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Nell’ambito del Servizio nazionale per la tutela dei minori (SNTM) della Conferenza episcopale italiana è uscito, alla fine di aprile, un sussidio dal titolo: L’abuso spirituale. Elementi di riconoscimento e di contesto (pubblicato sul sito della CEI). Il testo si affianca a numerosi altri sussidi e iniziative che i vescovi hanno dedicato al problema.
Oltre alle linee guida, formulate nel 2014 e riprese nel 2019 e 2023, vanno registrati i due rapporti sugli abusi – peraltro criticati per alcuni aspetti –, le numerose iniziative che riguardano i seminari, le scuole, le parrocchie e gli educatori, oltre alle attività in merito delle singole 226 diocesi. Si può aggiungere la “giornata nazionale” dedicata alle vittime e tutte le attività collaterali come nel caso della vita religiosa maschile e femminile.
La riflessione proposta nei sussidi e nelle indicazioni del Servizio nazionale è spesso più coerente e coraggiosa delle prassi concrete che si registrano sul campo.
Violata la dignità, libertà e integrità
Nel caso del testo in esame, frutto di un gruppo di studio che ha coinvolto una ventina di persone per più anni, si indica l’abuso di coscienza come l’attività manipolatoria con cui una persona entra nella sfera della coscienza altrui fino a condizionare e annullare la libertà di giudizio e di scelta.
«L’abuso spirituale è una particolare forma di abuso di coscienza che si concretizza nella violazione della dignità, libertà e integrità della persona nella sua autodeterminazione religiosa e spirituale. Tale abuso è il più invasivo dell’intimità della persona, perché si attua in riferimento alla relazione con Dio, con la vita di fede e spirituale, attraverso un esercizio distorto del potere e dell’autorità personale, religiosa e istituzionale».
«L’abuso spirituale si caratterizza come una sequenza di atti intenzionali e manipolatori perpetrati in nome di Dio e si configura come una forma di violenza intrapresa da un leader spirituale o da più persone (guide spirituali, confessori, catechisti, educatori, operatori pastorali…) o da una comunità (movimento, associazione…) sia verso un individuo sia verso un gruppo o un’intera comunità».
Si fa notare che, nel contesto ecclesiale, l’abuso ha sempre un carattere spirituale e si specifica nel ricatto emotivo, nello sfruttamento e nel controllo della libertà individuale o collettiva. Spesso si ammanta di visioni teologiche non pertinenti o di interpretazioni fondamentaliste della Scrittura. Ne deriva una dimensione distorta dell’autorità che colpisce in particolare le persone desiderose di crescere nella vita spirituale. Sono più esposti quanti sono colpiti da lutti, da abbandoni, da fallimenti o da malattie.
Le ferite provocate dall’abuso spirituale sono molto profonde e si manifestano nel crollo dell’autostima, nella dipendenza, nel disorientamento, in un senso di paura, di colpa e di confusione sulla propria identità.
Particolarmente devastante la rottura dei rapporti familiari, del gruppo di riferimento e l’interruzione del percorso formativo. Fenomeni che avvelenano l’immagine di Dio, mettono in questione l’appartenenza alla Chiesa e talora provocano l’abbandono della fede.
L’abusante
L’abusante è spesso una figura carismatica che crea attorno a sé gruppi esclusivi con un elevato tasso critico rispetto all’istituzione ecclesiale. Il carismatico annulla progressivamente lo spazio vitale della libertà interiore dei membri, diventa autorità indiscussa circa l’appartenenza, crea un proprio linguaggio e impedisce una formazione esterna al gruppo. Tendenzialmente si sostituisce a Dio.
Tutto questo ha bisogno di un contesto in cui svilupparsi di tipo comunitario, sociale e istituzionale: un “contesto sistemico”. «Il concetto di “sistema” inteso in senso ecclesiale comprende la missione, le norme e le strutture necessarie per realizzare il mandato originario della Chiesa e per garantire la sua continuità. Tutti gli elementi del sistema, se utilizzati in maniera distorta, contribuiscono direttamente o indirettamente a permettere, favorire e coprire abusi al loro interno».
Succede di sostituire l’obbedienza a Dio con quella al superiore e di ritenere più importante l’immagine dell’autorità e della Chiesa rispetto alle ferite delle vittime. «Lo sguardo sistemico è quindi essenziale per cogliere le responsabilità del singolo, della comunità e della Chiesa stessa. Chi abusa riesce a commettere il crimine e a rimanere spesso impunito quando il sistema opera in maniera distorta, offrendo una copertura all’interno della quale l’abusante opera indisturbato grazie alla complicità di superiori ecclesiastici (vescovi, membri della curia, superiori/superiore, responsabili, persone socialmente ed economicamente influenti)».
Si arriva a sacralizzare il leader, accettando acriticamente le sue decisioni, il suo invito alla riservatezza, la rottura delle relazioni con i fuoriusciti. Si costruisce una coesione fittizia e condivisa che impedisce la critica interna e il riconoscimento degli errori, inducendo molti che, pur sapendo, non osano parlare. Si crea una cultura del silenzio e della negazione.
Il da farsi
Nel contesto degli abusi è utile richiamare le ombre strutturali che ancora permangono nel contesto ecclesiale. Ne ha parlato in un intervento ai gruppi di lavoro per la protezione dei minori in Polonia il segretario della Pontificia commissione per la tutela dei minori, p. Luis Manuel Alì Herrera (13 maggio 2025).
Ha invitato ad approfondire il lavoro sulle barriere culturali, sul fatto che le vittime non siano ancora al centro dell’attenzione. Ha denunciato la persistenza di un tabù secolare che identifica l’autorità spirituale come una diretta emanazione di Dio con il conseguente silenzio davanti ai delitti. Si registra anche una certa lentezza nei processi, archivi opachi e comunicazione vaghe. Non è ancora chiaro come definire l’adulto vulnerabile, per esempio nel caso di giovani in formazione. Ci sono, infine, carenze operative che condannano gli uffici per la tutela dei minori a rimanere solo sulla carta senza possibilità di investimenti e competenze necessari.
La progressiva crescita della coscienza ecclesiale in merito agli abusi ha ancora molta strada da compiere.
Un plauso a questo articolo, che mette in luce aspetti importanti pubblicizzando un documento che nessuno altrimenti noterebbe. Cito dal documento della CEI: ” Occorre notare che, più un sistema è chiuso e si regge sull’accentramento di ogni tipo di potere, più ci si trova di fronte a un contesto ad alto rischio di abuso”. Ora quello che resta da fare, visto che la presenza di cause strutturali è perfino messa nero su bianco dalla CEI, è scrivere un altro documento, con i correttivi concreti da apportare per rimuovere queste cause strutturali. Il documento costituisce un primo positivo passo avanti. Bisogna però arrivare a scrivere che le modalità di governo assolute devono cambiare. Recentemente alcuni in alto hanno ribadito che il vescovo decide. Finché sarà così e non ci sarà accountability e decisione condivise la chiesa resterà un luogo non sicuro. Il Vescovo faccia l’omelia, quella non gliela scrive nessuno, ma l’amministrazione economica e dei beni della diocesi, la gestione e la selezione dei sacerdoti e le scelte pastorali devono essere condivisi. e posti sotto revisione. Le curie devono diventare organismi totalmente trasparenti.
Io penso che il primo abuso, radice di tutti gli altri, sia la concezione gerarchica e di genere della chiesa, l’aver diviso il popolo di Dio in ordinati e laici, e l’aver riservato l’ordine ai maschi. Se non si scardina questo presupposto, la chiesa non uscirà mai dall’abuso sistemico di potere e spirituale.
Manca ancora un tassello: configurare l’abuso di potere! Spero comunque che quanto qui evidenziato venga poi messo in opera anche dal punto di vista canonico