
Sono due le imputazioni sui rischi della libertà religiosa in Ucraina. La prima, molto discussa e largamente nota, è relativa alla legge sulle religioni, approvata dal parlamento che pretende dalla Chiesa ortodossa canonicamente legata a Mosca di sciogliere i suoi rapporti, acquisire una indipendenza formale e di fatto, e di non “coprire” ecclesiastici e laici collaborazionisti con il potere russo e l’esercito invasore.
La seconda, molto meno nota, avviene nei territori ucraini occupati dai russi (Crimea e Donbass) da cui filtrano notizie di violenze, torture e vessazioni, regolarmente smentite non solo dal potere russo, ma anche dalla Chiesa russa a cui tutte le altre confessioni e religioni sono chiamate ad assimilarsi e accodarsi.
Le violenze russe nei territori occupati
Non casuale la denuncia dell’arcivescovo maggiore degli ucraini, responsabile della Chiesa greco-cattolica, Sviatoslav Shevchuk, che in una intervista a La Repubblica (15 maggio) dice: «Laddove arriverà l’occupazione russa la nostra Chiesa sarà distrutta. Su questo non c’è alcun dubbio».
E ricorda l’affermazione di Timothy Snyder, grande esperto della Shoah, che, dopo avere esaminato le linee guida dell’esercito russo invasore, le ha definite «un manifesto di genocidio, perché c’è scritto che l’Ucraina non esiste e chi si dice ucraino lo fa per ragioni ideologiche per cui va rieducato. E se non si piega va eliminato».
In una intervista a Il Foglio sottolineava: «in un mondo in cui il concetto di diritto e di giustizia viene sostituito dagli interessi individuali o di gruppi criminali, a perdere non è solo l’Ucraina, ma l’intero Occidente».
In uno studio apparso su Novaya Gazeta Evropa si denuncia la scomparsa nei territori occupati di centinaia di comunità religiose, ridotte da 1.967 a 902. Le chiese e i siti religiosi distrutti o gravemente danneggiati sono 326. Violando le leggi internazionali, in alcuni edifici religiosi i russi hanno collocato istallazioni militari. In particolare nell’area di Kherson sono state duramente colpite 38 parrocchie (su 193) che facevano riferimento alla Chiesa filo-russa del metropolita Onufrio e 18 (su 35) che dipendevano dal metropolita autocefalo Epifanio. Anche il 40% delle comunità cattoliche è stato colpito (cf. qui).
Vessazioni, torture e scomparse
Serhii Shumylo, direttore dell’Istituto internazionale dell’Eredità athonita, esperto dell’Istituto per la libertà religiosa e professore all’università di Exter (Regno Unito) in una relazione che ha tenuto il 30 aprile ad Exter, ha elencato molte violazioni alla libertà religiosa nei territori occupati dai russi.
Sono illegalmente tenute in carcere 30 personalità religiose. 67 sono state uccise (fra queste 18 appartenenti alla Chiesa non autocefala, 8 alla Chiesa autocefala, 12 ai battisti, 8 alle Chiese pentecostali, 2 alle comunità avventiste). È stato torturato a morte il prete “autocefalo” Stepan Podolchak. Mentre il pope Serhii Chudynevych è stato rapito ed è scomparso. Ha testimoniato delle torture il prete Oleg Nikolayev. Altri sono stati deportati. Di molti sacerdoti “autocefali” non si sa più nulla.
Il pope Konstantin Maksimov è stato condannato perché si è rifiutato di aggregare la propria parrocchia alla Chiesa russa. Due sacerdoti greco-cattolici sono stati rilasciati dopo mesi di prigione. 14 testimoni di Geova sono in carcere. «Nei territori occupati le autorità russe perseguitano sistematicamente tutte le organizzazioni religiose non legate al patriarcato di Mosca». Della 45 parrocchie della Chiesa autocefala in Crimea ne è rimasta una. Una cattolica è sopravvissuta alla chiusura delle altre 48. Una anche la parrocchia di cattolici di rito latino, rispetto alle 15 precedenti.
Le comunità sottratte alle Chiese ucraine sono state obbligate a passare al patriarcato di Mosca: sono 1600 e 23 monasteri. Battisti e musulmani sono presi di mira in modo particolare. I primi perché rifiutano di registrasi, i secondi perché sospettati di infedeltà al regime. Per l’Ong Memorial i musulmani in carcere sono 352. Le irruzioni dell’esercito e le violenze nei luoghi di culto sono frequenti.
Le chiese e le comunità che non appartengono al patriarcato russo non hanno il permesso di celebrare, sono stati loro confiscati i documenti di proprietà e non possono agire come persone giuridiche. Il personale religioso è facilmente accusato di terrorismo e collaborazionismo e i familiari sono soggetti a molti ricatti. Nelle prigioni sono sottoposti a torture. Molti sono obbligati alla fuga. Si impedisce alle comunità di celebrare in lingua ucraina.
La repressione interna
La repressione è forte anche all’interno della Russia. Al pope Nikolai Savtchenko è bastata una foto di undici anni fa con in mano una bandierina dell’Ucraina per essere arrestato e rimanere in carcere 14 giorni.
L’esule e stimato sacerdote Alexei Uminski ricorda che «il numero dei prigionieri politici è enorme. Molti vengono incarcerati semplicemente per essersi espressi contro la guerra». Anche se sono frequentanti ortodossi: «la Chiesa li ha dimenticati, prendendo distanza da loro perché condannati per la loro posizione contro la guerra».
I preti avendo famiglia sono particolarmente esposti. Il vescovo può facilmente rimuoverli dal ruolo e non sono possibili ricorsi legali. Anche in Bielorussia i tempi si sono fatti minacciosi per i credenti.
Il prete cattolico Andrzej Juchniewicz, parroco e presidente della conferenza dei superiori maggiori, è stato condannato a 13 anni di carcere per aver pubblicato una foto con la bandiera della Bielorussia indipendente. È stato prima accusato di sabotaggio e poi di crimini contro l’integrità sessuale, palesemente inventati. Le udienze sono state fatte a porte chiuse e neppure il vescovo ha potuto partecipare. È il secondo caso. Nel dicembre scorso un altro prete è stato condannato a 11 anni di carcere in una colonia penale di massima sicurezza.
Improbabili difensori della fede
La lettura da parte russa è opposta. Governo e Chiesa accusano l’Occidente di cecità, di immoralità, di demonismo, come fosse del tutto incapace di riconoscere la verità dei fatti. A questo si sono riferite le personalità raccolte dal ministro degli esteri a Mosca per i tradizionali auguri di Pasqua il 20 maggio.
Sergej Viktorovič Lavrov ha accusato l’Ucraina di distruggere tutto ciò che è legato alla Russia: lingua, cultura, tradizioni, media e chiesa. «Voglio assicurare tutti i presenti che la Russia non abbandonerà gli ortodossi ucraini nella disgrazia e otterrà che i loro diritti legittimi siano rispettati e anche che l’Ortodossia canonica ritrovi un posto centrale nella vita spirituale del popolo sulle terre ucraine».
Nella stessa occasione il patriarca di Mosca Cirillo ha denunciato la legge che chiede alla Chiesa non-autocefala un totale distacco da Mosca. «Le autorità prevedono anzitutto di privare le comunità dei loro centri amministrativi, poi di liquidarle sequestrando le loro chiese e forzandole allo scisma». Accusa il governo di sovvenzionare viaggi, interviste e media che in Occidente giustificano la legge.
E poi allarga la denuncia all’Estonia, alla Lituania, alla Lettonia e alla Moldavia. In Estonia è in discussione una legge del tutto simile a quella ucraina (cf. qui). Anche se rimandata al parlamento dal presidente della repubblica, Alar Karis, non muterà il suo indirizzo e il suo fine.
Per Cirillo un processo similare è attivo in Lituania (cf. qui) e in Lettonia (cf. qui). Nuova, da parte sua, è la denuncia verso la Moldavia dove il governo favorirebbe il deflusso delle comunità ortodosse verso la Chiesa rumena e la metropolia della Bessarabia (cf. qui).
Un bollettino di guerra reso tollerabile solo dalla buone relazioni con le altre Chiese (cattolica e Chiese orientali), ignorando la dura censura del Consiglio ecumenico delle Chiese (CEC), della Conferenza delle Chiese europee (KEK) e del Dicastero cattolico per l’ecumenismo.
Cirillo-Putin: amorosi sensi
Ormai la posizione della dirigenza ortodossa russa (altra cosa rispetto al popolo credente) si identifica con quella del governo e il patriarca Cirillo usa parole enfatiche per Putin e i suoi collaboratori.
In occasione di una celebrazione nella nuova chiesa delle forze armate afferma (6 maggio): «Oggi, in questa maestosa cattedrale militare, ricordiamo il passato, ringraziamo Dio per il presente e, naturalmente, lo lodiamo per tutti i grandi cambiamenti che hanno avuto luogo nel nostro paese: per la nostra vita sociale, politica, economica, culturale e imprenditoriale. Tutto può svilupparsi e si sviluppa ora, perché viviamo in condizioni di vera libertà». Congratulandosi con il presidente di cui loda la volontà, il coraggio, la determinazione, la responsabilità e l’amore per la patria, attesta che la Chiesa «gode di tutti i diritti e le libertà (e) ha la possibilità di svolgere liberamente la sua missione».
Qualche giorno prima (27 aprile) diceva: «Oggi dobbiamo ringraziare il Signore per la nostra patria, per il nostro presidente ortodosso, Vladimir Vladimirovich Putin, per le autorità, che sono per la maggior parte ortodosse o musulmane, ma comunque persone religiose. Siamo veramente entrati in una nuova fase del nostro sviluppo storico». Putin benevolmente risponde (21 maggio) «Conosco la posizione di sua santità il patriarca, egli è uno dei primi difensori della fede ortodossa della patria, del nostro popolo. Perciò il suo atteggiamento è di grande importanza e si trasmette non solo al clero, ma a tutto il popolo».
Coesistenza per le Chiese ortodosse ucraine
Frattempo in Ucraina la guerra continua a macinare vittime e a condizionare la vita, anche quella spirituale e delle Chiese (cf. qui). La tensione che divide le due Chiese ortodosse (autocefala di Epifanio e non-autocefala di Onufrio) è stata affrontata in termini di sviluppo positivo da Serge Bortnyk (Chiesa non autocefala).
Il sito Orthodoxie.com la riprende (15 maggio). I dati statistici del centro di ricerca Razumkov registrano nell’ottobre 2024 un calo complessivo delle credenze e dell’ortodossia in particolare suggerendo che la tensione fra le Chiese allontana i fedeli. Rapportando i dati fra 2022 e 2024 quanti si considerano ortodossi calano dal 62,7% al 54,4.
Quanti non si ritrovano in alcuna confessione religiosa passano dell’11,7% al 18,4. La Chiesa autocefala di Epifanio nello stesso arco di tempo passa dal 36,4% al 42,2% (nel 2023) per poi scendere al 35,2% nel 2024. La Chiesa non autocefala di Onufrio, storicamente e canonicamente legata a Mosca, passa dal 6.4% al 5,5. a testimonianza che la compagna di aggressione reciproca non giova, non cambia le forze. Se ne vanno i non praticanti.
La Chiesa greco-cattolica è in crescita ma il quadro complessivo non muta. Il suggerimento di Bortnyk è di invertire la tensione finora coltivata. Non si otterrà mai l’azzeramento del competitore. Si può arrivare ad una compresenza delle due giurisdizioni ortodosse se lo stato e il governo rimangono nei propri limiti di competenza censurando non l’intera Chiesa “filo-russa” ma i singoli “collaborazionisti”.
La Chiesa autocefala dovrebbe essere consapevole che la sua forza è il legame con Costantinopoli e la Chiesa di Onufrio dovrebbe lavorare per il suo riconoscimento nell’insieme dell’Ortodossia senza più dipendere in questo dalla mediazione russa.
Netto distacco da Mosca
Qualcosa sta cambiando sia nell’avvicinamento fra Chiesa autocefala e Chiesa greco-cattolica, ma anche all’interno della Chiesa non autocefala. Intervenendo ad un convegno della propria accademia teologica (Kiev, 20 maggio) il metropolita Onufrio ha difeso le scelte del concilio di tre anni fa che segnava un netto distacco dalla Chiesa di Mosca.
«Purtroppo con l’invasione russa in Ucraina il patriarca Cirillo di Mosca si è totalmente affiancato alla direzione politica russa giustificando sistematicamente l’aggressione militare». Il concilio si è pronunciato per una separazione completa, «una dissociazione senza equivoci dal patriarcato di Mosca. Tutti i legami fra la Chiesa ortodossa ucraina e quella russa non costituiscono più un riferimento per l’attività della nostra Chiesa.
Il primate della nostra Chiesa è eletto dal nostro episcopato senza bisogno di ricevere la benedizione patriarcale. Il metropolita di Kiev ha cessato di essere membro della Chiesa ortodossa russa. Il nome del patriarca di Mosca non è più ricordato negli uffici liturgici delle chiese e dei monasteri della Chiesa ortodossa ucraina. Il concilio ha condannato senza equivoci l’aggressione militare russa contro l’Ucraina e ha espresso il suo disaccordo con la posizione del patriarca Cirillo in ordine alla guerra.
Il concilio ha anche annunciato di restaurare nella Chiesa ortodossa ucraina il rito della benedizione del santo crisma. Inoltre i delegati del concilio si sono pronunciati a favore dello sviluppo delle missioni della nostra Chiesa all’estero fra i rifugiati […] Dopo il 27 maggio 2022 non facciamo più parte del patriarcato di Mosca. Il concilio ha chiaramente espresso l’aspirazione ad una indipendenza canonica completa».
Nella stessa occasione il teologo Vladimir Viktorovitch Bourega ha ricordato che dal ‘900 in poi la nazionalità è diventata criterio importante dell’autocefalia. Inoltre il controllo politico dello stato autoritario russo sulla Chiesa russa «costituisce una minaccia diretta sia per l’ordine canonico che per la libertà della Chiesa ortodossa in Ucraina».
«La giustificazione teologica del militarismo russo è in contraddizione diretta con la morale evangelica. Proprio per questo il patriarca Cirillo perde la sua legittimità in quanto pastore». La radicale sostituzione e assimilazione del clero e dei vescovi nelle aree occupate illustra con chiarezza l’intento della direzione del patriarcato russo e ha un suono premonitore per Onufrio, i gerarchi e i preti della sua Chiesa.





