La politica estera di Lula

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Poiché gran parte della sinistra latino-americana ed europea è miope nella sua interpretazione della congiuntura internazionale, il presidente del Brasile non è solo nella rinnovata parodia stalinista della politica estera brasiliana.

Non sappiamo bene perché, ma il nostro sguardo è stato chiamato a rivisitare il Patto Ribbentrop-Molotov del 23 agosto 1939, perché, forse, questo evento nasconde analogie con l’attuale progetto lulista. Ha a che fare con la decisione stalinista di approfittare dell’espansionismo di Hitler per ridefinire i suoi confini imperiali. Ha a che fare, come esempio scandalosamente chiaro, con l’opportunismo che nega, in nome del realismo politico più cinico e traditore, ogni minimo rispetto per la vita e la dignità dei popoli.

Usiamo il termine “analogia” per fare il confronto tra due epoche incomparabili, ma è evidente che è lo stile politico di Lula che ci provoca e ci infastidisce. Temiamo che siano in gioco letture insufficienti delle sfide della situazione attuale e un certo relativismo etico, che non sarebbe attribuibile solo alla persona del presidente, ma all’intero team consultivo e ad ampli settori delle università obbedienti, che lo sostengono e lo ispirano.

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Lula, di fronte all’aggressione dell’imperialismo russo contro l’Ucraina, ripete la vecchia opposizione radicale all’imperialismo statunitense. Cerca di mascherare questa scelta travestendola con un apparente equilibrio pacifista e con l’artificiosa narrazione simbolica della sua presunta affinità di fedele cattolico con le iniziative di negoziazione di pace di Papa Francesco.

Assomiglia, al contrario, alla rievocazione farsesca – mera coazione a ripetere banalità datate – del bipolarismo della Guerra Fredda, che, per gli pseudo-sinistri, non sembra essersi effettivamente conclusa con il crollo del regime sovietico nel 1991.

Ovviamente, qualsiasi serio militante di sinistra non può essere complice dell’imperialismo statunitense e dell’alleanza militare della NATO, ma con la stessa serietà critica non può arrivare a pensare che l’imperialismo panrusso possa essere l’alternativa all’egemonia statunitense. E sarebbe anche una grave illusione sostenere che l’imperialismo cinese, certamente minore, ma non meno influente, sia più giusto ed appetibile.

Infatti, la politica rigida e la domanda non negoziabile per il rimborso dei prestiti cinesi, che coinvolge decine di paesi, dai più poveri a quelli un tempo ricchi e stabili, dallo Sri Lanka all’Argentina, supera di gran lunga il bilancio e la politica di noti nemici del terzo mondo come la Banca Mondiale e il FMI.

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Un’altra illusione è la convinzione, condivisa da molti analisti, che l’egemonia statunitense e il potere del dollaro nel mercato mondiale sarebbero in declino o addirittura in una crisi terminale.

L’illusione è anche la convinzione che, scambiando la moneta egemonica, contribuiremmo alla decadenza e alla fine del potere economico-militare degli Stati Uniti. Tutte le banche centrali di quasi tutti i paesi del mondo mantengono riserve in dollari, perché obbligate da Washington? La dollarizzazione dell’economia argentina è colpa del FMI?

L’attuale sfida a schierarsi, in questo groviglio di confusioni e alienazioni ideologiche, parte dall’urgenza di smascherare l’antiamericanismo di sedicenti settori della sinistra usato come alibi etico-politico per rafforzare l’alleanza con regimi liberticidi come quelli di Russia, Cina, Iran, Arabia Saudita. A questo si aggiunge la perplessità dei silenzi e delle esitazioni di Lula riguardo ai regimi dittatoriali del Venezuela e del Nicaragua.

Accettare l’affermazione che la storia non è il risultato della lotta tra il bene e il male, ma, al contrario, è sempre – e solo – il successo dei contesti, degli interessi e dei conflitti nazionali e personali significa dimenticare che, nella modernità, la sinistra mondiale ha sempre voluto distinguersi per la ricerca della verità, della giustizia, del bene comune. Così sta cinicamente tradendo l’ispirazione etica e liberatoria di coloro che volevano e vogliono ancora trasformare la società. Per diventare schiavi dei cinismi dialettici hegeliani e marxisti, dove sarebbero l’astuzia della ragione o il progresso delle forze produttive a governare la storia.

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Insomma, la questione politica fondamentale non riposerebbe, a nostro avviso, nell’ambiente del mercato e delle transazioni finanziarie internazionali, ma in decisioni politiche insostenibili, perché si basano sul tradimento programmatico della riflessione sui valori che hanno ispirato e potrebbero ancora ispirare: pratiche di giustizia, libertà, fraternità e rivoluzione dei rapporti tra l’umanità e la Vita della Terra.

Le derive di destra del Lulismo sono collocate in questo campo, in cui, deliberatamente, si sceglie di mettere nel dimenticatoio la crisi civilizzatoria dell’occidente e l’attuale crisi climatica. Valga come esempio la possibilità riconosciuta da Lula di estrazione di idrocarburi alla foce del Rio delle Amazzoni e l’acquiescenza alla progressiva devastazione della savana brasiliana da parte dell’allevamento del bestiame e dell’agrobusiness.

Questo governo continua il ruolo del Brasile come esportatore di prodotti primari dall’agricoltura e dell’estrazione mineraria, senza affrontare la riduzione di vasti territori del paese a “zone di sacrificio”.  In questo senso, anche la mancanza di sensibilità riservata al capo indigeno Raoni esemplifica come, ancora una volta, i simbolismi dell’insediamento di Lula e le narrazioni ambientaliste siano contraddette dalle politiche di questo governo.

In nome del primato del mercato e con una fede incrollabile nello sviluppismo, ogni preoccupazione etica e ogni residua fedeltà all’impegno politico per la giustizia e la democrazia vengono lucidamente tradite.

L’alleanza con la Russia è ciò che più incide e preoccupa, perché anche la semplice indulgenza verso il regime putinista sostiene il progetto di governo mondiale più letale che sia emerso negli ultimi anni per l’umanità. Abbiamo a che fare con un nuovo fascismo internazionalista, in cui i misticismi nazionalisti si sostengono con l’alleanza di fondamentalismi religiosi totalitari e violenti.

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Chiudere gli occhi di fronte alla rinnovata teologia della storia panrussa, in cui impero e religione, Cremlino e Terza Roma, si alleano per fare la guerra, significa essere ciechi di fronte a fenomeni analoghi presenti in tutti i paesi del mondo. Significa rivelare che non capiamo nulla del neofascismo e del neonazismo brasiliano, del bolsonarismo e del trumpismo. E che abbiamo dimenticato la disgrazia del colonialismo, la Shoah e le dittature economico-militari che hanno insanguinato l’Abya Ayala.

  • Claudio Bombieri è missionario comboniano, agente pastorale presso il popolo indigeno Guajajara, Maranhão, Brasile; Flavio Lazzarin è prete della diocesi di Coroatá, MA, Brasile, agente della CPT (Commissione Pastorale della Terra).
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2 Commenti

  1. Elio 2 ottobre 2023
  2. Francesco Biasin 25 settembre 2023

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