Quando l’Opus Dei divenne “prelatura personale”

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Con l’articolo di Giancarlo Rocca (cf. SettimanaNews, 13 agosto 2023) abbiamo commentato le ricadute sul piano giuridico del motu proprio di papa Francesco Ad charisma tuendum riguardante l’Opus Dei. Il dossier di Jesús Martínez Gordo – di prossima pubblicazione su Settimana News – ricostruirà alcuni passaggi della storia, della spiritualità e della teologia dell’Opus Dei. Il presente articolo, firmato da Francesco Strazzari, racconta come l’Opus Dei venne costituita in «prelatura personale» (1983): come maturò la decisione, quali furono le reazioni e come venne bloccata la pubblicazione di un dossier della rivista Vida Nueva.

escrivà de balaguer

Erano gli anni Ottanta. Nella 32ª assemblea dei vescovi spagnoli il mitico cardinale Vicente Enrique y Tarancón, arcivescovo di Madrid e presidente della Conferenza episcopale, informava i vescovi che l’Opus Dei intendeva convertirsi in prelatura personale e avere un proprio vescovo. L’atmosfera era tesa perché, nel frattempo, al settimanale Vida Nueva era stata imposta la non pubblicazione di un dossier riguardante l’Opus Dei.

Tra entusiasti e critici

La stampa spagnola si mostrò subito contraria al progetto. Il noto scrittore e poeta, Martin Descalzo, in Hoja del lunes, scriveva: «È un danno per la comunità cristiana. È un danno ancora maggiore per i membri stessi. È pericoloso chiudersi in un ghetto».

Emergevano nel frattempo manovre segrete. L’Opus Dei sarebbe stata in collegamento con il CELAM, il Consiglio episcopale latino-americano e dei Caraibi, alla cui presidenza era il colombiano Alfonso López Trujillo, esponente di spicco dell’ala conservatrice, creatura del card. Sebastiano Baggio, potente prefetto della Congregazione per i vescovi, strenuo difensore dell’Opus e patrocinatore della nuova forma giuridica del movimento.

López Trujillo vietò la partecipazione del direttore di Vida Nueva alla Conferenza di Puebla (1979) e aveva informato il card. Tarancón sulla non obiettività dei servizi della rivista dal Sud America. Gli chiesi un parere sull’Opus Dei: «È naturale – mi rispose – che l’Opus Dei cerchi la sua forma giuridica. È un istituto secolare che cerca un’altra forma. Ha chiesto di avere il riconoscimento come diocesi. Comprendo che cerchi questa forma. Mi pare pure spiegabile che a noi vescovi non sembri la forma migliore. Credo che la Santa Sede non procederà senza consultare i vescovi, che suppongo non siano d’accordo».

La Chiesa spagnola era nella tempesta. A Cordova cinque preti si erano sposati insieme per manifestare la loro protesta nei confronti della chiusura della Conferenza episcopale. Una cerimonia molto suggestiva, con il permesso del parroco ma senza quello del vescovo. La messa fu concelebrata da nove sacerdoti alla presenza di altri trenta. Il vescovo Infantes Florido scrisse ai fedeli condannando l’episodio, senza però accusare i preti.

Il card. Tarancón affermò che avrebbe interessato la Santa Sede sulla questione del celibato e assicurò che ne avrebbe parlato con Giovanni Paolo II. Il card. Bueno, di Siviglia, ricevuto in udienza alimentò il fuoco dicendo che il papa era irremovibile sulla questione del celibato.

Nel frattempo, il vescovo ausiliare di Madrid, Alberto Iniesta, impegnato in politica soprattutto nella zona di Vallecas e denominato il «vescovo rosso», veniva convocato a Roma dal card. Sebastiano Baggio per rispondere a una serie di domande. Mi raccontò in seguito che si era trattato di un colloquio-dibattito di quarantacinque minuti. Iniesta rispose al card. Baggio riconfermando la sua posizione: lottare per i poveri e gli emarginati, a fianco di coloro che avevano voltato le spalle alla Chiesa.

Iniesta era protetto dal nunzio, Luigi Dadaglio, che tentò più volte di placare i vescovi conservatori e lo stesso card. Baggio, che provarono a fermare il vescovo ausiliare ponendogli accanto due collaboratori spie. Volevano a ogni costo che abbandonasse la Spagna. Iniesta non cedette, perché gli attacchi alla «linea Tarancón», arcivescovo di Madrid e suo superiore, erano all’ordine del giorno e venivano soprattutto dall’Opus Dei.

Bloccato il dossier di Vida Nueva

L’Opus Dei continuava a riempire le pagine di giornali e riviste. Appariva un’opera impressionante: potente, ricca, conservatrice, anticomunista, arroccata su posizioni integraliste, occulta, Chiesa parallela e, sotto certi aspetti, impenetrabile. Eppure, gran parte della gerarchia di allora non risparmiava elogi per la sua attività.

Entrai nell’edificio dove operava il direttore dell’ufficio stampa, il signor Gordon, che mi parlò con entusiasmo dell’Opera e mi diede un dossier dove campeggiavano articoli di stima verso il fondatore, Escrivá de Balaguer e la sua Opera. Erano note le simpatie di Giovanni Paolo II nei confronti dell’Opus Dei. Nel 1979, parlando a trecento professori e studenti soci dell’Opera ebbe a dire: «Grande ideale veramente il vostro, che fin dagli inizi ha anticipato quella teologia del laicato, che caratterizzò la Chiesa del concilio e del postconcilio».

Non era tra coloro che osannavano l’Opus Dei il card. Basil Hume, di Westminster, che fece le sue critiche e diede quattro raccomandazioni per la sua diocesi: divieto ai giovani al di sotto di diciotto anni di pronunciare voti e di assumere impegni; i genitori o i tutori legali dovevano essere informati della scelta; rispetto della libertà personale; le iniziative e le attività dell’Opus nella diocesi di Westminster dovevano essere svolte sotto la sua sorveglianza e direzione.

La rivelazione fatta dalla rivista Vida Nueva sulla trasformazione giuridica dell’Opus Dei, nel novembre 1979, fu uno scossone e indignò molto l’Opera. La rivista fu accusata di aver rubato i documenti. Le fu imposto di non pubblicare il dossier, che era già in stampa. «È stata la Santa Sede – mi disse il portavoce dell’Opus Dei – a chiedere di intervenire presso la rivista». Ma il direttore di Vida Nueva, Bernardino M. Hernando, precisò: «I documenti che abbiamo pubblicato ci sono giunti per posta normale. Ci siamo assicurati che fossero autentici e abbiamo deciso di pubblicarli. Se non l’abbiamo potuto fare, è stato perché tutte le alte gerarchie dell’Opus si sono mobilitate in modo incredibile per impedircelo».

Accuse gravi

Le accuse all’Opus Dei erano gravi. Su il Pueblo, il bene informato Pedro Lamet, caporedattore di Vida Nueva, le sintetizzava. Riguardavano il reclutamento dei candidati, l’elitismo, la scarsa o nulla collaborazione con la gerarchia e la mancata partecipazione alle attività delle diocesi, con un apostolato rivolto quasi esclusivamente all’interno della propria organizzazione, l’ambiguità nelle attività civili e imprenditoriali, la concezione della morale sessuale e familiare, la preferenza data all’esercizio di pratiche di pietà senza un’autentica e solida spiritualità, il giuridicismo e la mancanza di ricerca teologica, il disimpegno per la giustizia nei Paesi del Terzo Mondo, il clericalismo e il conservatorismo.

Interpellai al riguardo un noto avvocato di Madrid, che è stato membro dell’Opus Dei per tanti anni, un pupillo del fondatore. Era sacerdote dell’Opus, ricercato predicatore di esercizi spirituali ai ministri ordinati. Queste le parole della sua confessione: «La disciplina era totale, radicale, del tipo perinde ac cadaver dei gesuiti. Definirei l’Opus così: una società solipsista, chiusa in sé stessa, indipendente dal resto della Chiesa. La formazione nei collegi era basata sulla disciplina, sull’obbedienza assoluta e cieca, sul conservatorismo morale, sulla pietà tradizionalista. I voti di povertà, castità e obbedienza si facevano a partire dai quindici anni. Il sesso totalmente un tabù, rigorismo assoluto. L’anticomunismo un’ossessione. Un socio non poteva leggere Marx senza autorizzazione. Non si potevano leggere riviste che non fossero quelle imposte dai superiori. L’Opus aveva ottenuto la sua università, a Navarra, con una specie di golpe ai tempi di papa Giovanni, all’insaputa dei vescovi».

Chiesi al mio interlocutore se fosse informato della richiesta dell’Opus Dei di trasformarsi in una «prelatura personale» e se il papa fosse favorevole: «Non so se il papa abbia già firmato; saremmo stati informati. Si cerca una formula adeguata. La prelatura personale è una formula un po’ differente dalla prelatura nullius. Si tratterebbe per l’Opus di una “prelatura personale”».

La costituzione apostolica Ut sit, firmata il 28 novembre 1982, pubblicata su L’Osservatore Romano il 21-22 marzo 1983, erigeva l’Opus Dei a prelatura personale. Serpeggiava comunque una certa scontentezza per il fatto che l’Opera fosse eretta a diocesi. In quel periodo appartenevano all’Opus soltanto 1.300 preti e 354 seminaristi. Per i laici la Costituzione parlava di «incorporazione». L’Opus Dei contava allora 74.401 membri, diffusi in 87 nazioni e attivi in 500 diocesi. Il centro dell’Opera era ridotto ai preti e ai chierici. In un cerchio più allargato si ponevano i laici. In un contesto ancora più allargato si poneva la Società sacerdotale della santa Croce, nata per «illuminazione divina» di Escrivá de Balaguer nel 1928 e strutturata giuridicamente nel 1941, primo passo verso la fondazione di un istituto religioso.

Le norme interne all’Opus Dei

Negli anni Ottanta la Società non era più il nucleo portante dell’Opera come negli anni Quaranta, ma era una specie di associazione che raccoglieva i sacerdoti secolari legati alla spiritualità dell’Opus Dei e incardinati nelle rispettive diocesi.

Come istituto secolare, l’Opus ottenne dalla Congregazione per i religiosi tre rescritti, che garantivano ulteriormente il riserbo, al quale tutti i membri erano tenuti, compresi i vescovi non appartenenti all’Opus, i quali erano obbligati al segreto riguardo a conoscenze relative all’istituto. Addirittura l’Opus non era tenuta a presentare ai vescovi il testo integrale delle sue Costituzioni, ma solo un riassunto. Non erano pubblicati né le Costituzioni né il regolamento né l’ordinamento né il cerimoniale. Era fatto divieto di rendere noto il numero dei membri; si permetteva il silenzio sulla propria condizione familiare d’origine e si vietava di tradurre dal latino le istruzioni interne dell’istituto. Si diceva che neppure tutti i numerari (ai quali erano riservati i compiti direttivi) conoscessero le Costituzioni.

Le dimissioni dei membri dovevano essere decise unicamente dal prelato e quindi non se ne conoscevano il numero e le procedure. Dipendeva esclusivamente dal «padre» ogni passaggio interno, ad esempio, da soprannumerario, semplice membro che lavora nelle opere dell’istituto, a numerario. Già allora si capiva non solo la forte gerarchizzazione interna, ma anche l’efficacia del segreto. Motivazione: la modestia.

Chiesi al segretario della Conferenza episcopale spagnola del tempo, mons. Fernando Sebastián, se ci fossero difficoltà nei seminari per quanto riguardava l’indirizzo educativo nell’attività pastorale tra i preti dell’Opus e quelli diocesani. La sua risposta fu la seguente: «Gli orientamenti dell’Opus Dei, come quelli di altri gruppi, sono buoni se accettano le disposizioni dei vescovi, ma questo non è sempre facile e sorgono difficoltà, che si manifestano nella fatica di coordinare l’azione in vista di uno stesso obiettivo pastorale».

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5 Commenti

  1. Claudio Gentile 22 agosto 2023
  2. Marcel Joan Alsinella 19 agosto 2023
  3. Andres Torres Queiruga 17 agosto 2023
  4. Maria Luisa Fappiano 17 agosto 2023
    • Claudio Gentile 22 agosto 2023

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