Gianna Beretta Molla

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maternità

SERENA MORONI, Vetrata con la raffigurazione di Santa Gianna Beretta Molla con i suoi bambini. Ospedale di Busto Arsizio (VA) Chiesa dell’Annunciazione. Tale vetrata si trova nella cappella situata al piano terra dell’attuale padiglione di Ostetricia e Ginecologia. La cappella consta di 26 vetrate in cui sono soprattutto ritratti soggetti femminili, tutti disegnati dall’artista Serena Moroni. Fu inaugurata il 29 aprile 2005 all’indomani del Giorno della Memoria di santa Gianna. L’artista ha scelto di ritrarla mentre abbraccia quattro bambini, suoi figli, benché ella non poté accompagnare la crescita dell’ultima bambina. Il parto di Gianna Emanuela le fu fatale.

Ero un’adolescente di fine anni ’70 quando sentii parlare di Gianna Beretta Molla (4 ottobre 1922 – 28 aprile 1962) da un sacerdote da poco incaricato di studiare il percorso di vita di questa donna per istruirne il processo di beatificazione. Era monsignor Antonio Rimoldi, un grande storico della Chiesa.

Lo conobbi durante un corso di storia nel liceo statale di Gallarate. Divenne poi mio confessore e guida spirituale. La figura di Gianna mi ha silenziosamente accompagnata negli anni, leggendo i suoi scritti e quelli su di lei. Più volte, anche da parte di amiche e donne credenti, ho ascoltato la scettica esternazione di chi non comprendeva il suo gesto giudicandolo “insensato”, o “fanatico”.

Il gesto fu quello di scegliere la vita del nascituro a scapito della propria. Lei era una madre di tre figli piccoli e fu consapevole del peso della sua decisione, in quanto medico specializzato in pediatria. C’era la riflessione di chi interpretava tale figura (proclamata “beata” nel 1994 e poi “santa” nel maggio 2004) come una risposta della Chiesa alla legislazione italiana sull’interruzione di gravidanza.

Idee non prive di fondamento, ma che non riuscivano a convincermi perché poco allineate al percorso esistenziale che avevo conosciuto. Se è vero che lo sguardo dello storico non è mai neutrale e che spesso l’agiografia nasconde eventi grigi e opachi della vita dei santi, è anche doveroso riconoscere verità a documenti e testimonianze oculatamente raccolte. I biglietti e le lettere di Gianna parlano una lingua che è difficilmente contestabile.

Frammenti e sacrificio

Così anche gli scritti di chi le era vicino, le ha voluto bene e ha molto sofferto la sua perdita. In un recente convegno (4 febbraio 2023) organizzato a Milano dall’Azione Cattolica in occasione della conclusione del centenario della nascita di Gianna Beretta Molla, la relazione del teologo monsignor Cesare Pagazzi è partita dai brevi scritti di Gianna. Lettere, appunti, note a margine che fin da ragazza ella stendeva.

La consuetudine alla scrittura – dal tratto semplice, non sempre precisa e con qualche scorrettezza grammaticale – si era mantenuta viva nel tempo. Leggiamo resoconti di esperienze socioculturali molto lontane dall’oggi. Inevitabilmente vi si colgono espressioni e contenuti che risentono di una visione di Chiesa, di famiglia e di mondo femminile non del tutto attuali.

Tuttavia, proprio la cura diaristica ha consentito di rintracciare un filo prezioso per collegare frammenti di vita e dar senso a un gesto finale sorprendente e assieme profondamento convinto. Un gesto che si può rileggere alla luce di importanti riflessioni sul sacrificio su cui la letteratura filosofica del secolo scorso ha insistito (G. Bataille, Von Balthasar J.-L. Nancy). È sacrificale l’atto volontariamente scelto da chi dà senza ricevere. Gesto che crea per mezzo della perdita e che, in tal modo, è strettamente congiunto al sacro.

Cura di sé e consolazione

La scelta di Gianna non appare stonata se riletta alla luce di un percorso di vita costellato da eventi meditati e annotati con cura. La sua famiglia di origine, numerosa e di profonda fede cristiana; i non facili passaggi di studio (tra liceo e università, con esiti non sempre brillanti anche per ragioni di salute, distanze e spostamenti abitativi obbligati); l’esercizio della professione medica e la valutazione di una scelta di vita missionaria.

Poi l’evento del fidanzamento e del matrimonio; il lavoro di pediatra in un ambulatorio a Mesero e in seguito a Magenta, in provincia di Milano. Le gravidanze (con due aborti per cause naturali) e le maternità registrate con acutezza introspettiva. Gianna sapeva curare gli altri perché si prendeva cura di sé. Lo ha sottolineato la pedagogista professoressa Alessandra Augelli nel predetto convegno.

La cura esteriore del suo aspetto fisico – lo attestano alcune fotografie che la ritraggono in abiti eleganti indossati in occasioni mondane come serate alla Scala di Milano – si accompagnava all’attenzione costante alla propria vocazione. Gli scritti rivelano che era “presente a sé stessa”, radicata nella propria contingenza e capace di riconoscere le proprie fragilità e debolezze. Come ha sostenuto il professor Pagazzi, Gianna sapeva di non essere all’altezza della vera consolazione che è propria di Dio (“Come una madre consola un figlio io ti consolerò” Is 66,13).

Consolazione a cui sapeva però affidarsi sia nel vivere la relazione col marito Pietro, sia nei rapporti con i figli e i suoi piccoli pazienti. Le era sicuramente noto il dono dello Spirito Santo che chiamiamo “consolazione degli afflitti”, capace di vincere il senso di abbandono a volte avvertito proprio da chi ha fede.

Ci sono frasi amare nelle lettere di Gianna, dovute alla distanza di Pietro, spesso all’estero per ragioni di lavoro, a situazioni di solitudine per incomprensioni parentali e sociali, alla fatica dichiarata nell’allevare tre bambini. Soprattutto le amiche più care raccolgono scritti che rivelano i suoi timori nella fase finale della vita, quando ella scelse di non interrompere la gravidanza dopo l’asportazione di un fibroma uterino.

Certo è che in lei non ha prevalso un senso di credito nei confronti della vita (“prendo tutto quel che posso prendere”). Gianna scelse la cura del “Consolatore”, del Padre che non abbandona mai. Da pediatra ben conosceva l’intermittenza legata all’allattamento: momenti di distacco del bambino dal seno materno ma, al contempo, la vicinanza stretta tra i due corpi.

Il vero nutrimento passa da un contatto vitale che – per chi crede – non viene meno. Nel suo percorso esistenziale, fin da piccola, santa Gianna ha imparato ad affidarsi a un Dio misterioso  ma non assente, a un Dio materno che allatta con speciale premura. E a Lui si è affidata fino alla fine: è questa l’eredità per i suoi cari e per tutti noi.

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