
L’Associazione Energia per l’Italia, impegnata nella promozione e diffusione della conoscenza e della cultura scientifica, si occupa da anni di temi come l’emergenza climatica, il riscaldamento globale, la transizione energetica e la protezione ambientale. Diversi dei membri della associazione sono anche autori di SettimanaNews. Riprendiamo di seguito il Manifesto con cui Energia per l’Italia esprime una valutazione negativa del disegno di legge che conferisce al Governo una delega per disciplinare l’introduzione del nucleare cosiddetto «sostenibile».
Energia per l’Italia esprime con forza una valutazione negativa del disegno di legge che conferisce al Governo una delega per disciplinare in modo organico l’introduzione del nucleare cosiddetto «sostenibile».
Il DDL, che si iscrive nel quadro delle politiche europee di decarbonizzazione al 2050 e degli obiettivi di sicurezza energetica, è stato approvato, su proposta del Ministero per l’Ambiente e la Sicurezza Energetica, nel corso della riunione del 2 ottobre 2025.
Il testo, alla lettera f, ha per oggetto la disciplina della sperimentazione, della localizzazione, della costruzione e dell’esercizio di nuovi impianti di produzione di energia da fonte nucleare «sostenibile» sul territorio nazionale. Con questa locuzione, che evita accuratamente il termine reattori nucleari e ne addolcisce l’impatto con l’aggettivo sostenibile, si vuole cancellare il volere del popolo italiano reiterato da due referendum, nel 1987 e successivamente nel 2011, che hanno escluso l’uso delle tecnologie nucleari a fini energetici.
La valutazione assolutamente negativa di Energia per l’Italia si basa su varie considerazioni che possono essere così riassunte.
Sostenibilità
Pare di capire che la sostenibilità alla quale si fa riferimento sia da imputarsi al passaggio dalle grandi centrali nucleari a possibili, piccoli reattori modulari (SMR-Small Modular Reactors o AMR-Advanced Modular Reactors).
Prescindendo dal fatto che anche nel mondo nuclearista non vi è unità di vedute circa i vantaggi di questi reattori (con potenze fino a 300 MW) rispetto a quelli tradizionali (fino ad oltre 1500 MW), non si capisce cosa possa esservi di sostenibile in questi impianti. I piccoli impianti modulari sono ancora sulla carta o in fase sperimentale (ne esistono soltanto tre, tra Russia e Cina) e la loro realizzazione per soddisfare la richiesta di energia di base (baseload) contribuirebbe solo a disperdere ovunque il rischio nucleare in un Paese densamente popolato come il nostro.
Ancora, l’assenza di un sito definitivo di stoccaggio delle scorie in Italia, la cui localizzazione e realizzazione è attesa invano da molti anni, rende impossibile ricorrere alle facilitazioni degli investimenti considerati «sostenibili» dalla tassonomia europea.
Da ultimo, ogni stima per una possibile commercializzazione appare difficile da immaginare, ma comunque non compatibile con gli impegni assunti per il 2035. Affidare la transizione energetica a una metodologia ancora in fase sperimentale, a fronte di tecnologie pulite e mature (fotovoltaico ed eolico, associati a batterie di stoccaggio), che in questi ultimi anni stanno producendo energia elettrica in quantità pari a molte centrali nucleari, è un chiaro esempio di mala gestione del problema. Di fronte a una malattia quanti si affiderebbero a terapie sperimentali in presenza di terapie consolidate ed efficaci?
Tempistica
La costruzione di centrali nucleari è soggetta a vincoli di sicurezza che ne hanno progressivamente aumentato i tempi di realizzazione. L’esperienza di altri Paesi nei quali sono in costruzione centrali documenta tempi di realizzazione che hanno in qualche caso raggiunto e superato i 20 anni, anche in presenza di siti idonei già identificati.
In Italia, dove tali siti non sono mai stati definiti e accettati, questi tempi potrebbero allungarsi indefinitamente; gli impegni assunti dal nostro Paese per la transizione energetica sono molto più stringenti e totalmente incompatibili con queste tempistiche. Il budget di carbonio corrispondente agli impegni europei dell’Italia, senza riduzioni immediate e progressive delle emissioni, verrebbe esaurito in meno di 10 anni.
Il ritorno al nucleare si configura, quindi, come un’arma di distrazione di massa per continuare a usare i combustibili fossili, garantendo ritorni finanziari giganteschi alle Aziende (anche di Stato) del settore fossile, per depotenziare il ricorso alle energie rinnovabili.
Vogliamo rimarcare che, secondo i dati del Rapporto Mensile Terna sul Sistema Elettrico (agosto 2025), nei primi 8 mesi del 2025 eolico e fotovoltaico hanno prodotto ben 47 terawattora, pari a quasi il 27% della produzione elettrica interna italiana dello stesso periodo, e che per ottenere una quota simile servirebbero almeno 27 reattori modulari da 300 MW, considerato che 1 SMR da 300 in 8 mesi produce solo 1,7 terawattora (300 x 8 x 30 x 24/1000000)!
Indipendenza energetica
La necessità di ricorrere a nuovi fornitori di energia, drammaticamente emersa per le forniture di gas russo a seguito della guerra in Ucraina, non verrebbe certamente sanata dal nucleare.
La compagnia russa Rosatom è la principale fornitrice di materiale fissile nel mondo e, non a caso, le sanzioni contro la Russia a seguito del conflitto ucraino hanno escluso il materiale nucleare, per non incorrere nel rischio di spegnimento dei reattori europei.
In questo clima di incertezza e insicurezza – non dimentichiamo i rischi legati alla guerra intorno alla centrale di Zaporižžja che stanno creando una situazione estremamente fragile e pericolosa – appare privo di ogni ragionevolezza riaprire oggi il discorso di costruzione di nuove centrali nucleari.
Costi
Il costo dell’energia elettrica da nucleare deve tener conto del costo di costruzione e manutenzione degli impianti, dei materiali impiegati durante tutto il ciclo di vita degli impianti stessi, del trattamento e stoccaggio delle scorie radioattive, e, infine, includere il costo della dismissione, che, stando a recenti valutazioni, potrebbe divenire astronomico. Tra l’altro, anche se fermi da ormai quasi 30 anni, gli impianti italiani di vecchia generazione hanno appena iniziato la fase di smantellamento.
Tutti gli anni improduttivi passati sono calcolati nei costi? Inoltre, le centrali nucleari sono pensate come centrali di baseload e i costi unitari dell’energia in fase di progetto sono calcolati a produzione costante? Come verrebbero gestiti tali impianti in un sistema energetico in cui, già oggi, le rinnovabili a costi molto inferiori coprono a tratti l’intera domanda? Quali costi aggiuntivi si genereranno?
Molteplici analisi indipendenti documentano in modo inequivocabile che il costo per kWh prodotto da reattori nucleari è da 2 a 4 volte maggiore del costo di un kWh prodotto da fotovoltaico e da eolico a terra.
Per gli SMR/AMR si pone poi il problema che il combustibile nucleare è ad alto grado di arricchimento e, quindi, si tratta di materiale a rischio di attacchi terroristici, con conseguenti costi maggiorati per la necessaria militarizzazione dei siti.
Oggi l’energia nucleare appare decisamente fuori mercato (nessuna nuova centrale in costruzione negli Stati Uniti) e potrebbe essere sostenuta soltanto da larghi finanziamenti statali, come nel caso del colosso francese EDF, che dovrà investire 420 miliardi di euro entro il 2040 per mantenere l’operabilità delle sue centrali ormai obsolete.
Accettabilità sociale
L’elaborazione di un Programma nazionale per il nucleare sostenibile richiede, tra l’altro, l’istituzione di un’Autorità per la sicurezza nucleare indipendente, il potenziamento della ricerca scientifica e industriale, la formazione di nuove competenze e lo svolgimento di campagne di informazione e sensibilizzazione. Queste capacità, che erano presenti in Italia dagli anni Cinquanta al periodo del primo referendum del 1987, sono progressivamente calate in termini di personale, infrastrutture e capacità.
In un Paese dove stanno nascendo comitati anche soltanto per la realizzazione di impianti di batterie di stoccaggio, per non parlare delle manifestazioni anche violente contro impianti eolici e fotovoltaici industriali, non pare facilmente raggiungibile un consenso sociale all’installazione diffusa di reattori nucleari. Non a caso il Governo prevede di destinare ben 7,5 milioni di euro (denaro pubblico!) tra il 2025 e il 2026 a campagne informative sul nucleare, mentre non si spende nulla per spiegare ai cittadini i vantaggi generali della transizione alle rinnovabili.
Ricordiamo che nel 2003 le grandi proteste popolari di Scanzano Jonico costrinsero Berlusconi e Scajola a rinunciare al progetto di deposito nazionale delle scorie radioattive derivate dalle nostre centrali dismesse e che, quindi, ad oggi manca ancora un sito nazionale per lo stoccaggio delle scorie, temporaneamente inviate in Francia e Regno Unito per il primo trattamento, ma che dovranno presto essere riportate in Italia. La legge delega il Governo a manovre anche impopolari, che potrebbero aprire un altro scontro sociale nel Paese, ritardando di molti anni ancora la realizzazione degli impegni assunti per la transizione energetica.
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Concludendo, Energia per l’Italia sollecita i Parlamentari di maggioranza e opposizione a non deragliare dagli impegni assunti con le Nazioni unite e con la UE e perseguire un programma di facilitazione e sostegno ai cittadini ed alle Aziende per la diffusione capillare delle energie rinnovabili.
I combustibili fossili e segnatamente il carbone, ancora utilizzato in ben 4 centrali italiane, il gas acquistato a prezzo sempre più caro sul mercato internazionale, il petrolio e la benzina che bruciano nei motori a combustione contribuiscono a rendere la pianura Padana l’area più inquinata di Europa e incidono in modo significativo sulla salute degli Italiani, causando oltre 40.000 morti premature all’anno per inquinamento.
Occorre uscire rapidamente da questa condizione se lo Stato vuole dare piena attuazione al principio costituzionale del nuovo Articolo 9 che, oltre a tutelare l’ambiente, la biodiversità e gli ecosistemi, anche nell’interesse delle future generazioni, ci richiama alla responsabilità di tutelare l’economia e la salute dei cittadini.
In questa sfida contro una crisi climatica che pone a rischio le future generazioni parlare di nucleare sostenibile è solo un pretesto per affidarsi ancora per molti anni ai combustibili fossili.






Secondo me in un progressivo abbandono del fossile, il nucleare può essere un passaggio intermedio. Non prossima di punto in bianco passare solo al vento e al sole. Occorre dare stabilità alla produzione nel caso il vento cali. La Danimarca la domenica viaggia solo con l’eolico ma perché sono chiuse le aziende.
Insomma per i pericoli dobbiamo attrezzarci. Nel frattempo sfruttiamo di più le fonti rinnovabili ma in attesa di meglio diamo stabilità al sistema energetico con il nucleare.
Dare stabilità al sistema elettrico lo facciamo già col nucleare che importiamo da Francia e Svizzera, che ne fanno in eccesso e lo svendono in determinate situazioni (in particolare di notte). Il tema del pezzo è invece se investire tempo e denaro pubblico in un fantomatico e futuribile ritorno italiano al nucleare. Investimenti che invece andrebbero urgentemente destinati ai sistemi di accumulo (idrico e chimico) e alle tecnologie elettriche ed elettroniche che consentono a una rete bastata sulle rinnovabili di restare stabile ed evitare i blackout, puntando comunque alle emissioni zero e al soddisfacimento del crescente fabbisogno elettrico.