Di orsi e di montagne

di:

Paolo Cognetti, classe 1978, è scrittore di romanzi ambientati in montagna, tra cui Le otto montagne (Einaudi 2016) «Premio Strega» nel 2017, da cui l’omonimo film. Nei giorni del caso dell’orsa JJ4 e del conseguente acceso dibattito, lo abbiamo interpellato per un discorso più ampio sul rapporto tra l’umanità e la fauna selvatica, gli animali, la «Terra».

orso

Foto di Pexels da Pixabay

  • Paolo, lei vive in montagna?

Sono nato a Milano e vivo a Milano per metà dell’anno, d’inverno: l’altra metà dell’anno la passo in una baita di montagna, da maggio a ottobre. Passo, dunque, ogni volta, da un ambiente fortemente urbanizzato e popolato ad un ambiente boscoso e solitario.

  • Recentemente ha scritto che i boschi, nel nostro Paese, stanno recuperando gli spazi che avevano perduto. È proprio così? Sembra piuttosto di assistere alla moltiplicazione degli alberghi e degli impianti di risalita.

La sua è una sensazione corretta che tuttavia non smentisce la realtà descritta dai dati e dai fatti. Basta prendere le foto d’epoca di qualsiasi vallata alpina − tra gli anni Cinquanta e Settanta del secolo scorso − e confrontarle con le attuali: la differenza è lampante e dice, senza ombra di dubbio, che dove c’erano prati e campi coltivati ora ci sono i boschi. Ci sono intere zone di montagna non più coltivate e non più lavorate dall’uomo. E dove l’uomo ha ritirato le sue attività hanno ripreso terreno le piante, i boschi con gli animali.

  • Come valutare questa trasformazione dell’ambiente montano: positivamente o meno?

Osservo il fatto ma non mi pongo nella prospettiva di un giudizio positivo o meno. Da una parte, c’è la scomparsa della cultura contadina, come dice tutta la storia del Novecento. L’80-90% degli italiani oggi vive in spazi urbani, ignorando la vita di un tempo nei campi e nei boschi, mentre la montagna − già dagli anni Cinquanta-Settanta del secolo scorso − si è spopolata, lasciando interi paesi completamente abbandonati.

I boschi sono così tornati. Ma, d’altra parte, non c’è più chi se ne prende cura. Ricordo ciò che scriveva Mario Rigoni Stern riguardo al bosco giardino in cui l’uomo entrava per fare tagli e manutenzioni periodiche: questo è un mondo che non c’è più. Viviamo accanto a boschi più grandi, ma rinselvatichiti: le cosiddette “aree di ritorno” − wilderness − ove piante e animali selvatici si accrescono tra le rovine della civiltà umana; un fenomeno relativamente nuovo, assai interessante, da osservare e da studiare. È quanto sta accadendo.

Tornare in montagna
  • Da qualche anno, si parla di un certo ritorno, per scelta, alla montagna. È vero?

Sicuramente c’è una sensibilità ambientale nuova e c’è un interesse nuovo per la montagna e per gli ambienti “naturali” lontani dalla città. Più la nostra vita diventa tecnologica e digitale e più si accresce il bisogno della parte più corporea – di noi esseri umani – di tornare a contatto fisico con questa natura o, come meglio io preferisco dire, a contatto della Terra. Le Alpi e gli Appennini che disegnano l’Italia rappresentano il luogo più prossimo in cui questo contatto fisico si può realizzare.

Sono tuttavia a dire che si tratta pur sempre di un fenomeno di piccole proporzioni: non è in atto alcun massiccio “ritorno” di popolazione alla montagna. Si parla di nuovi montanari. In qualche modo io stesso mi sento tra questi. Siamo tutto sommato in pochi. Siamo degli anticonformisti che hanno fatto questa scelta.

  • Sono soprattutto giovani i nuovi montanari?

Giovani? Io ho 45 anni. Sono davvero pochissimi quelli in età lavorativa, come me, ad aver fatto questa scelta. C’è piuttosto anche chi ha concluso la sua vita lavorativa in città e ora vive in montagna. Ma giovani di vent’anni, tra i nuovi montanari, io, francamente, non ne conosco.

  • Qual è, dunque, il suo rapporto con la “terra”, gli animali, anche quelli selvatici?

Sono un ambientalista e amo gli animali. Sono vegetariano proprio perché mi rifiuto di mangiare gli animali. Vivo con un cane da dieci anni. E, quando abito in montagna, sto in una zona in cui la fauna selvatica è abbondante: non mi è raro andare nel bosco e incontrare caprioli e cervi, oppure aquile, volpi e tanto altro; in questa zona ci sono anche i lupi, anche se non mi è mai capitato, sinora, di incontrarne: e non ci tengo affatto. Per me è semplicemente bello vivere in montagna, dentro questa realtà popolata da una presenza non umana. Mi dà tanta gioia. Nel mio rapporto con questo mondo sperimento tanti sentimenti, anche quelli spiacevoli.

  • Quali sentimenti?

Io penso che quando l’uomo manipola la vita degli animali, combina, in modo o nell’altro, sempre guai. Dobbiamo, per quanto possibile, lasciar stare gli animali, lasciarli vivere in pace e in libertà. Penso di essere un libertario per indole: il rispetto della vita altrui è anche il rispetto della vita degli animali. Quando l’uomo, anche con buone intenzioni, porta gli animali da un posto all’altro, comincia a contarli e a fare esperimenti, sbaglia. Ne sono convinto.

Orsi, Europa e fauna selvatica
  • Cosa pensa allora della vicenda dell’orsa siglata JJ4?

È appunto una vicenda tristissima che proviene da un errore grave: qualcuno, anni fa, ha pensato di fare un esperimento, portando alcune coppie di orsi adulti in un posto in cui gli orsi non c’erano più da tanto tempo. Evidentemente l’esperimento non ha funzionato. Oggi lo possiamo dire, perché è morto un ragazzo. Si è presunto che gli orsi si sarebbero spostati da sé lungo l’arco alpino. Ma gli orsi si sono moltiplicati e non si sono spostati dalla zona. Ora c’è un problema assai serio da gestire. Sembra che l’alternativa sia spostarli di nuovo, ovvero abbatterli: ecco, sono proprio questi pensieri a darmi tristezza e anche rabbia. Sono questi i sentimenti spiacevoli della mia vita in montagna.

  • Secondo lei, che fare a questo punto?

A questo punto penso che l’azione meno traumatica sia quella di trovare agli orsi una nuova casa, nuovi ambienti in cui possano vivere in libertà, lontani da noi umani. Questi luoghi, secondo me, non sono in Italia, perché in Italia non abbiamo spazi così ampi. Penso che vada fatta ormai, anche sulla fauna selvatica, una politica europea − se non planetaria − che possa dirsi tale: non cruenta.

  • Ci sono altre specie selvatiche per cui varrebbe lo stesso discorso?

Altre specie selvatiche, bene o male, hanno trovato in montagna, in Italia, un loro equilibrio. Ma non mancano tanti altri problemi. Si stanno aggravando quelli determinati dalla presenza dei lupi. Mentre i cinghiali sono divenuti, da molte parti, animali infestanti. Ricordo che la maggior parte delle reintroduzioni di specie selvatiche sono state fatte a scopo di caccia, quindi, sostanzialmente, per il divertimento umano. Non è solo il caso dei cinghiali, ma anche dei cervi, ad esempio.

  • Vuole esplicitare la sua posizione sulla caccia?

Sono assolutamente contrario alla caccia. Mi sembra assurdo che in Italia sia ancora consentita questa pratica: ossia che si vada nei boschi per uccidere gli animali!

Convivere nella «casa comune»
  • Lei pensa che sia comunque possibile la convivenza tra gli umani e gli animali selvatici?

A certe condizioni. Come ho scritto, sento il bisogno di una presenza che renda possibile la convivenza: penso a un “corpo forestale” diffuso − civile non militare o militarizzato come ora − che, insieme alla manutenzione essenziale dei boschi e alla osservazione competente degli animali, si assuma il compito di educare escursionisti, turisti e tutti quanti vanno in montagna anche solo per fare una passeggiata. Il mio auspicio è che persone competenti vadano nelle scuole a raccontare come è possibile convivere correttamente con gli animali, perché, ormai, gran parte della gente non lo sa, non lo sa più.

  • Andrebbe ripresa, dunque, una formazione complessiva degli umani a contatto con la Terra?

Sì, questo è il mio pensiero: trovo grave che nella situazione di ignoranza in cui siamo precipitati circa il nostro vivere sulla Terra, non ci siano, a scuola, sin dalle prime classi, materie come la botanica, la zoologia, l’ecologia. Nessun giovane sa – se non studia qualcosa di specifico all’università – come si chiamano per nome, ad esempio, gli alberi, oltre che gli animali, tanto meno sanno e sappiamo come conviverci. Eppure, un’istanza giovanile c’è.

  • A questo proposito, cosa pensa dei movimenti giovanili di protesta sull’ambiente?

Sono senz’altro dalla parte dei giovani che protestano per quanto non si sta facendo per l’ambiente. Possono, per me, evitare di imbrattare i monumenti. Semmai li incoraggio a intensificare la loro protesta non violenta. Possono, come già fanno, continuare a sedersi davanti ai palazzi del potere, facendosi togliere di peso, significando così la gravità della situazione e quanto, almeno a loro, stia a cuore la Terra, il futuro. Hanno la mia simpatia.

Della Terra e dello Spirito
  • Da dove le viene questa sua spiccata sensibilità per la Terra?

Ho ricevuto una educazione religiosa cattolica seria − ritengo davvero non superficiale − nel Movimento dei focolari, che ho lasciato nell’adolescenza. Oggi non posso dirmi cristiano cattolico, ma non per questo è svanita in me la tensione spirituale. Parlo di me quale persona – e quindi scrittore – spirituale, attraverso i miei libri. Il materialismo del vivere è lontano da me e la correttezza morale della vita è nelle corde della mia ricerca.

La montagna è il luogo privilegiato di una ricerca spirituale. Mi riconosco nelle parole di Mario Rigoni Stern quando diceva o scriveva che, per lui, entrare in un bosco era come entrare in un sacrario per pregare. Anche per me andare nel bosco è un po’ come andare in chiesa. Sono stato e sono tuttora affascinato dal buddhismo, ma non mi definisco buddhista. Non amo darmi definizioni.

Cosa non le va bene del cristianesimo − se così si può dire − di ciò che le sta maggiormente a cuore?

Alcuni passi del libro della Genesi − o comunque l’interpretazione che ne è stata data nel corso dei secoli dal cristianesimo − circa il rapporto con gli animali e l’alimentazione di animali e la Terra in genere, non possono trovare accoglienza dentro di me. Penso che stiano alla radice di tanti guasti che ora abbiamo sotto gli occhi. Questo aspetto del cristianesimo certamente mi spaventa.

  • Mentre nel buddhismo cosa ha trovato, forse mancante nelle religioni bibliche?

Ho fatto quattro lunghi viaggi in Nepal, l’ultima volta nell’ottobre scorso: fosse stato solo per scalare montagne di ottomila metri avrei potuto andare in tanti altri posti del mondo. Invece ho sentito il bisogno − e sento il bisogno − di tornare proprio lì. C’è qualcosa che continua a chiamarmi. Non saprei dire meglio cosa sia. È quanto racconto, con altre parole, nei miei romanzi. So che questo “qualcosa” ha a che fare − insieme − con la Terra e con lo Spirito.

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Un commento

  1. Maurizio Castelli 8 maggio 2023

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