
Seduta del Parlamento estone.
Il 9 aprile il parlamento estone ha approvato, in via definitiva, i cambiamenti alla legge riguardante le Chiese e le parrocchie. 60 i voti a favore e 13 i contrari. Si completa il percorso legislativo di norme che impediscono di operare sul territorio nazionale a chiese, monasteri e parrocchie i cui organi direttivi siano in uno stato straniero pericoloso per la sicurezza nazionale.
Fuori metafora: la Chiesa ortodossa di obbedienza moscovita o taglia ogni legame canonico con la Chiesa ortodossa russa o esce dalla legalità. Tanto più che, in corrispondenza ai mutamenti approvati nella Costituzione del paese, per la legge non sarà possibile l’esercizio del ministero presbiterale a coloro che non hanno cittadinanza estone (cf. qui).
Il parlamento, dopo aver condannato la guerra di aggressione della Russia all’Ucraina, ha definito nel 2022 il regime russo come un regime terroristico e, nel 2024, ha stigmatizzato il patriarcato di Mosca e il patriarca come istituzioni di supporto all’aggressione militare, corresponsabili delle violenze e pericolose per la sicurezza nazionale dell’Estonia.
Putin non ha nascosto il suo intento di ricondurre i paesi vicini, già appartenenti all’Unione Sovietica, a vassalli del suo potere e il patriarca Cirillo ha detto a chiare lettere che le capitali delle ex repubbliche sovietiche «restano importanti centri spirituali della santa Russia unita». Volontà confermata nell’ormai celebre “mandato” del concilio del popolo russo nel marzo 2024.
Lealtà allo stato
Nel paese sono attive due Chiese ortodosse: quella filo-russa, che è in capo al vescovo Eugenio, allontanato dal paese e residente a Mosca (ancora capo riconosciuto, coadiuvato dall’ausiliare, Daniele), e quella di obbedienza costantinopolitana che fa capo al vescovo Stefano. Insieme rappresentano il 16% dei 1.300.000 abitanti. In un contesto largamente secolarizzato, solo il 30% degli abitanti si considera affiliato a una religione.
La legge non entra in questioni teologiche, dogmatiche, liturgiche o disciplinari. Come ha detto il ministro dell’interno, Lauri Låånemets, è «un’iniziativa necessaria perché la Chiesa ortodossa legata al patriarcato di Mosca è per la Russia e il Cremlino lo strumento più importante per la loro influenza nel paese. Si è visto come Mosca ha utilizzato le organizzazioni religiose per raggiungere i propri obiettivi. Moldavia, Ucraina e altri paesi lo dimostrano. Non c’è alcun dubbio che questo continuerà ad essere perseguito anche in Estonia».
E, tuttavia, il dispositivo di legge incide sul legame canonico con Mosca, attraverso il quale c’è la garanzia del riconoscimento di tutte le Chiese ortodosse. Uscire dall’obbedienza moscovita significherebbe trovarsi in una “terra di nessuno”, a meno di non passare ad altra obbedienza come quella costantinopolitana.
Immediate le reazioni da parte del patriarcato russo che accusa l’ingiustificata discriminazione a danno dei 250.000 fedeli. Falsa risulterebbe l’accusa di minaccia per lo strato e di turbativa dell’ordine costituzionale. La Chiesa ortodossa estone non ha alcuna parte nella lotta politica e nelle relazioni con gli stati. Il santo sinodo di Mosca conferma «il pieno e totale sostegno al metropolita Eugenio, ai vescovi, al clero e ai fedeli».
Gli avvocati difensori dell’istituzione religiosa si sono già rivolti sia alla Corte europea dei diritti dell’uomo, sia alla Commissione americana per la libertà religiosa, lamentando le crescenti difficoltà frapposte al lavoro pastorale e la ferita procurata alla libertà religiosa, in contraddizione con la costituzione laica del paese.
Il monastero femminile
Il consigliere del dipartimento per gli affari religiosi, Ringo Ringvee, spiega il peso della subordinazione amministrativa della Chiesa locale rispetto a quella russa.
Il sinodo moscovita resta il garante dell’unità dottrinale e della comunicazione con le altre Chiese, governa di fatto la Chiesa estone attraverso il controllo dei suoi statuti e della nomina del metropolita locale. Ogni decisione dell’assemblea conciliare estone (vescovi e laici) deve essere approvata dal patriarca.
C’è stata – è vero – una condanna contro la guerra di aggressione, ma nessuna denuncia della crescente giustificazione teologica, nessuna presa di distanza dal consenso patriarcale ed episcopale alle violenze sui civili e agli eccidi, nessuna condanna per il coinvolgimento diretto dei vescovi e dei preti russi nelle forze armate e nei servizi segreti, nessuna distanza rispetto all’ideologia aggressiva del Russkji Mir (il “mondo russo”).
«Per la sicurezza dell’Estonia, gli atteggiamenti e le azioni dei nostri residenti sono particolarmente importanti, soprattutto in una potenziale situazione di crisi. Alcuni individui potrebbero sperimentare un conflitto di lealtà allo stato». Nessuna delle altre confessioni rappresentate nel Consiglio delle Chiese dal paese ha sollevato obiezioni.
Nella tensione fra stato e Chiesa è coinvolto il monastero femminile di Pükhtitsa che ha uno statuto stavropegico, cioè una diretta dipendenza dal patriarca di Mosca.
La comunità si è opposta alla richiesta di rinunciare allo statuto, possibile soltanto per iniziativa autonoma del patriarca.
L’igumena (abbadessa), Filareta Kalacheva, ha scritto al parlamento per protestare contro la chiusura di fatto del monastero prodotta dalla legge. «Siamo costrette a violare lo statuto della Chiesa, veniamo sostanzialmente estromesse dalla legalità e trasformate in emarginate, persone di seconda classe». Lamenta che vengano impediti i lavori dei volontari, che siano bloccati servizi essenziali. Il legame canonico non c’entra con la politica e le posizioni “sociali” del patriarca non sono vincolanti. In suo soccorso si sono espressi tutti i maggiori monasteri russi, alcuni dell’Athos e della Serbia.
Tallin come Kiev
A poco è servita la decisione, pur suggerita dall’amministrazione statale, di cambiare il nome ufficiale della Chiesa. Non più “Chiesa ortodossa estone del patriarcato di Mosca”, ma “Chiesa ortodossa cristiana estone”. Nome che non si sovrappone a quello dell’altra Chiesa ortodossa, “Chiesa ortodossa apostolica estone”.
Questa ultima, attraverso il suo metropolita Stefano, ha rilanciato l’ipotesi di accogliere la Chiesa “filo russa” entro la propria giurisdizione, garantendo l’autonomia piena della gestione sia liturgica che gestionale attraverso la figura giuridica di un vicariato proprio.
Questo permetterebbe ai “filo-russi” di mantenere la propria identità senza perdere il legame di comunione con l’insieme dell’ortodossia, garantito dal patriarcato di Costantinopoli. Del resto, questa era la condizione ecclesiale prima della seconda guerra mondiale, prima che la vittoria militare alleata consentisse alla Russia di occupare i paesi baltici. Ma l’offerta sembra avere scarsa possibilità di accettazione (cf. qui).
È evidente che la strada scelta dal governo ripercorre quella avviata dall’Ucraina e dalla sua legge contro la Chiesa ortodossa non autocefala (“filo-russa”).
È prevedibile che le difficoltà di attuazione siano le stesse e che si rafforzino, anche in Occidente, le perplessità in ordine alla libertà di fede e di appartenenza ecclesiale. Anche se appare chiaro che i due governi non pensano a limitare le libertà di fede quanto piuttosto a smascherare l’ambiguità dell’uso politico della religione alimentata dalla dirigenza del patriarcato di Mosca e a difendersi dalla “guerra ibrida” e informativa di un “impero predatore” ai propri confini.