Qualche decennio fa, quando il bisogno di partecipare attivamente alla vita della società era molto sentito, non era difficile frequentare i luoghi di confronto nelle comunità cristiane. Ci si trovava volentieri, perché consapevoli del proprio diritto e dovere di contribuire al cammino della propria realtà ecclesiale, pur nei limiti del proprio ruolo.
Talvolta questi incontri erano animati da dibattiti molto accesi, ma, al di là delle diverse posizioni, vi era una disponibilità di fondo a prendere parte attivamente al percorso comunitario.
Oggi è molto più complicato animare i luoghi ecclesiali del discernimento, come i consigli pastorali, non solo perché il numero dei potenziali partecipanti è calato considerevolmente, ma soprattutto perché le persone non hanno più tanta voglia di affrontare dei dibattiti che non abbiano qualche ricaduta nella prassi effettiva delle loro comunità.
Ascoltare non basta
Fino a qualche tempo fa, molti apprezzavano il solo fatto di essere ascoltati dal proprio pastore o superiore – vescovo, parroco, provinciale ecc. –, e vedevano i momenti partecipativi come un’opportunità per valorizzare le proprie opinioni. Oggi il solo ascolto è troppo poco.
Dunque, la vera difficoltà di chi ha responsabilità nella Chiesa non sta nel mettersi in ascolto di tutti – aspetto decisivo, ma del tutto insufficiente –, bensì nell’attivare dei processi di riforma della prassi pastorale.
Le comunità cristiane, come ogni organizzazione, devono avere una visione, e quindi essere aiutate a fare dei passi in avanti nella direzione indicata da questa visione.
In concreto, questo comporta introdurre progressivamente alcune discontinuità virtuose sul piano pastorale e mantenerle a qualunque costo. Purtroppo, però, non di rado la visione è molto generica, e non si capisce bene come fare per attivare processi di cambiamento che siano effettivi e duraturi.
A mio giudizio, anche per questa ragione la frequentazione degli organismi di partecipazione si fa sempre più lacunosa. D’altra parte, se si tratta di andare a fare due chiacchiere con il pastore e alcuni amici su un tema scelto a rotazione all’interno di una lista ormai ripercorsa più volte, sapendo peraltro che non si avrà alcuna informazione sull’esito delle idee che si sono elaborate, il desiderio di fare altro è ben comprensibile.
L’onore di essere ascoltati dal capo e ringraziati per il proprio contributo, in attesa che decida autonomamente che cosa fare, non è più una motivazione sufficiente per spingere a uscire di casa la domenica pomeriggio o la sera, soprattutto dopo una pesante giornata di lavoro.
Il compito di attivare processi di riforma della diocesi e delle parrocchie spetta anzitutto al vescovo e al suo presbiterio. Ovviamente non è possibile riflettere in questo contesto su come lo si possa fare.
Vescovo, presbiteri, comunità
Il padre J.-M.R. Tillard, però, offre alcune semplici idee che potrebbero risultare stimolanti: «Il magistero gerarchico ordinario ha come organo ordinario il vescovo della Chiesa locale, in comunione con i vescovi delle altre Chiese ma anche in stretta solidarietà con quello che l’antica tradizione chiama il suo presbytérium. Il quale costituisce la rete capillare attraverso la quale, da una parte, le questioni, le difficoltà, la prassi, ma anche le convinzioni del sensus [fidei] della comunità accedono al vescovo e attraverso la quale, d’altra parte, le decisioni di quest’ultimo (le sue specifiche, come quelle del corpo episcopale nel suo insieme di cui egli è membro) vengono non soltanto comunicate ma spiegate, tradotte se è il caso, alla comunità. […] Il peso della loro [dei vescovi] parola magisteriale viene certo innegabilmente dalla loro specifica missione di responsabili, che adempiono con una assistenza speciale dello Spirito, ma viene anche dal fatto che il suo contenuto è in armonia con ciò che d’istinto, nel loro sensus fidei, le loro Chiese sentono.» (J.-M.R. Tillard, Chiesa di Chiese. L’ecclesiologia di comunione, Queriniana, Brescia 1989, 136-137).
In questo testo è interessante anzitutto la sottolineatura della sintonia tra l’insegnamento dottrinale dei vescovi e ciò che è percepito dal senso di fede dei membri delle loro Chiese locali. Tale sintonia è prodotta dallo Spirito, che agisce sia nei pastori sia nei fedeli, ed è il fondamento di una recezione feconda dell’insegnamento magisteriale.
Per Tillard, però, il dialogo tra il vescovo e i credenti della sua diocesi tocca anche aspetti pratici della vita ecclesiale – parla infatti di questioni, difficoltà, prassi –, in quanto la responsabilità della custodia della fede apostolica incide inevitabilmente su molte scelte operative. Il vescovo, insomma, non può defilarsi da questi problemi, pensando che non lo riguardino.
Questo dialogo, poi, è reso possibile dai presbiteri che presiedono le varie parrocchie. Costoro sono chiamati a portare al vescovo le questioni che emergono nella vita delle loro comunità, e a spiegare ai fedeli le sue decisioni, nonché quelle prese dal pontefice come capo del collegio episcopale e dagli organismi vaticani che lo aiutano nel suo servizio.
Tutto questo significa che i vescovi, insieme ai loro presbiteri, devono anzitutto ricevere dalle loro comunità, lasciandosi positivamente “contaminare” dal loro senso di fede, dalla loro percezione delle difficoltà e dal loro modo di affrontarle.
Discontinuità pastorali
Nello stesso tempo, però, devono prendere decisioni e favorirne la ricezione. È loro compito introdurre occasionalmente delle discontinuità pastorali virtuose che possano poi essere spiegate nelle varie comunità come un punto fermo, con la garanzia che non si recederà per nessuna ragione.
Attraverso tali discontinuità, un pastore avvalora i momenti di discernimento comunitari, perché dimostra che ciò che ha potuto ascoltare e ricevere in questi momenti ha effettivamente portato frutto. È questo oggi il modo più convincente per incoraggiare i fedeli a incontrarsi nei luoghi ecclesiali di discernimento.
Tutto molto condivisibile. Tuttavia a monte c’è una grossa questione: una sana riforma della Chiesa in ogni sua dimensione comporta necessariamente fare i conti con la storia (cfr. https://iltuttonelframmento.blogspot.com/2020/10/cattolicesimo-borghese3.html), altrimenti certi retaggi sono difficili da scardinare e nuovi processi difficili da generare.