La strage di Mosca è stata seguita da affermazioni tanto date per certe quanto sorprendenti. Cominciamo dai comunicati dell’Isis-K, i terroristi dello Stato Islamico del Khorasan, regione oggi divisa tra Iran, Afghanistan, Tagikistan, Turkmenistan, Tagikistan e Uzbekistan. Nella storia islamica il Khorasan è molto importante e la sua capitale è la città santa di Mashhad.
Fatta questa doverosa premessa passiamo ai fatti. Il gruppo terrorista Isis-K, che proclama la costituzione di uno Stato Islamico – che per i musulmani semplicemente non esiste – ha rivendicato immediatamente l’azione, affermando che i suoi combattenti, almeno in quel momento, risultavano sani e salvi.
C’è una prima, evidente, incongruenza, secondo me: non è forse vero che, di solito, queste azioni vengono compiute da aspiranti martiri, nel nome di Allah? Un’organizzazione di aspiranti martiri che vuole l’istituzione di uno Stato islamico globale, si preoccupa forse di dire che i suoi uomini sono tutti sani e salvi?
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Successivamente, è emerso che i catturati – la cui identità sarebbe confermata dalle immagini diffuse da Isis-K – avrebbero affermato di essere stati pagati, ben 5.000 dollari. Dunque, sarebbero martiri a pagamento: assai strano! Ma nessuno dell’Isis-K avrebbe smentito, sostenendo, ad esempio, che si sia trattato di una confessione estorta con la tortura.
Tutto questo sembra fare il gioco del Cremlino: Putin, infatti, dopo un lungo silenzio, ha ammesso trattarsi di terroristi islamisti (senza peraltro citare l’Isis-K). Ha aggiunto che a lui interessano i mandanti. Ma da quando i terroristi islamisti, come quelli di al Qaida prima, i rivali dell’Isis poi, avrebbero mandanti, come i comuni sicari?
Putin, in tal modo, sta negando ciò che sostiene dal 1999, ossia da quando lanciò la guerra al terrorismo islamista in Cecenia, definendolo una minaccia globale. Ricordiamo che fu lui il primo leader mondiale a telefonare a George W. Bush l’11 settembre 2001, in nome di un comune impegno contro la minaccia globale islamista. Ora tale minaccia avrebbe altri mandanti? È cambiata, dunque, radicalmente, la lettura del fenomeno, da parte moscovita? Così sembrerebbe, ma Putin non lo può dire, perché dovrebbe mettere in discussione la sua teoria della «guerra al terrorismo globale».
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Ad un altro ordine di incongruenze appartiene la tesi ufficiale russa, secondo la quale i terroristi stavano fuggendo verso l’Ucraina nel mentre venivano catturati, contrariamente a quanto espresso dallo strettissimo alleato Lukashenko, presidente della Bielorussia, secondo cui, invece, stavano tentando di raggiungere il suo Paese. La seconda versione appare la più verosimile, posto che è improbabile fuggire attraversando le linee di un fronte di guerra, presidiato più che mai si può.
Cercando, maldestramente, di aggirare l’illogicità, i servizi russi hanno sostenuto che i terroristi sono stati addestrati in Ucraina: risulta quanto meno strano che gli islamisti scelgano di addestrarsi in un Paese di infedeli, quanto i russi.
Gli sbandamenti della testa del Cremlino mi sembrano evidenti. La minaccia terrorista esiste ed è cosa assai seria, in Russia, nel mondo. Ma le incongruenze sono evidenti anche nel campo della supposta o reale Isis-K.
Coerente con la sua ideologia, l’Isis non ha indicato nella ferocia, più volte mostrata da Putin in tante campagne caucasiche – contro popolazioni in gran parte musulmane -, la causa delle sue scelte: no, ha indicato nei «cristiani russi» l’origine del male da colpire. Lo scopo ideologico appare chiaro: imputare ai cristiani, in quanto tali, le azioni indiscriminate che l’autorità russa, in parte, sta già compiendo, in modo da rafforzare il “credo” pseudo-religioso: invocare “lo scontro” e, con ciò, fare molti proseliti.
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È tuttavia poco credibile che un gruppo, così fanaticamente ideologico, in guerra con altri gruppi fanatici, quali al Qaida e i Talebani – ritenuti, persino, troppo «molli» – affidi la purezza assoluta della guerra agli infedeli a giovani prezzolati – presi per fame – con l’idea che potessero farla franca: sarebbe il tradimento dei tanti martiri del passato.
Si potrà capirne qualcosa se e quando si vorrà indagare a fondo sui finanziamenti alla galassia terrorista. Chi la finanzia? Quali rapporti col narcotraffico e con la tratta degli esseri umani? E le armi, chi le dà? Ci sono di mezzo inconfessabili intelligence?
Di ciò Putin non ha parlato, forse perché ciò significherebbe scoperchiare un vaso di Pandora di cui lui stesso – coi suoi – è uno degli occulti mestatori.
Mosca rilancia, invece, per ora tramite i portavoce, la vecchia teoria dell’Isis quale creatura degli Stati Uniti e della Gran Bretagna per forzarne il coinvolgimento nella strage, così da spaccare le opinioni pubbliche occidentali, da anni pervase dalla propaganda russa.
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Ricordo qui la storia nota – ma troppo spesso taciuta – del protetto di Putin: il siriano Assad. Per immergere i marines nel pantano iracheno, dopo l’invasione americana del 2003, Assad fece una scelta ormai documentata.
Dopo Baghdad, il passo successivo, per Bush, doveva essere la Siria. Così Assad fece affluire i terroristi islamisti – aspiranti martiri per davvero – da tutto il mondo, facendoli procedere alla volta di Baghdad. È certo che gli americani abbiano sbagliato, nella circostanza, le loro valutazioni e i loro calcoli. Ma è dimostrato il cinismo e la crudeltà del tiranno siriano, oggi ancora al suo posto, grazie, in gran misura, agli uffici di Putin.
Gli sviluppi di quella scelta scellerata si sono certamente intrecciati con molto altro e hanno contribuito alla distruzione della Siria. Parlarne porterebbe troppo lontano, ma la storia è molto diversa da quella che raccontano a Mosca, e Putin lo sa.