Congo: i vescovi e la resilienza

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I vescovi della provincia ecclesiastica di Bukavu si sono riuniti in assemblea ordinaria dall’8 al 14 aprile 2024 a Butembo. Questa Provincia ecclesiastica nell’est della Repubblica Democratica del Congo è composta da sei diocesi: Bukavu, Goma, Butembo-Beni, Uvira, Kasongo e Kindu.

Durante l’assemblea i pastori di queste Chiese locali hanno discusso della vita delle rispettive comunità cristiane e della situazione socio-politica ed economica della regione.

Anche se la vicinanza geografica ha fatto la sua parte, gli stessi dolori e le stesse gioie, le stesse paure e le stesse speranze erano presenti e risuonavano nei cuori di questi pastori, perché in effetti, come ci ha ricordato il Concilio Vaticano II, tutto ciò che è umano trova un’eco nella Chiesa.

Tra rovi e spine…

Questa è la situazione in cui si trovano le popolazioni della parte orientale della Repubblica Democratica del Congo. Una metafora che esprime con precisione il soffocamento e la sofferenza patita da migliaia di uomini e donne in questa parte del Paese.

Nel loro messaggio finale i vescovi hanno offerto un quadro di questa situazione: «L’insicurezza è in aumento, con la sua scia di uccisioni anche in pieno giorno nelle città; massacri e rapimenti di cittadini; paralisi dell’economia attraverso una strategia di isolamento e soffocamento di grandi aree urbane; l’attivismo di gruppi armati locali e stranieri (M23, Adf-Nalu, gruppi di autodifesa Maïmaï e altri); vessazioni di ogni tipo nelle zone in cui sono attive le bande armate, anche orchestrate dalle forze armate della Repubblica». Tutto ciò evidenzia la debolezza dello Stato e l’abbandono del popolo congolese al suo triste destino.

Milioni di persone sono state costrette a lasciare le loro case nel Nord Kivu a causa delle attività del Movimento 23 marzo (M23), una forza sostenuta dal Ruanda e dai ribelli ugandesi dell’ADF-NALU. Migliaia di persone vivono nella precarietà e nell’indegnità, senza sapere cosa fare. La mancanza di volontà da parte dei politici e della comunità internazionale è motivo di disperazione. Il contesto è di fatto una strada verso il fatalismo.

Contro il fatalismo

Parlando delle radici del problema congolese, i vescovi fanno eco a ciò che alcuni pensano: «È perché lo Stato congolese è morto e noi, i governati, siamo stati abbandonati al nostro triste destino e non vediamo alcun segno che i governanti di oggi pensino al benessere dei governati nel prossimo futuro. Quindi, nulla può cambiare se noi, governati, non facciamo pressione sul nostro destino e non prendiamo in mano la nostra sorte, diventando soggetti e attori della nostra storia».

È vero che il contesto è così complesso che è difficile immaginare una via d’uscita. Tuttavia, è nel cuore di questo abisso che i vescovi lanciano un messaggio di speranza. Sono i portabandiera di una fiamma che non deve mai spegnersi. E così, dal profondo del loro cuore, fanno riecheggiare le parole del salmista, facendole diventare il titolo del loro messaggio finale: «No, non morirò, ma vivrò» (Sal 118,17).

È tutto lì. Dice tutto. Questa è la resilienza, la forza della fede, una fede che persevera, una fede che, anche se non capisce tutto, sa che Dio è capace di trasformare la situazione.

E soprattutto una fede che si impegna e sa dire «no»; rifiuta tutto ciò che disumanizza e opprime l’umanità. Il simbolo di questa resistenza è il carismatico arcivescovo di Bukavu, Emmanuel Kataliko, morto a Roma il 4 agosto 2000. Il suo testamento al popolo congolese è stato quello di rifiutare di morire e di lasciarsi inghiottire. E questo è ciò che i vescovi della provincia ecclesiastica di Bukavu hanno voluto ricordare.


Les Pères Évêques : au cœur de la résilience

Les Évêques de la Province Ecclésiastique de Bukavu ont été réunis en session ordinaire du 08 au 14 avril 2024 à Butembo. Il sied de noter que cette Province Ecclésiastique située à l’Est de la République Démocratique du Congo compte six diocèses entre autres : Bukavu, Goma, Butembo-Beni, Uvira, Kasongo et Kindu. Ce sont donc les pasteurs de ces Églises locales qui, au cours de cette session, ont échangé sur le vie de leurs Églises respectives et la situation sociopolitique et économique de la région. La proximité géographique jouant sa partition, ce sont les mêmes peines et joies, les mêmes craintes et espérances qui étaient au rendez-vous et ont fait écho dans le cœur de ces pasteurs puisqu’en fait, comme le rappelait le Concile Vatican II, tout ce qui est humain trouve écho dans l’Eglise.

Entre ronces et épines…

C’est bel et bien la situation que traversent les populations de l’Est de la République Démocratique du Congo. Une métaphore certes ! Mais elle exprime avec exactitude l’étouffement et la souffrance qu’endurent des milliers d’hommes et de femmes dans cette partie du pays. Les Évêques, dans leur message final, ont pris le temps de peindre cette situation : “l’insécurité est devenue grandissante avec son cortège des tueries même en pleine journée dans les villes et agglomérations ; les massacres et enlèvements des citoyens ; la paralysie de l’économie par une stratégie d’isolement et d’asphyxie de grandes agglomérations urbaines ; l’activisme des groupes armés locaux et étrangers ( M23, Adf-Nalu, groupes d’autodéfense Maïmaï et autres) ; la tracasserie de toute sorte dans les zones où sévissent les forces négatives et même orchestrée par les forces armées de la République, etc. Tout ceci dit la faiblesse de l’État et l’abandon du peuple congolais à son triste sort.

En effet, des personnes se comptant par millions ont été obligées à quitter leurs maisons dans le Nord-Kivu à cause de l’activisme du Mouvement du 23 Mars (M23), une force soutenue par le Rwanda et des rebelles ougandais de l’ADF-NALU. Ces milliers de personnes vivent dans la précarité et l’indignité ne sachant à quel saint se vouer. Tout porte à désespérer tellement on ne voit aucune volonté ni dans le chef des politiques ni du côté de la communauté internationale. Le contexte est en fait un couloir ouvert vers la fatalité.

Contre le fatalisme

Parlant des racines du mal congolais, les Pères Évêques font juste écho de ce que d’aucuns pensent : ” C’est parce que l’Etat congolais est mort et que nous, gouvernés avons été abandonnés à notre triste sort et ne voyons aucun indice que les gouvernants d’aujourd’hui songent au bien-être des gouvernés dans un avenir proche. Rien ne peut donc changer si nous, gouvernés, ne pressions pas notre destin pour nous prendre en charge, en devenant sujets et acteurs de notre propre histoire”. En effet, il est vrai que le contexte est tellement complexe que l’on a de la peine à imaginer une voie de sortie. Toutefois, c’est au cœur de ce gouffre que les Évêques lancent un message d’espérance. Ils se montrent ainsi les porte-étendards de cette flamme qui ne doit jamais s’éteindre. De ce fait, du fond de leur cœur, ils font leurs ces paroles du psalmiste en en faisant le titre de leur message final : “Non, je ne mourrai pas mais je vivrai” (Ps. 118,17)

Tout y est. Tout est donc dit. C’est cela la résilience, la force de la foi, une foi qui persévère, une foi qui, même si elle ne comprend pas assez, sait que Dieu est capable de transformer la situation ; et surtout, une foi qui engage et qui sait dire “non”; elle refuse tout ce qui déshumanise et qui opprime l’humanité. Et le symbole d’une telle résistance est bien entendu le charismatique archevêque de Bukavu, Emmanuel Kataliko, décédé à Rome le 04 août 2000. Le refus de mourir et de se laisser avaler : Tel est son testament au peuple congolais. Et c’est tout ce que les Pères Évêques de la Province Ecclésiastique de Bukavu ont voulu rappeler.

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