L’isolamento forzato dovuto alla necessità di contrastare l’epidemia di Coronavirus, fra le tante implicazioni ha anche visto, fatto del tutto inedito nel nostro Paese, la chiusura delle scuole. Di conseguenza gli studenti e le studentesse di ogni grado e età, insieme ai propri insegnanti, hanno quindi dovuto adattarsi a forme di insegnamento alternative (anche rispetto all’uso di Lim e simili) a quelle solitamente impiegate nelle aule scolastiche.
Si legge nella nota emanata dal Miur che la didattica a distanza ha avuto e ha due significati: da un lato, sta servendo a «mantenere viva la comunità di classe, di scuola e il senso di appartenenza», combattendo «il rischio di isolamento e di demotivazione». Dall’altro lato, è essenziale per «non interrompere il percorso di apprendimento». Lasciando da parte le considerazioni, pur di estrema importanza, su quanto (e “se”) la didattica a distanza possa sostituirsi a quella che prevede la presenza fisica dell’insegnante, è bene ricordare che – se non si vuole che essa sia limitata a rispondere ad un’emergenza, come in questo caso – questa modalità richiede un grande investimento (non solo economico) di formazione ai formatori e a studenti/studentesse.
Le contromisure del Governo
In linea con queste osservazioni sembrano essere le decisioni del Governo che, nella persona della Ministra dell’Istruzione, Lucia Azzolina, ha firmato il decreto ministeriale per distribuire alle scuole (in attuazione del decreto legge del Governo Cura Italia), attraverso la quale sono stati messi a disposizione 85 milioni per il potenziamento della didattica a distanza. Nel comunicato emanato dagli uffici del Ministero dell’Istruzione il 26 marzo scorso si legge che, di questi 85 milioni, «10 milioni potranno essere utilizzati dalle istituzioni scolastiche per favorire l’utilizzo di piattaforme e-learning e per dotarsi immediatamente di strumenti digitali utili per l’apprendimento a distanza, o per potenziare quelli già in loro possesso.
Ponendo attenzione anche ai criteri di accessibilità per le ragazze e i ragazzi con disabilità». Altri 70 milioni – continua il comunicato – saranno utilizzabili per mettere a disposizione degli studenti meno abbienti, in comodato d’uso gratuito, dispositivi digitali per la fruizione della didattica a distanza. I restanti 5 milioni serviranno a formare il personale scolastico. I 70 milioni per i dispositivi digitali saranno distribuiti fra le scuole tenendo conto del numero totale di alunni dell’istituto (per il 30% del totale dell’importo), ma anche dell’indicatore Ocse Escs (per il 70% del totale dell’importo), che consente di individuare le aree dove ci sono famiglie più bisognose e dove, soprattutto, sono meno diffuse le dotazioni digitali».
Dunque, perfino la possibilità effettiva di potersi servire di un supporto elettronico per usufruire dei servizi di didattica a distanza non è qualcosa che si può dare per scontato.
Dossier Istat
Nel dossier pubblicato dall’Istat lo scorso 6 aprile dal titolo Spazi in casa e disponibilità di computer per bambini e ragazzi si osserva che nel periodo 2018-2019, il 33,8% delle famiglie non avevano computer o tablet in casa, la quota scende al 14,3% tra le famiglie con almeno un minore. Solo per il 22,2% delle famiglie ogni componente ha a disposizione un pc o tablet.
La percentuale di famiglie senza computer supera il 41% al Sud, con Calabria e Sicilia in testa (rispettivamente 46% e 44,4%), ed è circa il 30% nelle altre aree del Paese. Più elevata al Sud anche la quota di famiglie con un numero di computer insufficiente rispetto al numero di componenti: il 26,6% ha a disposizione un numero di pc e tablet per meno della metà dei componenti e solo il 14,1% ne ha almeno uno per ciascun componente. Rispetto alla dimensione del comune, la percentuale più alta di famiglie senza computer si osserva nei comuni di piccole dimensioni (39,9% in quelli fino a 2.000 abitanti), la più bassa nelle aree metropolitane (28,5%). Se si considerano le famiglie con minori, la quota di quante non hanno un computer scende al 14,3%, ma le differenze territoriali sono ancora più evidenti, con valori pari all’8,1% nel Nord-ovest (6% in Lombardia) e al 21,4% del Sud. Lo studio rileva inoltre che il 12,3% dei ragazzi e delle ragazze tra 6 e 17 anni (850mila individui) non ha un computer o un tablet a casa, quota che raggiunge quasi un quinto al Sud (circa 470mila).
Il 57,0% deve condividere lo strumento con la famiglia. In questi casi meno della metà dei familiari dispone di un pc da utilizzare. Dunque, anche se la maggior parte dei minori in età scolastica (6-17 anni) viva in contesti in cui è presente l’accesso a internet (96,0%), l’insufficienza di strumenti in rapporto al numero dei componenti della famiglia, impedisce nei fatti la possibilità di svolgere talune attività, inclusa la didattica a distanza. Soltanto il 6,1% dei ragazzi tra 6 e 17 anni vive in famiglie dove è disponibile almeno un computer per componente.
Nativi digitali. Sì, ma…
Nel 2019, il 92,2% dei ragazzi e delle ragazze di 14-17 anni ha usato internet nei 3 mesi precedenti l’intervista, senza differenze di genere. Tuttavia meno di uno su tre presenta alte competenze digitali (il 30,2%, pari a circa 700mila ragazzi/e), il 3% non ha alcuna competenza digitale mentre circa i due terzi presentano competenze digitali basse o di base (vedi tabella qui sotto con i dati Istat dell’indagine Aspetti della vita quotidiana).
Le ragazze presentano complessivamente livelli leggermente più elevati di competenze digitali (il 32% dichiara alte competenze digitali contro il 28,7% dei coetanei). Tale differenze sono più marcate se si considerano le cosiddette communication skills (83,3% contro 76,3%) mentre si attenuano per le altre competenze rilevate (information skills, software skills e problem solving skills).
- Ripreso dalla rivista Confronti.