In fiamme il Corano (e i cristiani)

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Il 21 agosto il presidente turco, R.T. Erdogan, ha avvisato la Svezia che il segnale verde per il suo ingresso nella Nato è legato alla fine dei roghi del Corano. In realtà, la spina più fastidiosa per la Turchia è l’accoglienza nel paese nordico degli oppositori politici, ma il riferimento all’oltraggio del libro sacro è molto utile e funzionale.

Il comizio politico con successivo incendio del Corano si è propagato nei paesi nordici (Svezia, Danimarca e Finlandia) grazie ad alcuni esponenti della destra politica in forte crescita ovunque.

Il nome più noto è quello di Rasmus Paludan, attivo sia in Svezia che in Danimarca. Dopo una condanna per abusi razzisti nel 2022, si erano registrati cortei contrapposti in tutto il paese. A gennaio 2023, aveva bruciato il libro sacro davanti all’ambasciata turca in Svezia e, in aprile, ha girato in alcune città sempre bruciando il Corano. Fermato più volte dalla polizia, si è visto legittimare il gesto dalla Corte suprema svedese che non ha riconosciuto nell’atto blasfemo un reale pericolo per la sicurezza del paese.

Nel frattempo, vengono in evidenza i legami di Paludan con i media russi. V. Putin si affretta a ricordare che in Russia bruciare il Corano è contro la legge.

Invano il segretario generale della Nato, J. Stoltenberg, cerca di smorzare i toni e favorire l’entrata del paese nell’organizzazione di difesa militare.

Gli allegri falò delle destre xenofobe

Le proteste dei paesi islamici si moltiplicano: dal Marocco all’Indonesia, dall’Arabia Saudita agli Emirati Arabi Uniti. L’Iraq reagisce quando un suo profugo, a fine giugno, brucia il testo davanti alla grande moschea di Stoccolma.

Il 30 luglio a Copenaghen (Danimarca) vengono bruciate cinque copie del Corano. Interviene il ministro degli esteri per denunciare l’estremismo e gesti che mettono in questione la sicurezza nazionale. Per il governo «bruciare testi sacri e altri simboli religiosi è un atto vergognoso che manca di rispetto alla religione degli altri. È un atto provocatorio che ferisce molte persone e crea divisioni fra religioni e culture. La Danimarca professa la libertà di religione e molti cittadini danesi sono musulmani, parte preziosa della popolazione». Sotto inchiesta è il gruppo di estrema destra, Danske Patrioter.

In Olanda, comportamenti similari sono addebitati alla destra di Edwin Wagensveld che ha strappato le pagine del libro davanti all’ambasciata turca il 18 agosto. «Distruggere o bruciare un libro è un atto primitivo e patetico» ha commentato il ministro della giustizia.

Che la vicenda possa diventare seria lo ha ricordato a Svezia e Finlandia il portavoce del dipartimento di stato americano, Ned Prince.

Questi cenni di politica internazionale diventano inquietanti nelle comunità cristiane del Medio Oriente e dell’Asia.

Katja Voges, dell’organizzazione cattolica-umanitaria Missio Aachen, denuncia la gravità di gesti superficiali che mettono in seria difficoltà i processi di dialogo fra le religioni nelle aree musulmane, distruggendo la fragile fiducia faticosamente costruita.

E il vicepresidente della stessa organizzazione, Gregor von Fürstenberg, ricorda che comportamenti simili in Occidente vanno denunciati per la manipolazione religiosa che essi mostrano, senza alcun legame reale alla vita delle comunità cristiane occidentali.

Molto severi gli interventi di alcuni gerarchi ortodossi operanti nelle aree del Nord Europa.

Cleopa di Svezia, pur ricordando che questi gesti isolati non devono essere applicati alle popolazioni europee come fanno i fondamentalisti islamici, riconosce la preziosità della difesa e della pratica della libertà religiosa in Europa e denuncia la grossolanità di gesti irrispettosi dei sentimenti religiosi.

Crisostomo di Messinia sottolinea l’obsolescenza del diritto dei paesi occidentali nell’affrontare le questioni religiose e il riapparire di sentimenti e pregiudizi di superiorità razziale rispetto alle minoranze. Tolleranza significa accettazione e rispetto e non indifferenza.

Leone di Finlandia ricorda che «quando il libro sacro di una comunità religiosa viene bruciato, bruciano non solo le pagine, ma anche i simboli. L’atto colpisce il centro dell’identità e della speranza delle persone e vengono distrutte le basi del rispetto e della fiducia reciproci».

L’intollerante legge sulla blasfemia

Il rettore dell’università sciita di Qom ha chiesto a papa Francesco di farsi interprete, in Occidente, dei sentimenti feriti dei popoli islamici. In una lettera all’inizio di agosto papa Francesco ha scritto: «La questione del rogo del Corano è davvero un atto barbaro. Questi casi danneggiano e impediscono un dialogo maturo fra le persone».

Il suo storico documento sulla “fratellanza umana”, firmato assieme all’imam di Al-Azhar (2019), non solo rifiuta la violenza in nome delle fedi, ma esprime l’alleanza delle stesse verso la società mondiale e la “provvidenzialità” della pluralità delle esperienze religiose.

Il francescano pachistano J. Albert ha osservato che le locali comunità cristiane hanno concordemente denunciato il gesto sacrilego avvenuto in Svezia e in altri paesi europei, eppure sono proprio le comunità cristiane pachistane a pagare l’intolleranza islamica locale.

Il 16 agosto nel quartiere di Jasranwala (Faisalabad) sono stati distrutti 21 luoghi di culto cristiano, bruciate le Bibbie, costretti i cristiani alla fuga dalle loro case vandalizzate. Attacchi partiti dalla denuncia avvenuta in una moschea in cui si condannava la supposta blasfemia di due cristiani. La legge anti-blasfemia, approvata negli anni ’80, rappresenta un facile appiglio per ogni tipo di vessazione contro le minoranze non musulmane.

Quando nacque il Pakistan, nel 1947, le minoranze non islamiche rappresentavano il 20%. Oggi non superano il 4%. I cristiani sono l’1,6% dei 230 milioni di abitanti.

L’arcivescovo Travas di Karachi ha scritto: «Noi, come comunità cristiana, abbiamo ripetutamente mostrato la nostra fedeltà alla nazione del Pakistan, ma incidenti come l’incendio di case cristiane a Gojra, Shantinagar, Colony e ora a Jasranwala dimostrano che in realtà siamo considerati cittadini di seconda classe che possono essere spaventati e terrorizzati a piacere».

Il Corano può essere considerato “rivelato”?

Sul versante teologico europeo, la condanna è unanime. Meyhoff Brink denuncia il gesto di bruciare il Corano come un «atto simbolico che mina sé stesso». Si offende l’altro mimando le sue peggiori pratiche. Nella loro storia le Chiese hanno conosciuto i falò dei libri eretici o blasfemi, portandone il peso storico.

Il fanatismo islamico fa oggi lo stesso pretendendo di bruciare i Versetti satanici di Salman Rushdie. In realtà, si oppone ad una civiltà e a uno stile di vita.

Il teologo evangelico Ulrich Körtner ricorda che la libertà religiosa significa anche tollerare la critica su ciò che è sacro, ma tale diritto va ponderato con altri diritti fondamentali come il bene comune e la pacifica convivenza.

Il responsabile delle associazioni islamiche di Zurigo denuncia i roghi e le violenze. «Ci opponiamo a qualsiasi forma di violenza e ci impegniamo per il dialogo interreligioso e il mantenimento della pace sociale».

La posizione più esposta è quella del teologo cattolico Kurt Appel che si chiede se non sia necessario riconoscere al Corano come testo di rivelazione: «Dobbiamo iniziare a chiederci quale significato teologico pertiene all’islam». «Tutto questo conduce alla domanda sul significato del Corano per i cristiani, poiché la rivelazione cristiana è conclusa in Gesù. Penso qui a due dimensioni possibili. In primo luogo, credo che il cristianesimo sia essenzialmente orientato all’alterità; questa rende l’altro che è musulmano (non nel senso di un nemico estraneo) prezioso. In secondo luogo, Dio pone dei limiti a una pretesa cristiana (ma anche musulmana) di totalità».

Un dialogo a questo livello suppone che i sapienti islamici approccino i propri testi col rigore storico-critico e rinuncino all’accusa di falsificazione delle Scritture addebitata agli ebrei e ai cristiani.

E, in secondo luogo, che il confronto avvenga in un contesto democratico e di libertà di ricerca come quello garantito nelle università europee. I problemi rimangono enormi, ma la sfida gioverebbe sia al cristianesimo sia all’islam (cf. SettimanaNews, qui).

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