Iraq: il destino dei cristiani caldei

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Il patriarca siro cattolico Ignatius Youssef III Younan, si è recato in visita ufficiale a Baghdad, la stessa città dalla quale è sceso recentemente in esilio il patriarca caldeo Louis Sako, a Baghdad residente come da millenaria tradizionale, dopo che il capo dello Stato, Abdul Latif Rashid, ha abrogato il decreto presidenziale che riconosce al patriarca caldeo, quale capo della Chiesa, anche la gestione del relativo patrimonio immobiliare.

Come reso noto anche su queste pagine (qui), a seguito di articoli intimidatori apparsi sulla stampa, il patriarca Sako ha abbandonato la sua città di elezione e attualmente risiede nel Kurdistan iracheno.

Nel mentre il patriarca siro ha incontrato il presidente Rashid, senza sollevare il problema della posizione di Sako, né, tanto meno, della discussione in atto nel Parlamento iracheno circa l’introduzione della pena di morte per pratiche ritenute omosessuali.

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La questione posta dalla decisione unilaterale presa dal Presidente iracheno è di semplice lettura: in occasione  delle elezioni politiche, il partito armato denominato Babylonia – formazione filo iraniana guidata dal caldeo Rayan al Kaldani accusato di crimini di guerra e immortalato mentre mozza l’orecchio di un prigioniero ammanettato dagli uomini della sua milizia – è riuscito a conquistare ben 9 dei 10 seggi parlamentari che spettano alla minoranza caldea, anche in virtù del sistema elettorale che riserva, sì, seggi alla minoranza, ma consente a tutti gli elettori della circoscrizione di opzionarla. La popolazione controllata dalle milizie sciite, alleate di Kaldani, ha aiutato gli uomini di Babylonia ad emergere.

Kaldani con la sua milizia aveva già messo gli occhi e le mani sulle proprietà caldee nella valle di Ninive lasciate dagli abitanti durante la guerra, occupandone molte e devastandone altre. Ora, per Babylonia, la gestione di quel patrimonio immobiliare spetta al partito “caldeo”, non più al suo patriarca.

Per gli osservatori – critici di Kaldani e dei suoi – questo fatto si inserisce nel quadro della politica di occupazione di tutto il Levante da parte dell’Iran che, dopo aver vinto militarmente le guerre in Iraq e Siria, ora punta ad assumere il controllo di beni – specie di case – per installarvi popolazioni fedeli, cioè arabi sciiti controllati da milizie alleate: così modificando stabilmente la realtà demografica.

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La sfida a Sako, dunque, è da interpretarsi quale sfida alla sopravvivenza della Chiesa caldea, una comunità capace di far ritornare, col tempo, i suoi membri fuggiti dalla guerra, con una politica di amicizia, non di odio nei confronti delle altre comunità.

Che il punto sia proprio questo, emerge chiaramente anche dal colloquio che il patriarca Ignatius ha avuto col presidente del Consiglio Giuridico Supremo – giudice Faiq Zidane – che ha tenuto a far sapere di voler difendere i diritti e le proprietà dei cristiani in Iraq: non si capisce perché abbia voluto dirlo – posto che è cosa ovvia – se ciò non fosse effettivamente in discussione.

I riti religiosi officiati dal patriarca siro in importanti luoghi cattolici di Baghdad lo hanno posto a contatto con molti esponenti provenienti dalla tormentata, attigua, piana di Ninive, tra i quali proprio Rayan al Kaldani: con Rayan il patriarca siro si sarebbe personalmente intrattenuto, stando a quanto affermato da alcune fonti locali, benché non se ne trovi notizia nei comunicati ufficiali del patriarcato.

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Tali ricostruzioni riducono la speranza che la visita fosse finalizzata a sostenere, sebbene con discrezione, la posizione del patriarca Sako e alimentano il sospetto che si sia trattato proprio di un intento contrario, ossia della legittimazione ecclesiale delle posizioni assunte dal Presidente Rashid e dal miliziano-parlamentare al Kaldani.

Da tempo, nel mondo cattolico mediorientale, è diffusa, in evidente contrasto col magistero di Francesco – piuttosto della linea della Fratelli tutti ossia della comune appartenenza paritaria dei cittadini di ogni religione negli Stati – la cosiddetta alleanza delle minoranze, cioè l’alleanza dei cristiani (minoranza) con gli sciiti (minoranza dentro l’islam), avverso la maggioranza sunnita che, secondo queste minoranze, sarebbe, in quanto tale, vocata al governo univoco e totalitario.

L’alleanza delle minoranze non sembra, tuttavia, tenere in debita considerazione l’evidenza della scelta iraniana di rendere gli sciiti ovunque maggioranza, sia in Libano che in Siria come in Iraq, appunto: cosa che, in vari punti del Medio Oriente, è già realtà.

Così, quelle separazioni che dovrebbero salvare – secondo chi le sta perorando – finiranno per radicalizzare divisioni e conflitti, sino al sangue, trasformando la tolleranza della cultura popolare islamica tradizionale del Medioriente con cui sta bene la Fratellanza cristiana predicata da Francesco. Tra parti cristiane e parti sciite si sta costruendo una alleanza già superata dai fatti, oltre che dalla storia.

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Un commento

  1. Adelmo Li Cauzi 1 settembre 2023

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