Diario di guerra /47. Khamenei e le crociate

di:
Ali Khamenei

West Asia News Agency via Reuters

Mi domando se stia per aprirsi un nuovo confronto tra Verità e Misericordia. Provo a spiegarmi.

La guida suprema della rivoluzione iraniana, l’ayatollah Ali Khamenei, ha commentato a caldo l’operazione militare lanciata contro Israele dal suo Paese, con queste parole: «Libereremo Gerusalemme, che sarà governata dai musulmani». Mi colpisce.

Khamenei intende proporsi come leader di un fronte pan islamico che gli porti le simpatie di tutti quei cittadini arabi e musulmani che sono esasperati dai tremendi accadimenti di Gaza?

Il suo discorso è, chiaramente, oppositivo: da una parte il bene – il suo – dall’altra il male assoluto. Quindi: più il male si rivela tale, meglio è, per lui. Se, altrimenti, nella fattispecie, si convenisse sulla costituzione di uno Stato palestinese accanto a quello di Israele – come proposto dai regimi arabi moderati e da molti altri – il suo schema andrebbe in crisi. Lui lo sa e fa di tutto per impedirlo, da anni.

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Mi chiedo quale discorso possa renderci più comprensibile il progetto di Khamenei. Mi viene in mente quanto disse papa Urbano II, il papa che indisse la prima crociata, al Concilio di Clermont nel 1095. Prima del famoso «Dio lo vuole!», forse neppure suo, ma piuttosto dell’aula, Urbano II spese, davanti ai padri conciliari, parole chiare, comprensibili anche da chi, come me, non pensa che Dio abbia mai voluto le guerre:

«Questa terra che voi abitate, serrata d’ogni parte dal mare o da gioghi montani, è fatta angusta dalla vostra moltitudine, né è esuberante di ricchezza e appena somministra di che vivere a chi la coltiva. Perciò vi offendete e vi osteggiate a vicenda, vi fate guerra e tanto spesso vi uccidete tra voi. Cessino dunque i vostri odi intestini, tacciano le contese, si plachino le guerre e si acquieti ogni dissenso ed ogni inimicizia. Prendete la via del santo Sepolcro, strappate quella terra a quella gente scellerata e sottomettetela a voi».

La differenza tra Urbano II e Khamenei mi sembra enorme. Urbano II parlò con grande franchezza e trasparenza, quella che manca del tutto in Khameney. La franchezza di Urbano però forse aiuta a cogliere quanto Khameney tace: il legame tra religione e politica.

Il disegno di Khamenei è silenziare l’enorme dissenso interno all’Iran, consolidare la presa sulle terre arabe che ha contribuito a devastare- basti vedere come sono ridotti i territori in cui è giunto, dall’Iraq, al Libano, allo Siria, allo Yemen – forse peggiore del sacco di Costantinopoli che i crociati realizzarono due secoli dopo Urbano II. Ma così come è stato difficile giustificare il sacco di Costantinopoli con l’idea di guerra santa contro gli infedeli, così è difficile spiegare la devastazione khomeinista delle terre arabe.

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L’obiettivo appare evidente: nascondere le intenzioni di espansione conquistando le emozioni di un mondo esasperato, soprattutto dalla guerra di Gaza, col suo peso di orrore quotidiano. Khamenei pensa di assorbire le emozioni nella sua guerra, finalizzata ad estendere la sua leadership nel mondo islamico.

I musulmani che vivono nei Paesi arabi sanno bene di essere impoveriti e divisi, in terre sovente desertiche e arretrate, le cui ricchezze sono sequestrate da poche famiglie reali di cleptocrati. A loro Khamenei vorrebbe vendere l’illusione di riprendersi quelle ricchezze che i satrapi tengono per sé. (Anche l’Iran ha costruito ricchezze enormi espropriando le ricchezze del popolo iraniano in favore dei membri del regime. Ma questo Khamenei, ovviamente, non lo dice).

Qui si insinua la propaganda – più che la volontà divina – che copre il desiderio di potere e di conquista. Così i giordani – pure in maggioranza musulmani – avendo abbattuto alcuni missili iraniani, sono definiti traditori, difensori di Israele che bombarda Gaza. Chi gli aveva chiesto il consenso a usare il loro spazio aereo per una così importante azione militare?

Le emozioni contano ovunque e le opinioni pubbliche, pur non volendo la guerra, avranno un’idea sullo strazio degli aiuti umanitari negati alla popolazione di Gaza e dall’assenza di una prospettiva di pace. È un fatto, anche dovuto alle scelte dell’Iran e di Hamas. Ma questo Khamenei non lo dice.

Il risultato politico che Khamenei si prefigge è cancellare il soggetto palestinese – ed ogni altro soggetto – e presentare un bivio: o con lui o contro di lui. Il suo disegno pan islamico prevede i fedelissimi, Hezbollah e le milizie sciite irachene, gli amici affini, cioè gli Houti yemeniti, Assad coi sodali e poi gli alleati di Hamas. C’è un’alternativa alla crociata islamica? Io dico che la crociata non c’è, ma occorre comunque un’alternativa.

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Quando, pochi giorni fa, Israele ha sconfitto l’aggressione iraniana, non solo con la sua stessa forza, ma anche col sostegno delle grandi potenze occidentali e l’aiuto di importanti attori arabi, Khamenei si è visto il tradimento da parte di questi ultimi.

Proprio questa azione andrebbe ora trasformata in un’alleanza fondata sulla creazione di uno Stato palestinese accanto ad Israele, come proposto proprio dagli arabi accusati di tradimento. Questa è la grande occasione storica che Khameney ha sempre avversato.

Questa strada mi sembra quella vincente, perché consentirebbe, finalmente, di parlare di futuro, di sviluppo, di integrazione, di benessere, di progetti economici globali. Anche «quelle genti scellerate» – così come ancora le vedeva Urbano II – preferiscono, come tutte le genti, stare meglio che stare peggio, avere amici piuttosto che nemici.

La prospettiva coltivata da Biden mi sembra che sia, sostanzialmente, questa. Ma il tempo stringe. Occorre un lavoro efficace per sconfiggere lo schema binario. C’è?

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Lo schema binario fa presa anche tra noi. La strada dello scontro di civiltà ha funzionato anche in Occidente, raggiungendo il suo apice dopo l’attentato delle Torri Gemelle. Da allora si teorizza la guerra al terrorismo. Ma contro il terrorismo ritengo che abbia fatto di più il dialogo, portato soprattutto nei Paesi affluenti del Golfo, dopo il 2001. Quei Paesi stanno cambiando la teologia di Stato: un processo complesso, del quale si parla poco, ma che c’è. E poi ci sono i pozzi di disperazione, dimenticati da tempo, e lì con pochi soldi il terrorismo sa sempre pescare, come dimostra il recente attentato di Mosca.

Ha scritto, al riguardo del 2001, il professor Massimo Borghesi nel suo decisivo volume Il dissidio cattolico:

«Nel nuovo clima di scontro la saldatura tra la religione e l’Occidente in guerra diviene potente, coattiva. Dialogo, solidarietà, impegno per la pace, appaiono sospetti. Una diffidenza che coinvolge la stessa eredità conciliare della Chiesa. L’11 settembre cambia lo scenario del mondo e la Chiesa ne subisce il contraccolpo».

Il cristiano diventa spesso «cristianista». Borghesi ci fa presente che il repubblicano americano deluso David Brooks ha scritto: «La causa trumpiana è tenuta insieme dall’odio per l’altro. Poiché i trumpiani vivono in uno stato di guerra perpetua, hanno bisogno di inventare continuamente nemici esistenziali: teoria razziale critica, bagni senza genere, immigrazione fuori controllo».

Concluderei la citazione dal volume di Borghesi con le parole che sembrano scritte per l’oggi:

«La destra politica si allea con quella religiosa a partire da una visione manichea della storia. La battaglia, in una sorta di Armagheddon finale tra giusti e corrotti, ha assunto la forma della lotta per il primato della Verità contro quello della Misericordia».

Mi sembra che queste parole calzino a pennello, per la pagina odierna. Si dirà: ma gli arabi cosiddetti moderati sono corrotti. Certo, ma oggi stanno prospettando – con limiti enormi e difetti – una prospettiva alla coesistenza, dalla quale si può far partire un ulteriore processo.

Come non si stanca di dire Francesco, «il tempo è superiore allo spazio». È sempre il tempo di «avviare processi», nuovi!

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Un commento

  1. Giovanni Di Simone 18 aprile 2024

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