La coscienza critica di Paulo Freire

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educazione

Quando nel 1970 viene pubblicata a New York la prima edizione di Pedagogy of the oppressed, nulla fa intuire che il libro del sociologo brasiliano Paulo Freire sarebbe stato tradotto in venti lingue e, in alcuni casi, avrebbe superato le trenta ristampe.

Secondo uno studio condotto nel 2016 Pedagogia degli oppressi è il terzo libro più citato al mondo negli studi sulle scienze sociali. Principale animatore del rinnovamento e del cambio degli studi pedagogici della seconda metà del Novecento, le idee di nessun altro pedagogista hanno avuto un rilievo internazionale tanto diffuso e quasi iconico negli Stati Uniti e in America Latina.

Le elaborazioni di Freire, padre del Programma di alfabetizzazione nazionale brasiliano ed esule in Cile dal 1964 dopo aver subito la prigionia e la tortura da parte della giunta militare, scardinano tutti gli impianti educativi tradizionali esistenti e allo stesso tempo presentano un principio politico-pedagogico alternativo e rivoluzionario, tuttora valido: la formazione di una “coscienza critica” nell’essere umano tramite il processo educativo assume un ruolo prioritario quale strumento in grado di avviare un processo di democratizzazione del sapere e della società.

Il potere della parola

Non solo teoria, ma anche prassi. Nel 1963, ad Angicos, cittadina nel Rio Grande do Norte, in appena quarantacinque giorni Freire alfabetizza trecento lavoratori e sul sorprendente esito del pioneristico progetto educativo si sofferma addirittura il New York Times. I suoi allievi, sparsi in ogni angolo dimenticato, sfruttato e sottomesso del pianeta, sono i “dannati della Terra” soggiogati da secoli di colonialismo, piegati dagli artigli dell’imperialismo, terrorizzati dai regimi autoritari. Ieri come oggi.

L’impianto freireano ribalta il paradigma del tradizionale rapporto educatore-educando e anzi contiene la spiccata aspirazione liberazionista, tanto che il significato dell’alfabetizzazione degli adulti non si riduce ad un puro apprendimento meccanico della lettura e della scrittura, bensì viene sempre considerato come un atto politico, direttamente legato ai diritti, alla sanità, al progetto globale della società che si intende realizzare (convertendo lo status quo). In questo senso la «comprensione critica della realtà» diventa strumento di rivendicazione dell’uomo e dei popoli, in quanto puntello dei processi di emancipazione socio-culturale e di decolonizzazione.

L’alfabetizzazione, puntualizza Freire, «essendo un processo di ricerca, di conoscenza, e quindi, di creazione, esige dai suoi soggetti che scoprano, nella catena delle tematiche significanti, la compenetrazione dei problemi».

In altre parole, si tratta dell’applicazione della cosiddetta “alfabetizzazione coscientizzatrice”, secondo cui la liberazione autentica dell’uomo «non è una parola in più, vuota, creatrice di miti. E’ una prassi, che comporta azione e riflessione degli uomini sul mondo, per trasformarlo».

Nella visione dell’“uomo del Terzo Mondo” (secondo una sua definizione) l’educazione rappresenta una “forza di cambiamento e di liberazione” in grado di costruire una nuova società in cui sia l’uomo che il popolo siano soggetti (non più oggetti) della Storia. In quest’ottica, come ha sottolineato il fondatore della pedagogia critica statunitense Henry Giroux, l’impegno educativo e politico del pedagogista della liberazione è un atto rivoluzionario, che individua l’essere umano come soggetto portatore di determinati valori.

Quella di Freire, nel Sudamerica dei travagliati anni Sessanta, può essere definita una “rivoluzione gentile” che si diffonde in cinque continenti, in paesi distanti come Australia, Nicaragua, Isole Fiji, India, Tanzania, Messico, São Tomé e Príncipe, Stati Uniti, Italia, e tanti altri. Il metodo dell’alfabetizzazione coscientizzatrice diventa la spina dorsale dei processi educativi dei movimenti di liberazione guidati da Amílcar Cabral in Guinea-Bissau e Cabo Verde, Agostinho Neto in Angola, Marcelino dos Santos e Samora Machel in Mozambico.

Educazione versus autoritarismo

Le elaborazioni freireane rappresentano ancora oggi un manifesto contro ogni forma di autoritarismo, tanto che l’attuale presidente del Brasile Jair Bolsonaro già nel corso della campagna elettorale del 2018 dichiarò che il nuovo impianto educativo avrebbe sradicato «l’ideologia di Paulo Freire dall’educazione brasiliana».

Da allora, i continui attacchi all’opera del pedagogista pernambucano e ai suoi allievi e studiosi sono stati portati avanti attraverso intimidazioni e proclami del movimento conservatore “Scuola senza partito”, il cui obiettivo è far sì che venga impedito agli insegnanti di far riferimento agli studi e all’opera di Freire, nonostante sia morto nel 1997, e contestualmente picconare la scuola pubblica. Paradossalmente, sotto altre forme, riemerge l’accusa additata al pedagogista della liberazione dai militari brasiliani nel 1964, ritenuto «uno dei maggiori responsabili della sovversione dei meno favoriti», cioè degli ultimi.

Tutta l’opera di Freire rappresenta dunque un pericoloso vessillo per quei governi che minacciano le libertà democratiche degli individui e dei popoli indebolendo il libero esercizio dei diritti fondamentali, in quanto riscrive la narrativa dell’educazione come progetto politico che, allo stesso tempo, rompe le molteplici forme di dominio e amplia i principi e le pratiche della dignità umana, della libertà e della giustizia sociale.

L’ecopedagogia per il futuro della Terra

Educare ad un altro mondo possibile, ovvero rendere visibile ciò che era nascosto, sensibilizzare,  demercificare la vita, cambiare radicalmente i sistemi di produzione e creare le condizioni per preservare l’equilibrio tra l’uomo e l’ambiente naturale. Non solo liberazione, diritti sociali, diritti economici, diritti civili, il lascito di Freire si spinge fino ad anticipare il profilo di una “pedagogia della sostenibilità”, definita “ecopedagogia”: si tratta di una coscienza critica ambientale che rappresenta una componente strategica del processo di costruzione della democrazia, in quanto tesa al superamento delle disuguaglianze, delle differenze economiche e all’integrazione delle diversità culturali, alla salvaguardia delle risorse naturali, al rispetto delle biodiversità.

In questa visione di costruzione di un rapporto armonico, dialogico, con la Terra, l’educazione alla sostenibilità e la difesa dell’ambiente sono i presupposti per una progettazione comunitaria e partecipata che implica la creazione di nuove interrelazioni e forme di solidarietà, di nuove responsabilità etiche come fondamento di una cittadinanza ambientale mondiale.

Su questo terreno si è recentemente soffermato il filosofo del diritto Luigi Ferrajoli che, da un punto di vista giuridico, ha proposto l’ambizioso progetto di una Costituzione della Terra «perché ci sono emergenze e catastrofi globali, come la pandemia tuttora in atto, che non fanno parte dell’agenda politica dei governi nazionali, anche se dalla loro soluzione dipende la sopravvivenza dell’umanità: il riscaldamento climatico e gli inquinamenti globali dei mari e dell’aria, di cui soffrono soprattutto le popolazioni dei paesi poveri benché siano prodotti dallo sviluppo insostenibile dei paesi ricchi; le guerre e i pericoli di catastrofi e conflitti nucleari determinati dalle migliaia di testate atomiche tuttora esistenti sul pianeta […]».

Si tratta di una sfida globale che supera i nazionalismi e le contraddizioni della globalizzazione e propone l’universalismo dei diritti fondamentali per difendere i beni fondamentali perché vitali, come l’acqua, l’aria, i ghiacciai, il patrimonio forestale e così via. Non c’è dubbio che da due approcci metodologici distinti, sia nella visione di Freire che nelle analisi di Ferrajoli il pianeta è considerato come una grande comunità, caratterizzata dall’unicità e dalla diversità, e le cui traiettorie convergono nella promozione dei diritti fondamentali di ciascuno e diritti di tutti, dei diritti delle persone e diritti dei popoli.

Il 19 settembre decorre il centenario della nascita di Paulo Freire e la sua idea della “liberazione”, ieri come oggi, spinge inevitabilmente i popoli, le masse “fuori dalla storia” presenti nel sud e nell’est del globo, ad intraprendere il cammino per un futuro di prospettive tutte da tracciare. Gli insegnamenti del pedagogista indicano la strada per costruire una società più solidale, interculturale, aperta, fondata sul riconoscimento e sulla valorizzazione di culture, identità, differenze tra gli esseri umani. Si tratta di impegnarci a diffondere quella che è stata definita l’“educazione intertransculturale”.

  • Ripreso dalla rivista Confronti. Andrea Mulas è ricercatore presso la Fondazione Lelio e Lisli Basso.
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