
Fernanda Fedi: GammaEpsilon.
Da tempo frequento mostre di artisti che su fogli, tele e supporti vari dipingono lettere e parole riscoprendo alfabeti antichi e presenti. Tracciano segni non completamente linguistici che incidono profondamente, come capita con i versi poetici.
Sono artisti che decostruiscono il linguaggio tradizionale e così aiutano a ripensare al valore della comunicazione nelle sue variegate espressioni.
Con la mente ritorno a queste icone preparando, da volontaria, lezioni di lingua italiana a stranieri immigrati. I miei alunni sono adulti e soprattutto donne; tra loro alcuni giovani uomini provenienti da diverse regioni del Sud America. E per ragioni diverse.
Una cosa, tuttavia, hanno in comune: la ricerca di un lavoro. Con la festa (ma c’è da veramente da festeggiare?) del 1° maggio alle spalle, risuonano echi di appelli e proclami pubblici in cui non sono mancate denunce, analisi, diagnosi, terapie insieme ad una prognosi riservata. Anzi, riservatissima.
Immigrati e alfabetizzazione
Poche le voci che hanno richiamato l’attenzione sulla formazione linguistica degli stranieri nelle scuole e negli ambienti di lavoro. Eppure, gli immigrati e le immigrate sanno quanto sia necessario conoscere la nostra lingua per inserirsi responsabilmente in aziende, cantieri, fabbriche[1].
Ed anche nelle abitazioni, dove è ampiamente ricercata la collaborazione di domestiche, badanti, infermiere. Non basta insegnare qualche parola e neppure pretendere l’uso corretto di un idioma che, nella sua complessità, è ormai sconosciuto ad alcuni maturandi del miglior liceo classico italiano.
È necessario mettersi nei panni di chi apprende, e condividere come avviene l’apprendimento. Occorre favorire, anche sui luoghi di lavoro, la consapevolezza delle mansioni da svolgere e quindi l’appropriazione di termini non solo tecnici ma utili a interloquire con i colleghi, i datori di lavoro, i sindacalisti.
Vanno individuati i bisogni, spesso molteplici in gruppi eterogeni di candidati lavoratori, ma è primaria la lettura di testi e istruzioni per svolgere adeguatamente operazioni molto complesse. Sono troppo elevati i numeri di incidenti e di decessi per mancata osservanza di regole di sicurezza nelle mansioni lavorative.
A volte, semplicemente, alcuni operai stranieri non capiscono il significato di avvisi, cartelli e segnaletiche! Non da ultimo serve favorire la comprensione di documenti che rivelano quanto debba essere dignitosa un’occupazione. Dagli articoli della nostra Carta Costituzionale ai contratti e alle buste paga.
Alcuni immigrati sono scarsamente alfabetizzati e quindi risulta ancora più arduo insegnar loro a scrivere. Negli ultimi decenni sono stati pubblicati diversi testi utili per affiancare l’apprendimento. Si richiamano al consistente lavoro di linguisti incaricati dal Consiglio d’Europa a partire dagli anni ’70.[2]
Il suono della zeta
Non mancano giochi didattici e piattaforme multimediali a cui iscriversi autonomamente. Tuttavia, è indispensabile l’aiuto di chi accompagna e sostiene il processo di apprendimento dell’italiano come lingua seconda (“L2” per gli addetti).
Un aiuto che – laddove esiste – risulta incostante e non a causa di chi insegna: per lo più gli iscritti lasciano la scuola non appena si presenta l’occasione di un lavoro seppur precario.
Inevitabilmente, stranieri anche con diplomi universitari conseguiti nel proprio paese di origine, si prestano a svolgere mansioni di basso livello per potersi sostenere. Soprattutto in una Milano dove i prezzi sono sempre più alti. Va anche segnalato il tempo (2-3 anni) richiesto per avere un riscontro alla domanda di soggiorno.
In classe uso una lavagna tradizionale e gessetti colorati. Anch’io mi improvviso artista nel disegnare lettere e parole in rosso, verde e azzurro. Sottolineo e contorno sillabe spesso difficili da pronunciare.
Quasi impossibile sentire il suono della “zeta” da chi ha sempre parlato la lingua spagnola. Qualcuno, alle fine, fotografa la pagina scritta su ardesia appesa al muro. Mi chiedo se poi, riguardando quei segni e scarabocchi, sapranno comprenderli nel loro significato.
Arte e apprendimento
Ancora mi viene in aiuto l’arte visiva. La pittrice Fernanda Fedi (da sempre affascinata di scritture arcaiche) nella raccolta di alcune sue tavole di disegni ispirate al Rongorongo, una forma di scrittura usata nell’Isola di Pasqua:
Sono giunta alla convinzione che la scrittura dei primordi non ancora decodificata nel suo mistero, possa non solo testimoniare, bensì trasmettere idee/concetti attraverso segni/forme e che la “non traducibilità” sia la vera fenomenologia della comunicazione.[3]
A lezione mi servo di fotocopie, ritagli di giornale, immagini e cartoline per veicolare le parole più semplici e favorire l’articolazione di frasi indispensabili per i contatti quotidiani. Cerco di vivacizzare gli incontri con esercizi e tecniche anche ludiche perché la classe diventi un contesto comunicativo.
Un primo passo verso la costruzione di una educazione linguistica. Insisto sulla differenza tra uso formale e uso colloquiale del linguaggio. Ma alla fine il saluto rivoltomi è sempre: “Ciao professora!”
A volte raccolgo qualche racconto biografico che riporta fatiche e grandi sacrifici. Tuttavia, nella stanza soffia un vento buono che fa procedere. Si chiama desiderio di autonomia e di apprendimento di una lingua con cui riordinare e riscrivere la propria identità. Poco importa se inizialmente i segni appaiono indecifrabili o faticosamente leggibili.
Conta far cogliere la vitalità della scrittura, associata alla vita nuova, pur tra incomprensioni e frustrazioni. Imparare a leggere e scrivere per alcuni significa rinascere da adulti: una miracolosa esperienza che restituisce orientamento, senso e dignità. L’eco del versetto evangelico di Giovanni è forte. “Dovete rinascere dall’alto” (Gv 3,7): così Dice Gesù a Nicodemo in una celebre scena notturna. È possibile ritornare in vita grazie a una forza spirituale misteriosamente presente nella propria storia. Divina per chi crede.
Nelle opere di artisti che dipingono o cancellano frasi e parole ritrovo l’incanto dell’infanzia, quando i suoni, già articolati da voci accudenti, sembrano adagiarsi su segni convenzionali dalle forme ardite e colorate come nei primi abbecedari. Ne parla Walter Benjamin in una bellissima pagina dell’Infanzia berlinese ricordando con nostalgia “l’alfabetario che conteneva, impresse su piccole tavolette, le lettere dell’alfabeto…ciascuna in sé compiuta, e nella loro sequenza vincolate dalle regole dell’ordine – la parola- di cui erano sorelle”.[4]
Il pensatore ritorna alla meraviglia provata ogni volta in cui constatava come dall’umiltà delle lettere dell’alfabetiere potesse derivare tanta grandezza delle parole.
Uno “stato di grazia” secondo Benjamin. Uno stato da favorire per aiutare una convivenza pacifica.
[1] Il 68% di oltre 1680 lavoratori e lavoratrici immigrati in Emilia-Romagna intervistati in un’ indagine del 2002 condotta dall’Istituto di Ricerca Economica e Sociale (IRES) indicano “ il possesso della lingua” come primo requisito per svolgere il proprio lavoro (FERNANDA MINUZ, Italiano L2 e alfabetizzazione in età adulta, Carocci editore, Roma 2025).
[2] Ci riferiamo soprattutto al documento di politica linguistica QCER (Quadro comune europeo di riferimento per la conoscenza delle lingue), un sistema descrittivo impiegato per valutare le conoscenze e le competenze conseguite da chi studia una lingua straniera europea.
[3] FERNANDA FEDI, “Reperti dalla scrittura Rongorongo”, in Fernanda Fedi-Gino Gini, Edizioni Piccolo Livorno, 2017. Di Fernanda Fedi e del marito Gino Gini segnaliamo la bella mostra in corso nello Spazio Heart di Vimercate (cf. qui).
[4] W. BENJAMIN, Infanzia berlinese, Einaudi Torino, 2007.





