Diario di guerra /43. Siria, Giordania, Iran

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Dopo la morte di sette operatori umanitari impegnati a distribuire aiuti a Gaza (molti dei quali occidentali) a causa di un bombardamento erroneo e riconosciuto come tale da Israele, la ONG statunitense di appartenenza ha deciso di sospendere le sue operazioni. Questo coincide con un nuovo tentativo della diplomazia.

Parigi ha annunciato una risoluzione “omnibus” per Gaza: condanna di Hamas e del suo pogrom del 7 ottobre, delle violenze sessuali perpetrate sulle donne israeliane, rilascio immediato senza condizioni di tutti gli ostaggi, ma richiesta di un immediato cessate il fuoco, con la definizione di disposizioni di verifica sul campo, apertura di tutti i valichi di accesso, via terra, degli aiuti umanitari, apertura dello scalo portuale di  Ashdod e impegno, con l’impegno di ricostruire rapidamente l’autorità palestinese a Gaza.

Il testo, assicurano alcuni organi di stampa, già circola tra i diplomatici dei Paesi membri del Consiglio di Sicurezza. Ma all’Onu la diplomazia ha già altri impegni. La Russia ha chiesto e ottenuto una discussione urgente sull’azione militare che ha determinato il crollo, a Damasco, di una palazzina di proprietà dell’ambasciata iraniana – sede consolare – e la morte di tre alti generali dei pasdaran iraniani, il più importante dei quali, Mohammad Reza Zahedi, risulta essere stato fino al momento della morte l’assistente personale del comandante in capo del battaglione al-Quds, il corpo dei pasdaran operativi all’estero: il generale Qaani. Ovvio che Russia e Cina vogliano condannare l’attentato, attribuito ad Israele. Il segretario dell’Onu ha chiesto il rispetto delle sedi diplomatiche.

In Siria e Giordania

Ma questo, e molto altro, su quale suolo accade? In Siria.

L’esercito di Assad è tornato a schierarsi nel sud, ai confini col Golan, in base ad un accordo mediato dai russi – potenza straniera – che assicurava che i pasdaran – potenza straniera – non vi avrebbero messo piede.

Era il 2018, la Russia si sentiva forte della propria, preponderante, presenza in Siria, tanto da far espellere l’alto graduato iraniano che aveva servito prima di Mohammad Reza Zahedi. Dal 2022 c’è la guerra in Ucraina. Ora l’attentato terrorista a Mosca. Cosa accade alla soverchiante presenza militare russa in Siria? Si riduce? E nelle posizioni di osservazione acquisite al sud, che succede?

Se l’Iran si incuneasse in quei distretti sarebbe un problema per tutti i vicini. Infatti, il regno di Giordania è scosso da manifestazioni e proteste: da Amman molti non escludono che possano avere un potenziale destabilizzante. Non si tratta solo di manifestazioni di rabbia e di piazza, ma anche di azioni contro le forze dell’ordine, sin ora con le pietre, forse con qualche bottiglia molotov.

Se dietro le manifestazioni ci fossero gli iraniani, sarebbe un problema più grande di quanto appaia. Ciò non potrebbe che accadere per via delle infiltrazioni dal sud della Siria. Non a caso le frequenti incursioni dei narcotrafficanti – solo narcotrafficanti!? – dalla Siria in Giordania ora vengono contrastate con le armi dall’esercito di Amman.

Quando, il 3 gennaio 2020, un raid americano eliminò il generale Qassem Soleimani, il potentissimo capo dei pasdaran operanti all’estero, si temette molto una reazione fortissima di Tehran. Non vi fu in quei termini. Tehran sa calcolare benissimo i rischi del “gioco”: quello di portarsi la guerra dentro casa, esperienza che Tehran ha già fatto negli anni Ottanta – a causa di Saddam Hussein – e, da allora, non vuole ripeterla. Preferisce portare la guerra a casa d’altri. Le macerie irachene, siriane, libanesi, yemenite lo confermano in modo eloquente.

La reazione dell’Iran

Questa volta Tehran porterà – per il tramite della Russia – una sua questione al Consiglio di Sicurezza dell’ONU, posto che a crollare è stata una sede consolare, con tanto di bandiera issata sul tetto. E i morti. Ma difficilmente, a questo passo, ne seguiranno altri in grado di avvicinare la guerra al suolo iraniano.

Piuttosto, oltre ai soliti attacchi a basi americane che potrebbero essere incrementati (l’Iran ha definito l’attacco di Damasco iopera americana) mi sembra ora la Giordania il posto ove l’Iran potrebbe trovare risultati capaci di allarmare i suoi nemici. La decisione, nelle ore appena trascorse, di invitare a Tehran i capi di Hamas e del Jihad islamico potrebbe essere un’indicazione in tal senso.

Certo, i prezzi da pagare sono alti: costano la vita a fedeli esportatori della rivoluzione, come accade, ormai quotidianamente, in Libano, non solo nel sud libanese. Vediamo le frequenti eliminazioni di alti esponenti di Hezbollah, da quelle parti.

D’obbligo pensare, ad esempio, a possibili azioni per mano di terzi – alleati di Teheran – quali i miliziani yemeniti Houti e altri.

Il ruolo di Assad

Resta però un interrogativo fondamentale: posto che il caso della distruzione della sede consolare iraniana è stato sollevato da Tehran e Mosca – e non da Damasco, che forse non ha neppure il fax del Consiglio di Sicurezza dell’ONU, è da capire se la Siria esista e se sia ancora uno Stato.

La Lega Araba ha riammesso Assad nel suo salotto buono. Un territorio decisivo per gli equilibri – o gli squilibri – regionali, è terra di scorribande da parte di chiunque. Ma perché non pensare ad una amministrazione straordinaria e provvisoria delle Nazioni Unite?

Va ricordato che permangono problemi enormi nel nord della Siria, ove i miliziani islamisti, indirettamente sostenuti dalla Turchia, sono contestati da oceaniche manifestazioni quotidiane. Altrettanto accade da un anno nella zona dei drusi, ancora formalmente controllate da Assad.

Mentre ad est non si è certo placato il conflitto tra curdi e turchi, che occupano alcune sacche strategiche di quei territori. Ciò conferma che i rischi di destabilizzazione ulteriore sono tantissimi: i focali hanno quasi sempre bisogno del transito siriano.

  • Tutte le puntate del Diario di Riccardo Cristiano possono essere lette qui.
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