Alla lettera del presidente della Macedonia del Nord, Stevo Pendarovski, in cui si chiedeva l’autocefalia per la Chiesa ortodossa del paese (cf. SettimanaNews: Macedonia verso l’autocefalia?) è seguita, a due giorni di distanza, una seconda lettera (22 settembre) a firma del primo ministro Zoran Zev, che ripropone la richiesta: «Chiediamo di essere ecclesialmente autonomi entro i confini del nostro paese e che i nostri vescovi possano concelebrare con i vescovi di tutte le altre Chiese ortodosse in tutto il mondo».
Il popolo si aspetta «di vedere riconosciuta la Chiesa macedone-arcidiocesi di Ohrid come autocefala, con la benedizione e il tomo del primate delle Chiese ortodosse, il patriarca Bartolomeo».
La richiesta ha risollevato le contrapposte argomentazioni delle diverse Chiese nazionali, già travolte dal caso ucraino e dalla grave frattura fra Chiese ortodosse elleniche e Chiese ortodosse slave.
La Macedonia, una delle sei ex repubbliche della federazione iugoslava di Tito, è arrivata all’indipendenza nel 1991. Risparmiata dalla guerra civile del 1992, è candidata all’entrata nell’Unione Europea dal 2005 e appartiene alla Nato dal 2017. Ha risolto i conflitti geografici con la Bulgaria nel 2017 e, nel 2019, ha appianato il conflitto con la Grecia sul nome del paese, accettando di qualificarsi come Repubblica della Macedonia del Nord.
Dal punto di vista ecclesiale, la Chiesa locale si è distaccata dal patriarcato di Serbia nel 1967, entrando in un conflitto ancora aperto, con una doppia gerarchia, una filo-serba guidata dal vescovo Giovanni (con pochissimi fedeli) e una autoctona che rappresenta un milione e mezzo di credenti sui 2.400.000 abitanti.
Una delegazione greca, guidata dal metropolita Gabriel, ha visitato Bartolomeo per presentargli le difficoltà e le perplessità delle Chiese greche in ragione del nome «Chiesa macedone» attribuitosi dalla diocesi di Ohrid, visto che la Macedonia è una delle regioni e delle diocesi del paese. Dalla Serbia è arrivato un silenzio carico di dissenso, espresso dal ministro degli esteri del paese, Ivica Dačić. Si è augurato che la richiesta macedone non venga accolta. Sollecitato dal giornale National Herald (New York), il patriarcato ha definito la situazione con una presa di posizione pubblica.
I diritti del patriarca di Costantinopoli
Dopo aver ricordato che il problema scismatico fra Macedonia e Serbia è pluridecennale e aver sottolineato il ruolo proprio di Costantinopoli nella soluzione dei conflitti fra le Chiese ortodosse – e già esercitato senza successo nel 2002 –, il Patriarcato rivela «di aver inviato l’anno scorso una delegazione a Belgrado che ha avuto colloqui tesi con la santa Chiesa di Serbia. Il 17 gennaio 2020 ha suggerito alla Chiesa sorella di inviare al Fanar (Costantinopoli) una delegazione della Macedonia del Nord, fra cui l’arcivescovo di Ohrid, Giovanni (filo-serbo), ma la Chiesa di Serbia non ha ancora risposto.
Per questo il patriarcato ecumenico ha rinnovato l’invito, allegando le lettere autorevoli già indicate. Da parte macedone si ricorda che la loro Chiesa non è stata giudicata scismatica per ragioni dogmatiche o teologiche, cioè su questioni di fede, e si appella al diritto di ricorso al patriarca di Costantinopoli, diritto che il patriarca ecumenico possiede sulla base delle decisioni dei concili ecumenici che vincolano tutti gli ortodossi, così come la pratica perenne della Chiesa le ha vissute e applicate attraverso i secoli.
Stando lo cose in questa maniera, la questione dell’autocefalia della Chiesa macedone non è al momento sul tavolo, quanto piuttosto la soluzione di uno scisma, opera che tutti hanno il sacro dovere di compiere, e in particolare la Chiesa madre di Costantinopoli».
Il silenzio della Chiesa serba è dovuto alla sua convinzione dell’improponibilità di un’autonomia totale da parte di una diocesi che da secoli, e in particolare dal ’900, fa riferimento a Belgrado. Ma anche alla condivisione con Mosca della critica radicale rispetto a Costantinopoli non più in grado di rappresentare l’universalità dell’Ortodossia.
Come ha detto il metropolita Antimo di Alessandropolis (Grecia): «La Chiesa ortodossa russa ha cercato di annullare il patriarcato ecumenico. In altre parole, ha cercato di rovesciare l’ordine ecclesiastico che esiste da duemila anni e di prendere le cose nelle proprie mani in relazione all’universalità dell’Ortodossia». «Se il sacro ordine ecclesiastico riconosciuto per così tanti secoli viene rovesciato, alla fine è l’intera Ortodossia ad essere rovesciata».