
Millesettecento anni fa, a Nicea, città ben protetta, ben collegata e vicina alla residenza imperiale, appartenente all’antica provincia della Bitinia, ebbe luogo un evento che avrebbe segnato la storia: l’omonimo concilio, primo della serie dei concili ecumenici della Chiesa. Più di duecento Padri, provenienti per la più parte da Oriente, risposero alla convocazione dell’imperatore Costantino, convenendo a discutere un nodo teologico centrale per la fede cristiana: la natura di Gesù Cristo e il suo rapporto con il Padre.
A questo capitolo di estrema importanza per l’esperienza cristiana è dedicato il volume di Alberto Peratoner, professore di filosofia presso la sede padovana della Facoltà Teologica del Triveneto e presso il Seminario Patriarcale di Venezia. In cinque capitoli, l’autore presenta «una riflessione sull’inesauribile ricchezza di questo densissimo ed epocale “nodo” della vita della Chiesa antica, attraverso diversi tagli prospettici che cerchino, per quanto possibile in uno spazio di sviluppo contenuto, di mettere in risalto i molteplici piani e le sfumature, ancora feconde di motivi e ragioni di attualità» (p. 3).
La lettura del testo chiarisce l’identità dei «tagli prospettici» in questione: storico, canonistico, teologico, filosofico, liturgico e artistico. Si tratta di ambiti che Peratoner dimostra di saper gestire con finezza e competenza – e lo conferma il fatto che l’autore ha pubblicazioni di pregio in diversi di questi campi –, pur non rinunciando alla centralità dell’interesse filosofico in nome di un disgregante eclettismo.
Sguardo storico e canonistico
La prospettiva canonistica e storica trova certamente spazio nel primo capitolo, dedicato ai sinodi e ai concili nella Chiesa antica, il quale offre un’utile disamina sulle affinità e differenze tra sinodi, concili e concili ecumenici, alla luce del Codice di Diritto Canonico attualmente in vigore e considerandone lo sviluppo storico pre e post niceno.
In un simile contesto, l’autore si preoccupa di precisare il significato della sinodalità, termine molto presente nel discorso ecclesiale contemporaneo, che va inteso quale «dimensione del vivere la comunione del Corpo mistico di Cristo, in sé incommensurabile rispetto a qualsiasi altra esperienza umana» (p. 9), evitando di concepirlo come «una forma di parlamentarismo deliberativo per criteri di maggioranza, semplicemente trasferito dall’ambito della vita civile e politica a quella ecclesiale» (ibid.).
La riflessione intorno al significato di «concilio ecumenico» diventa, nel secondo capitolo, un’analisi a tutto tondo di quello che è stato, a tutti gli effetti, il primo evento di questo genere: il Concilio di Nicea.
In questa parte dell’opera, Peratoner ripercorre brevemente «i fatti che danno forma al quadro storico-geografico e geopolitico del tempo e determinano l’evoluzione delle circostanze che pongono le condizioni per la celebrazione del primo grande Concilio» (p. 28).
La disamina storica così annunciata trova espressione in cinque sintetici paragrafi, che – in maniera molto ordinata – affrontano il quadro storico-politico dell’Impero Romano del III e IV secolo, espongono con linguaggio accessibile a un lettore non specialista i termini dei dibattiti cristologici del tempo, ricostruiscono la storia della città di Nicea, per concludere soffermandosi su convocazione, partecipanti e svolgimento del Concilio.
Sguardo filosofico
Pur nell’indubbio pregio dei capitoli precedenti, è nel terzo che l’opera di Peratoner mostra la propria originalità. In questo contesto, infatti, l’autore impiega le risorse offerte dal proprio sguardo filosofico, rileggendo speculativamente alcuni passaggi del frutto più importante dell’assise conciliare: quel Credo niceno-costantinopolitano, che da Nicea e dal successivo Concilio di Costantinopoli (381) prende appunto il nome.
Gli interventi di natura filosofica non pregiudicano l’accessibilità del testo al lettore non specialista – anzi, costituiscono un ottimo esempio di riuscita divulgazione di contenuti teoretici – e si concentrano in special modo su tre tematiche: il rapporto ragione-fede, l’onnipotenza divina e la consustanzialità di Cristo al Padre. Di queste, Peratoner esplicita anzitutto la cornice storica, che funge, al contempo, da orizzonte della loro comprensione, osservando che «la Chiesa dei primi secoli si trovò nella necessità di conciliare il puro e inflessibile monoteismo ebraico, di cui raccoglieva tutta l’eredità volendo porsi in piena continuità con la Rivelazione veterotestamentaria, con la comprensione di Gesù quale Verbo incarnato, Figlio di Dio e Persona di natura divina» (p. 79).
Emerge come primo dato importante che le dispute teologiche e cristologiche che caratterizzano la riflessione di quei secoli non sono un elemento accessorio all’esperienza di fede della Chiesa del tempo, bensì appartengono all’elaborazione della sua stessa identità, in continuità e differenza con la storia d’Israele.
Venendo alle tematiche già menzionate, l’autore affronta dapprima la questione del rapporto ragione-fede, che egli considera nella sua «amplificazione articolata» (p. 83) quale rapporto tra filosofia e teologia.
Il merito di Peratoner, al riguardo, è di condurre la riflessione su un piano originario, intendendo quest’ultimo aggettivo sia nella sua accezione storica, sia in quella più propriamente antropologico-teologica. Filosofia e teologia, quindi, si richiamano originariamente da un punto di vista storico: lo dimostrano i frequenti appelli «alla logicità e razionalità del discorso» presenti nel corpus del Nuovo Testamento «senza per questo dover considerare naturalmente i Vangeli e gli scritti neotestamentari testi filosofici in senso stretto» (p. 81).
Nondimeno, questa originarietà storica del rapporto è specchio di un’originarietà anche antropologico-teologica: il richiamo alla logicità, che permea finanche gli scritti entrati nel canone, si giustifica infatti sulla base della consapevolezza che la comunicazione che Dio, rivelandosi, fa di Sé è diretta a un interlocutore alla cui costituzione appartiene il lògos e che alle leggi del lògos è chiamato a rispondere anche nel credere.
Ciò significa, ad esempio, che non può essere oggetto di fede quanto è contraddittorio, dal momento che il principio di non contraddizione è una delle leggi del pensiero poc’anzi menzionate. Questa tesi consente a Peratoner di dare una risposta alla vexata quaestio della cosiddetta ellenizzazione del Cristianesimo e al corrispondente progetto di “deellenizzazione” che anima il dibattito teologico da qualche decennio: la riflessione cristiana non ha privilegiato in maniera indebita una particolare forma di sapere, la filosofia greca, da cui si tratta ora di liberarsi in nome di una giusta vocazione universale del credere; al contrario, proprio per essere autenticamente universale, il Cristianesimo deve continuare a confrontarsi con la filosofia greca, dal momento che essa costituisce una «raffinata codificazione» dell’«esigenza profonda e universale dell’umano» (p. 82).
In altri termini, «l’interazione – e l’integrazione – del pensiero filosofico con la fede cristiana non riguarda un sapere tecnico […] partorito da una tradizione culturale definita […] e perciò circoscritta e non universale. Riguarda, anzi, l’istanza della razionalità propria all’umano di ogni tempo e di ogni luogo, e, come tale, veramente universale, nella sua ineludibile esigenza elementare di consequenzialità e incontraddittorietà del discorso che segna l’intelligenza di ogni uomo in ogni cultura» (pp. 81-82).
Onnipotenza divina e consustanzialità
Alla luce di queste prime note, è possibile apprezzare anche le altre due tematiche citate.
Gli strumenti offerti dalla filosofia greca aiutano in primo luogo a chiarire il senso primario dell’onnipotenza che si predica di Dio, da intendersi come dominio-reggenza universale. Il termine greco pantokràtor (“che tutto domina con forza”), piuttosto che la sua traduzione latina omnipotens, permette di svelare in tutta la sua profondità l’autentico messaggio che il nostro Credo proclama alle sue prime battute: si tratta di riconoscere primariamente l’azione creatrice e provvidente di Dio, che consiste nella «produzione e sostegno nell’essere, causazione e governo insieme della realtà finita nella sua complessità, unitaria e plurale al tempo stesso», piuttosto che «la capacità di Dio di operare qualsiasi cosa, qualsiasi prodigio» (p. 74).
Al centro vi è, quindi, il rapporto di «dipendenza ontologica» dell’essere del mondo dall’Essere di Dio «che lo ha posto, creandolo, cioè facendolo essere, e lo tiene nell’essere grazie alla sua somma potenza» (ibid.).
La terza e ultima tematica concerne l’aggettivo “consustanziale” (homooùsios) che il Credo riferisce al Figlio in relazione al Padre. È forse questo il punto più delicato del testo di Peratoner. Difatti, una prospettiva con preoccupazioni deellenizzanti potrebbe riconoscere l’utilità, nel dibattito di allora, della categoria evocata, denunciandone l’inadeguatezza nel contemporaneo.
Una simile difficoltà è legata a una parte del composto homooùsios, cioè la seconda, che riporta alla categoria di “sostanza”: si parlerebbe di Dio attraverso un concetto altamente compromesso dal punto di vista speculativo, che – quando non è apertamente rifiutato – verrebbe riferito, nella sua realizzazione principale, a ciò che è inerte.
L’indagine sulla consustanzialità consente invece all’autore di rendere giustizia alla complessità del pensiero aristotelico, quale luogo teorico privilegiato di teorizzazione sulla sostanza, lasciandone intravvedere la congenialità con i contenuti di fede che aiuta ad approfondire.
Attraverso puntuali riferimenti alla Metafisica dello Stagirita, Peratoner evidenzia come l’impiego della categoria di sostanza è ben lungi dal costringere la Realtà Divina in uno schema reificante o dal pensarla sulla base di un concetto indefinito e inafferrabile. In linea con Aristotele, egli mostra che parlare di sostanza significa riprendere due «aspetti complementari» (p. 87), connessi a quella che il Filosofo greco considerava la realizzazione e il significato fondamentale dell’essere: l’ente che esiste di per sé.
Tali aspetti complementari si compendiano nei due termini hypokeìmenon e ousìa, che, di una realtà che esiste di per sé, indicano, rispettivamente, la natura di sostrato – cioè di «centro di inerenza» (p. 85) – delle sue caratteristiche accidentali, e quella di «nucleo essenziale e identitario» (ibid.).
Pur nella complementarità di questi aspetti, Peratoner nota che Aristotele, nella Metafisica, preferisce riferirsi alla sostanza nei termini di ousìa: tale preferenza è illuminante, qualora si sia chiamati a pensare Dio secondo le categorie aristoteliche, dal momento che Egli è «una sostanza che è ben sostanza, se con questo intendiamo l’identità essenziale (ousìa) di quella realtà. L’essere, Dio, semplicemente e assolutamente Dio» (p. 88).
Non è affatto un caso che la consustanzialità elaborata a Nicea chiami in causa la sostanza come ousìa – il Cristo è infatti detto essere homo-oùsios – e non la sostanza come sostrato, ben comprendendo i Padri niceni che «in Lui [Dio] la sostanza non è sostrato di niente […] non essendovi alcuna accidentalità, alcun “accadere” di qualcosa che dapprima non sia e poi vi compaia» (ibid.), pena l’esposizione dell’Immutabile Creatore al divenire.
Teologia e concettualità filosofica
Il rigore dell’analisi filosofica, come già anticipato, nulla toglie alle finalità divulgative del testo; anzi, permette ai lettori di cogliere, con il necessario sforzo inevitabilmente connesso alla materia, l’autentico significato di alcuni termini filosofici impiegati nella lex orandi e nella lex credendi, sempre passibili di fraintendimento, anche quando esposti da autorevoli teologi.
Al contempo, la grande attenzione alle complesse dinamiche del dibattito consente di mostrare come anche la concettualità filosofica più assodata sia entrata a illuminare il depositum fidei in maniera tutt’altro che facile e monolitica – peraltro lo stesso termine homooùsios, osserva Peratoner, avendo ascendenze gnostiche (fu infatti usato per la prima volta da Basilide) fu oggetto di precisazioni, rifiuti e tentativi di modifica, finanche dopo lo stesso Concilio di Nicea.
Fra i diversi spunti che si possono trarre da quell’evento di cui celebriamo il millesettecentesimo anniversario vi è un’indicazione di metodo circa la concettualità filosofica utilizzata nella (o accanto alla) riflessione teologica.
Da un lato, Nicea (e il dopo Nicea) sembra insegnare che è possibile attingere anche a categorie che, in prima istanza, possono apparire lontane o fuorvianti, a condizione che non vengano accettate in maniera acritica, ma che conoscano il travaglio di quel percorso che porti a valorizzarne gli elementi di verità. In questo senso, un simile spunto rafforza la tendenza al confronto, onesto, meditato e rigoroso, con le correnti del pensiero contemporaneo.
Dall’altro, Nicea (e il dopo Nicea) ci invita a riconoscere il lavoro intellettuale svolto in quel tempo: infatti, apprezzarne la serietà usandola a modello in vista di quanto si deve ancora pensare deve al contempo implicare l’apprezzamento di quanto è stato allora pensato. In concreto, ciò deve tradursi in una parallela spinta all’approfondimento, altrettanto serio, onesto e meditato, delle categorie fatte proprie dal pensiero cristiano lungo la sua storia.
Alberto Peratoner, Della stessa sostanza del Padre. Il Concilio di Nicea e il nostro Credo, Il Pozzo di Giacobbe, Trapani 2025, pp. 156, € 18,00. Damiano Simoncelli è docente di filosofia nei Licei, cultore della materia presso la cattedra di Filosofia morale del Dipartimento di Filosofia dell’Università “Ca’ Foscari” di Venezia, docente invitato di materie filosofiche presso la Facoltà Teologica dell’Italia Settentrionale/Sezione del Seminario arcivescovile di Genova.






Ma a Nicea conoscevano 1 Corinti 8:.6?. Paolo apstolo dice che c’è un solo Dio, il Padre
Paolo aveva letto bene il Vangelo di Giovanni e ha tratto le giuste conclusioni.
Nicea e e resta una pietra miliare nella storia del cristianesimo e nella fede cristiana. Ogni tentativo di ritocchi potrebbe riportarvi all’ inizio delle dispute inutili e dannose.