L’Africa dei muri

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La Guinea Equatoriale ha rinunciato al progetto di costruzione di un muro lungo il confine con il Camerun. Una questione spinosa che, per lungo tempo, ha contrapposto i due Stati. Ad affermarlo il ministro della difesa del Camerun dopo un incontro avvenuto a Yaoundé con la sua controparte della Guinea.

Dopo mesi di attrito sembra quindi che sia stato raggiunto almeno un compromesso che prevede di fermare i lavori fino a quando i due Paesi non troveranno un accordo definitivo su una questione scoppiata esattamente un anno fa.  Nell’agosto del 2019 veniva infatti reso pubblico il piano messo a punto dal presidente Teodoro Obiang Nguema Mbasogo di erigere una barriera lunga 183 chilometri per dividere la Guinea Equatoriale dal Camerun.

Un progetto che non piacque alle autorità di Yaoundé e che pareva essere volto a frenare l’immigrazione clandestina ma anche a proteggere una grande ricchezza: il petrolio. La Guinea Equatoriale è infatti il quarto più grande produttore africano di oro nero, dopo Nigeria, Angola e Algeria.

Mentre quindi la costruzione del muro tra i due Paesi dell’Africa occidentale sembra perlomeno essere messa in stand by, altre barriere continuano a essere presenti in alcuni confini africani. Tra Sudafrica e Mozambico, per esempio, esiste un muro risalente agli anni Settanta. A volerlo erigere, nel 1975, fu il governo di Pretoria per contenere i possibili sconfinamenti dal Mozambico, allora devastato da una pesante guerra civile. Si tratta di una struttura lunga 120 km che, secondo un trattato siglato nel 2002 dai due Paesi, avrebbe dovuto essere smantellata. In realtà, solo una piccola parte è stata distrutta per permettere le migrazioni degli elefanti. La restante parte è stata mantenuta per contenere l’immigrazione illegale e il contrabbando di armi.

Anche il confine tra Botswana e Zimbabwe è solcato da una barriera, una rete lunga 500 chilometri la cui costruzione risale al 1966, quando il Botswana ottenne l’indipendenza. Voluta per proteggere il bestiame da eventuali epidemie e dalle aggressioni dei predatori, la struttura è alta tra i due e i tre metri ed è elettrificata. Oltre ad ostacolare il libero movimento degli animali selvatici, negli anni Duemila ha iniziato anche a impedire gli spostamenti dei molti zimbabwiani che cercavano rifugio negli Stati confinanti, soprattutto in Sudafrica e in Botswana, a causa del tracollo dell’economia di Harare.

Nel Sahara occidentale esiste un altro muro, costruito dal Marocco negli anni Ottanta per proteggere le zone sicure da quelle presidiate dai miliziani del Fronte Polisario. La struttura è sorvegliata da postazioni armate e da una rete di radar. Di fronte a essa sono state interrate milioni di mine.

A partire dal 2005 anche la Spagna ha eretto una serie di barriere nelle sue enclave in terra africana per arginare il flusso crescente di migranti. Il muro, fatto di reti e filo spinato e lungo 8 km, divide Ceuta e Melilla dal Marocco. Nel 2014, invece, è stato il Kenya a iniziare la costruzione di una barriera al confine con la Somalia per ridurre il flusso dei profughi e per garantire maggiore sicurezza al Paese dagli attacchi dei miliziani somali di al-Shabaab.

  • Articolo ripreso dalla rivista missionaria dei padri bianchi Africa.
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