L’articolo di Massimo Nardello Frammenti di Chiesa /10. Focalizzare l’autorità, come alcuni altri pubblicati in questa serie di contributi, sembra essere attraversato da una sostanziale preoccupazione: quella di ribadire il potere esclusivo dei ministri ordinati nella Chiesa cattolica. Perché di potere si tratta e non di autorità – almeno nel modo in cui la questione viene di fatto declinata.
L’autorità, infatti, si vede a posteriori negli esiti dell’esercizio di una responsabilità della fede; e, quindi, non può essere auto-intestata. Il potere, invece, deriva da una posizione/ministero ben specifico nel corpo ecclesiale ed è immediato – legato all’assunzione, fosse anche sacramentale, di tale posizione/ministero.
Nella Chiesa si può avere autorità anche senza potere (ordinato); e il fatto di avere un potere ordinato non significa immediatamente essere investiti di autorità – ossia, di quella forza della fede che sa generare ciò che ancora non c’è nella Chiesa.
Se comprendo bene, nella proposta di Nardello nella Chiesa c’è già tutto, non le manca nulla; di qui la necessità di un potere che assicuri questo assetto definitivo dell’istituzione ecclesiale. Lo sviluppo storico della Chiesa cattolica, poi, ha finito per incorporare il primo intervento ministeriale di cui parla Tillard (quello dell’apostolo o predicatore) nella figura del secondo (quello dell’episkopé).
Oggi, questi due interventi, distinti nel Nuovo Testamento, hanno un unico soggetto lecito: il ministro ordinato, che lo esercita in toto su tutta la comunità – dalla Chiesa universale alla comunità parrocchiale, passando per la Chiesa locale.
Questo sviluppo, dogmatizzato, è un fatto culturale e non testuale. Esso è possibile solo perché l’autorità della Scrittura consente, anzi esige, di generare qualcosa che non è la Scrittura stessa. Ora, un ministero che trova la sua legittimazione in tale processo culturale della fede avoca a sé il potere di sottrarsi, in quanto tale, alla forza che lo ha generato.
L’immagine proposta da Nardello, per esprimere il senso di questo potere, è illuminante. Il ministero ordinato, con il suo potere di impedire la generazione del nuovo desiderata dalla Scrittura, è come gli argini di un fiume: l’acqua certo scorre, ma non muta mai percorso. In questo caso, non è l’acqua a scegliere il proprio percorso (fuori di metafora, la fede sospinta dalle indicazioni dello Spirito), ma il ministero ordinato.
Il suo potere è quello di impedire che la fede possa essere là dove lo Spirito desidera che essa sia. Rimanendo nel gioco della metafora, sappiamo bene che davanti alla forza dell’acqua gli argini, anche ben architettati, poco possono. Sappiamo anche che un fiume non sarà per sempre là dove esso era, è e sarà. Cambia il suo percorso, perché così è nella sua natura.
Il potere del ministero ordinato presidia oggi non il fiume della fede che esiste realmente, ma un alveo asciutto e sterile – senza accorgersi che l’acqua è oramai altrove. Nella Chiesa questo accade perché l’autorità delle Scritture non sembra essere intimidita dal potere di controllo e canalizzazione che il ministero ordinato avoca a sé.
Se il ministero ordinato fosse davvero in cerca di autorità, sarebbe ben consapevole dei limiti del suo potere – perché esattamente questi sono la condizione di possibilità di una sua eventuale autorevolezza.
Il primo limite è proprio quello del nesso originario fra evento corporeo della Parola e contesto culturale del suo venire al mondo. Originario (normante, se vogliamo usare una parola di scuola) è questo stesso nesso, che è generativo per la possibilità di una incarnazione della Parola. Quest’ultima non sarebbe, allora come oggi, senza una sua obbedienza alla storia in cui nasce, al luogo in cui vive, al dialetto con cui nomina l’intimità del mistero di Dio. La contingenza non è un impedimento alla piena manifestazione del Dio; anzi, è l’humus da lui desiderato perché il suo essere possa venire realmente apprezzato.
Il Dio di Gesù è esattamente quello che rompe l’argine della separazione, senza mai cessare di essere il suo mistero più profondo.
Mi pare che l’insistenza sulla necessità di individuare delle ulteriori sedi di fissazione del potere all’interno della Chiesa si combini male con una sua immagine, già vetusta, di società a cui non manca niente, cioè perfetta. Tale visione è di per sé mummificante e va assai bene con le esagerazioni in senso temporale che altri due articoli in questo numero evidenziano nell’attualità dei tentativi politicamente sovranisti di un nuovo integralismo cattolico che sembra voler gareggiare con l’indecorosa benedizione dogmaticamente fornita dalla gerarchia dell’ortodossia russa all’unilaterale e autocratica aggressione del potere civile, che è ancora detenuto dalla persona di Putin, all’Ucraina ormai più di tre anni fa.
Non me ne voglia Massimo, ma in effetti i suoi ultimi articoli hanno l’imprinting della “preoccupazione”. In primo luogo quella di ribadire una sorta di zoccolo duro della tradizione, non soggetta a cambiamenti culturali. In secondo luogo, quella di sottolineare la figura del ministero ordinato come fonte ultima e totalizzante della fede della Chiesa. Bene ha fatto Marcello a ricordare che autorità e potere non coincidono. L’autorità, intesa come ciò che autorizza e (conseguentemente) come ciò che è accolto in quanto credibile (autorità epistemica), travalica il potere (autorità giuridica) quale capacità di disporre di mezzi coercitivi. Usando la metafora del fiume e degli argini di Massimo, Marcello dice che oggi l’esercizio del potere (gli argini) rischia di esercitarsi in un vuoto (un fiume a secco), dato che i credenti (acqua) hanno preso altre strade. Io dico che il potere può ancora trovare rivoli d’acqua. Fuori di metafora, vi sono ancora credenti che riconoscono figure di potere. Occorre però interrogarsi sulle motivazioni di questo riconoscimento. Il rischio infatti è che, nel nostro mondo dei consumi, vi sia anche un numero considerevole di consumatori religiosi. Costoro, avvicinandosi al mondo della fede non per praticare un’esperienza comunitaria (e dunque poco propensi a interrogarsi sul senso della fede qui e ora) ma per motivi di benessere e rassicurazione (intimismo e immediatezza), non hanno bisogno di figure autorevoli ma di funzionari del sacro e amministratori (potere). A chi consuma, non interessa il funzionamento del meccanismo… ma che il prodotto venga erogato.