Greco-cattolici ucraini: denuncia, discernimento e indirizzo

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I due anni di aggressione bellica russa all’Ucraina (24 febbraio 2022) hanno motivato molti commenti politici, ma anche religiosi.

La Chiesa anglicana ha scritto: «La guerra in Ucraina non riguarda solo il futuro dell’integrità territoriale e della sovranità dell’Ucraina, ma l’intero quadro strategico dell’Europa dopo la guerra fredda e, più in generale, la forma futura dell’ordine internazionale liberale basato sui valori che hanno prevalso dal 1945».

La commissione degli episcopati europei (Comece), attraverso le parole del suo presidente, mons. Mariano Crociata, annota: «L’insidia più grave in questa fase, e sempre più pericolosa con il passare del tempo, è l’assuefazione, la stanchezza, l’abitudine a una guerra che molti sperano rimanga circoscritta alle regioni in cui si sta svolgendo nell’illusione di poter continuare a stare tranquilli».

Non è mancata la voce delle Chiese ucraine, divise canonicamente (fra Chiesa autocefala di Epifanio e Chiesa non autocefala di Onufrio) e confessionalmente (fra ortodossi e cattolici).

Il primate Onufrio ha sottolineato, in un’omelia del 24 febbraio, la sorprendente unità del paese nella risposta all’invasione militare russa, lamentando tuttavia la politica ecclesiastica del governo che, da un anno, penalizza la presenza della sua Chiesa.

Epifanio, da parte sua, non si esprime con le parole, ma decide, assieme al suo sinodo, di eliminare dal santorale una delle figure più care al patriarca russo e cioè Alessandro di Novgorod (Nevsky).

Il testo più riflettuto e argomentato è la lettera pastorale della Chiesa greco-cattolica che, con i suoi 4 milioni di fedeli e l’inattaccabile coerenza durante le persecuzioni sovietiche, rappresenta spesso la voce cristiana più affidabile.

Lettera pastorale sulla guerra e la pace giusta nel contesto delle nuove ideologie: questo è il titolo. L’esergo contiene la citazione di Geremia «Liberate gli oppressi dalle mani dell’oppressore» (23,3). Dopo due anni di guerra, anzi dieci dall’occupazione della Crimea e del Donbass (2014), vi è la necessità della perseveranza nella lotta, mentre il sostegno internazionale, pur presente, manca «di comprensione della profondità e della gravità degli eventi (con una) speranza di facile soluzione del conflitto».

L’argomentazione si sviluppa in sette parti, 67 punti e una ventina di pagine.

Le parti: Cause e fonti dell’attuale guerra della Russia contro l’Ucraina; Dal “mondo russo” al “razzismo”, il percorso di degrado dello stato aggressore; Resistenza non violenta; Guerra difensiva e legittima difesa; Neutralità in tempo di guerra; Obiettivo di una difesa legittima e di una pace giusta; Conclusioni.

Illusioni totalitarie

L’aggressione russa è erede dei regimi totalitari del secolo scorso, della tirannia con il suo disprezzo per la libertà. Regimi rafforzati dalla capacità tecnica di controllare il comportamento sociale, dando all’individuo l’illusione di uno spazio di libertà in realtà condizionato dalla lealtà verso il potere.

La Germania di Hitler fu sconfitta e il popolo tedesco ha riconquistato la democrazia. Non così la Russia. Ci sono voluti 40 anni di guerra fredda per il collasso del regime di Mosca.

L’Ucraina, indipendente dal 1991, si avvale di alcune forze positive per la sua identità nazionale. Fra queste la Chiesa greco-cattolica che, assieme ad altri, sviluppa la società civile che diventa evidente nella “rivoluzione arancione” del 2004 e nella “rivoluzione della dignità” nel 2014.

L’errore dell’Occidente è stato quello di non perseguire da subito la “de-comunistizzazione” del sistema orientale scommettendo sulla naturale forza dell’economia di mercato e ignorando i veleni anti-libertari che utilizzavano i risultati economici e scientifici per costruire un nuovo conflitto. «Non solo il totalitarismo sovietico ha evitato la sua Norimberga, ma la comunità internazionale non ha sviluppato i meccanismi per identificare rapidamente la minaccia e rispondere a una possibile ripetizione della tragedia del XX secolo».

Le metamorfosi del male

Nella sua nuova veste, la tirannia russa poteva dismettere le forme più gravi della brutalità e, soprattutto, fare progressivamente a meno dell’ideologia dei testi “sacri” a favore di un nichilismo il cui obiettivo è la corruzione, la disumanizzazione, la cecità morale.

A questo punto, ciò che conta è la forza, il culto del leader, il militarismo, al fine di implementare la superiorità della nazione. Il suo esito è una coscienza castale condivisa. La parola appropriata è “razzismo”.

Privo di riferimenti dottrinali, il nuovo potere totalitario può usare a suo vantaggio la tecnologia. La rivoluzione digitale e la “post-verità” gli permettono di assumere una forma ibrida e post-moderna.

Ma la sua radice profonda è ancorata all’eredità colonizzatrice della Russia, dell’impero russo. Il suo corollario è la «completa distruzione dello stato ucraino e dell’identità ucraina in quanto tale».

Gli appelli al compromesso che talora emergono nella comunità internazionale mostrano una scarsa comprensione dei fatti e diventano irrealistici, se non immorali.

Una dottrina pseudo-cristiana

Un militarismo imperiale cieco ha trovato la sua “visione” grazie alla Chiesa ortodossa russa che, attraverso la concezione del “mondo russo” (Russkij Mir), ha coltivato una vera ideologia genocida delle altre identità. Frutto velenoso della dirigenza ortodossa, l’ideologia del “mondo russo” ha minato in profondità la credibilità del cristianesimo.

Ora molti lo capiscono, ma ci è voluta l’aggressione militare per avvertire la pretesa di un’aggressione bellica ingiustificabile colorarsi di messianismo. Non a caso, 350 teologi ortodossi l’hanno denunciata come priva di ogni giustificazione, un nuovo cesaropapismo. «Alla fine, questa dottrina pseudo-cristiana si è degradata in una completa ideologia del razzismo, con il suo culto del leader e dei morti, un passato mitizzato, il corporativismo tipico del fascismo, la censura totale, le teorie del complotto, la propaganda centralizzata e una guerra mirata alla distruzione di un’altra nazione». Dopo la “santa Russia” e la “terza Roma”, siamo alla “guerra metafisica”.

Ne fa le spese anche il dialogo ecumenico costretto a diventare “dialogo a tutti i costi”, piuttosto che “dialogo nella verità”. Esito coerente di un relativismo etico che non distingue più la verità dalla menzogna.

Non violenza

Esiste nella storia della Chiesa una corrente di resistenza non violenta che accetta di morire piuttosto che ricorrere alla violenza. Nella tradizione ucraina è il caso dei principi Boris e Gleb.

Nel XX secolo, davanti allo spettro della guerra nucleare, sono riapparsi movimenti pacifisti che si àncorano alla benevola lucidità dei testi del concilio Vaticano II e dello stesso Catechismo della Chiesa cattolica. «Questa tradizione di resistenza non violenta è diventata una parte importante dell’esperienza spirituale dell’umanità, ma non può essere considerata l’unica radicata in una giustificazione evangelica». La Scrittura e la tradizione non aboliscono il dovere dello stato di proteggere la vita e la libertà dei propri cittadini. C’è un uso legittimo della forza, che è altra cosa dalla violenza cieca e ingiustificata. Persino il richiamo al perdono può diventare ambiguo quando significa sottomettersi al male.

Senza verità, il pacifismo ideologico è acconsentire al male. «L’aggressore, infatti, giunge alla conclusione che la sua violenza diventa un diritto» e la legge del più forte sostituisce il diritto internazionale. Esattamente quello che è successo alla vigilia della seconda guerra mondiale.

Nel 1994 l’Ucraina ha accettato nel memorandum di Budapest di rinunciare alle armi nucleari in base alle garanzie assicurate da Stati Uniti e Gran Bretagna. Se oggi si accetta che quel gesto di responsabilità e di fiducia non venga onorato, si giustifica che l’accedere al nucleare sia l’unica garanzia di sicurezza degli stati. E si ignora il grido delle vittime innocenti di massacri indiscriminati operati dai russi sui territori ucraini.

Uccidere il tiranno

L’opporsi all’aggressione armata è parte della dottrina ecclesiale della guerra giusta. Per difendere il prossimo e la propria sopravvivenza, è necessario opporsi all’aggressione armata.

Nella coscienza dei popoli, all’indomani della seconda guerra mondiale, ogni aggressione all’integrità territoriale e all’indipendenza politica di uno stato è considerata illegale e immorale. Anche Giovanni XXIII, i testi conciliari e il Catechismo della Chiesa cattolica, pur con molte cautele, legittimano la difesa armata contro l’aggressore ingiusto.

Papa Francesco ammonisce a non interpretare con troppa larghezza la legittimità della difesa e «indica forse la necessità di sviluppare criteri ancora più chiari e precisi per una difesa legittima che impediscano all’aggressore di fingersi vittima».

La neutralità può essere scelta per evitare l’aggravamento del conflitto, ma essa presenta anche ambiguità insidiose. Può diventare il tradimento dei propri valori e principi, la negazione della necessaria solidarietà alla famiglia delle nazioni. Insomma, trasformarsi in un sostegno passivo all’ingiustizia del crimine. «L’aggressione all’Ucraina non è una lotta per un territorio conteso: è un attacco al diritto internazionale e un crimine contro la pace».

Non si può trattare in maniera simmetrica aggressore e aggredito. Qui si apre il delicato rapporto fra Chiesa greco-cattolica e diplomazia vaticana. Nei confronti del Vaticano, il testo parla di neutralità positiva che non si limita ad osservare, ma cerca di facilitare il dialogo fra le parti in conflitto. Vi è quindi una neutralità negativa e una positiva. Ma i vescovi specificano ulteriormente fra neutralità morale e neutralità diplomatica.

La Santa Sede, oltre a facilitare i dialoghi, non confonde aggressore e aggredito, non si limita a una diplomazia formale, ma alimenta la diplomazia morale e i suoi principi inalienabili. Il vescovo di Roma coniuga il linguaggio della fede riconoscendo il male dove si nasconde, ma non rinuncia alle parole di verità della denuncia.

Madre, maestra e profetessa

La difesa legittima è in vista di una pace giusta. È giusta quella pace che è conforme al diritto e alle leggi, ma che punta alla misericordia e alla riconciliazione. Ha poco a che fare con la proposta variamente suggerita di una “pace minima”: abbandonare i territori conquistati dai russi e metterci una pietra sopra. Pace giusta vuol dire ripristino del diritto internazionale, integrità territoriale, condanna dei responsabili dei crimini di guerra, oltre a sanare le ferite del conflitto in vista di rinnovati rapporti con la Russia. L’ottica per una pace giusta è quella che parte dalle vittime.

La Chiesa, madre e maestra, è anche luogo della profezia a conforto degli aggrediti, sottoposti a prove durissime. I cristiani nel mondo devono rendersi conto che è in gioco non uno scontro territoriale, ma i fondamenti della civiltà.

I nuovi mezzi informativi vanno utilizzati per impedire il relativismo morale di quanti si rifiutano di vedere le atrocità commesse dai russi, ostaggi della “post-verità”. «“Non permettere che il forte distrugga l’uomo” è l’appello della Chiesa di Kiev alla coscienza del cristiano per lo sviluppo ulteriore dell’insegnamento sociale della Chiesa». Senza la pace di Dio e il vincolo della morale del decalogo, lo sviluppo dell’attuale guerra d’aggressione con il ricorso alle armi nucleari potrebbe essere la tomba dell’umana convivenza.

Nuove domande

Il testo dei vescovi conosce vertici di grande intensità quando riconosce la radice castale e razziale del rapporto dell’ideologia russa nei confronti del popolo ucraino, considerato indegno di una propria identità e materiale amorfo da sfruttare per il rinnovato impero di Mosca.

Così quando denuncia l’incapacità dell’Occidente di vedere gli elementi di pericolo per l’equilibrio mondiale via via cresciuti nei decenni della politica del Cremlino. Un’ottusità legata all’abbassamento della tensione morale e a un crescente relativismo etico.

Particolarmente puntuta la denuncia del compromesso della Chiesa russa. Prigioniera dell’etnofiletismo, del costringere il Vangelo in una gabbia etnica e in un progetto politico, la Chiesa di Mosca mette a rischio la credibilità dell’intero cristianesimo.

Di grande finezza la difesa del ruolo del papato e dell’azione della Santa Sede in un contesto locale tentato dalla ribellione e dalla denuncia a causa di supposte ambiguità della posizione di Francesco.

Vi sono anche domande che rimangono aperte. La legittima denuncia della Russia può ignorare la faglia che storicamente segna il territorio ucraino e la sua funzione di legame-scontro con la civiltà slava? È saggio non distinguere l’attuale dirigenza della Chiesa russa rispetto alla sua secolare testimonianza di martirio, di spiritualità e di riflessione teologica? Come non avvertire, nel testo, l’assenza del complesso difficile dei rapporti fra confessioni cristiane e all’interno delle stesse (lo scisma intra-ortodosso)? Non come semplice narrazione dei fatti, ma come capacità di progetto per il futuro?

Il ridisegno degli equilibri mondiali ha protagonisti (Cina, India, Brasile ecc.) che denunciano insufficienze non più tollerabili degli equilibri attuali. La moltiplicazione delle domante attesta, tuttavia, la profondità della riflessione e della testimonianza dei vescovi della Chiesa greco-cattolica.

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2 Commenti

  1. GIOVANNI LUPINO 12 marzo 2024
  2. Gian Piero 12 marzo 2024

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