perciò, il cristiano è certamente un testimone della Resurrezione, ma insieme uno che è sempre «in ricerca» del Risorto, che sa di doversi sempre «mettere sulle Sue tracce», che deve sempre «scavare, cercare» per trovare il Regno di Dio (6 settembre) [3].

Di tutto questo complesso magistero di Leone XIV nel Documento finale c’è solo una flebile eco alla fine nel paragrafo 12. Peraltro insufficiente, innanzitutto per farsi notare nella sua importanza, ma poi soprattutto per fondare in modo adeguato i paragrafi del Documento in cui si parla di una Chiesa che deve perciò convertirsi e diventare capace anche di ricevere dagli altri (ad es. 21 e 71 che citano GS 44). Una Chiesa che non ha bisogno di cercare, di scavare per trovare, ma che deve solo evangelizzareannunciare e testimoniare ciò che ha già trovato, quale evangelizzazione permanente di sé stessa deve ricevere, quale verso deve modificare, quale con-versione deve effettuare, cosa può imparare dall’a/Altro? [4]

È appena il caso di notare che anche in tal caso nel Documento di sintesi si è perso quell’equilibrio tra annuncio/testimonianza e ricerca del Risorto che era stato raggiunto nei Lineamenti (vedi qui). Così come, è conseguenza di questa apparente estroversione/uscita della Chiesa, il fatto che non sia sentita minimamente la necessità di indicare almeno l’opportunità che negli organismi di partecipazione vi siano anche dei membri capaci di abitare la soglia [5].

In realtà, il vero problema che mi si pone ora è il seguente: approvare o non approvare i singoli paragrafi che non restituiscono il senso del percorso compiuto? Il problema diventa dilemma nel caso dei paragrafi relativi all’accompagnamento perché, in caso di non approvazione, sarebbe poi difficile attribuire la contrarietà alla questione che io sollevo e non invece alla buona volontà presente in quei paragrafi di integrare e valorizzare tutta una serie di persone che in passato sono state emarginate nella e dalla Chiesa. Tenendo poi conto quanto sia osteggiata questa buona volontà – basti vedere qui come parla del paragrafo sulle «persone omoaffettive» – riemerge con forza la domanda: che fare? Approvare o non approvare?

  • Pubblicato sul blog Vino Nuovo, 20 ottobre 2025

 


[1] Cf. i paragrafi 27; 30-31; 39; 43-44; 50; 53; 55-56; 69; 72. L’espressione accanto è presente solo nel § 27 (relativo ai poveri), mentre quella di compagna solo nel § 8 (in riferimento alla Chiesa). È significativo che l’espressione a fianco e affiancamento sia scelta per il § 32, riguardante il dramma degli abusi. Come se si fosse almeno percepito il senso meno paternalistico e potenzialmente meno violento e abusante dell’espressione anzidetta, rispetto a quello collegabile all’espressione accompagnamento. Quest’ultima, se ci pensiamo bene, comporta rispetto alle altre una maggiore vicinanza fisica e psicologica che fa correre inevitabilmente più rischi di abuso e violenza. È un peccato, però, che tale percezione non sia venuta a coscienza permettendo una modifica sistemica delle espressioni utilizzate.

[2] Cf. i paragrafi 1; 9; 12-16; 19-20; 40; 56; 63; 69. Questa scelta non può apparire o pretendere di essere neutra se ricordiamo come, sin dall’inizio del pontificato di Francesco, l’accento posto sulla necessità sinodale di ascoltare prima di evangelizzare – quasi esortando a placare una certa ansia ecclesiale di evangelizzazione – o, addirittura, di essere evangelizzati prima di evangelizzare sia stato quantomeno incompreso se non accolto con malcelato fastidio.

[3] Nella diocesi di Roma , forse per l’eredità di Francesco, è invece presente una decisa attenzione a questo aspetto della relazione con il Risorto, fondamentale per poter pensare e vivere pienamente l’estroversione/uscita/ad extra della  missione ecclesiale (cfr. p.12 del Programma pastorale 2025-2026 e omelia del card. Reina nella Veglia diocesana per Giornata missionaria, min. 30:00-35.15).

[4] Su questa problematica è incentrato il mio Imparare dal vento, EDB, 2024. In esso è inoltre spiegato bene a quali equivoci ci ha condotto e ci conduce oggi (anche in quella che dovrebbe essere una Nuova Bussola Quotidiana) la carenza occidentale di pneumatologia.

[5] Anche questo aspetto, invece, si è cercato di «metterlo a terra» nella diocesi di Roma, a partire dalla composizione dei consigli pastorali parrocchiali (cfr. art.10 Statuto CPP).

 

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12 Commenti

  1. Fabio Cittadini 22 ottobre 2025
    • Sergio Ventura 22 ottobre 2025
  2. Giuseppe 22 ottobre 2025
    • Sergio Ventura 22 ottobre 2025
  3. 68ina felice 21 ottobre 2025
  4. Marco 21 ottobre 2025
    • Angela 21 ottobre 2025
      • Marco 21 ottobre 2025
        • Angela 21 ottobre 2025
    • Sergio Ventura 22 ottobre 2025
  5. Pietro 21 ottobre 2025
    • Sergio Ventura 22 ottobre 2025

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